Una legnata

16 Aprile 2008

Sinistra Arcobaleno KO
Marco Ligas

Più netta non poteva essere: quella del 13 e 14 aprile è stata una sconfitta pesantissima, preannunciata ma non nelle dimensioni in cui si è consumata. L’Italia è stata consegnata nuovamente a Berlusconi e alla Lega, ma in questa circostanza il quadro politico del paese risulta completamente mutato e, per la prima volta nella storia della Repubblica, la sinistra italiana rimane fuori dal Parlamento. Non attribuiamo ad altri le responsabilità della legnata, assumiamocele in proprio e cerchiamo di capire ciò che è successo e perché. È vero che nel risultato elettorale bisogna cogliere anche responsabilità che non ci appartengono; alcune per esempio sono di Veltroni il quale, pur essendo stato uno dei maggiori artefici delle modalità con cui si è andati al voto, ha subito ugualmente una sconfitta. Nel tentativo di dar vita ad una coalizione omogenea ha rotto ogni rapporto con la sinistra e si è illuso di poter vincere assumendo come punto di riferimento il bipartitismo americano. Ma l’esperienza italiana è ben diversa e, non a caso, entrambe le coalizioni maggiori hanno fatto ricorso a forze di complemento per difendersi dagli effetti di una pessima legge elettorale. E sicuramente saranno ancora queste forze che condizioneranno per tutta la legislatura la coalizione che ha vinto. La sinistra, dal canto suo, ha fatto di tutto per ottenere un risultato disastroso. Non è stata in grado di avviare il processo di aggregazione tra quelle componenti sociali impegnate, pur al di fuori dei partiti, nella difesa della pace, del lavoro, dei diritti e della democrazia. Non è riuscita a far questo nonostante abbia ricevuto diverse sollecitazioni che le indicavano i percorsi da seguire per correggere una politica del governo conservatrice. Troppo netta è risultata la separazione della Sinistra l’Arcobaleno, nata in fretta e furia dopo la nascita del Pd, dalle associazioni, dai movimenti e dalla sinistra diffusa pur presente attivamente nella società. Questa cesura è emersa non solo nella fase della composizione delle liste elettorali, ma già prima quando la nuova formazione non riusciva a recuperare la credibilità che aveva perso nel rapporto con i suoi vecchi elettori e al tempo stesso non capiva che doveva puntare anche alla conquista di quella parte degli elettori del Partito Democratico in bilico tra lo stesso Pd e la sinistra. Ha continuato a trangugiare bocconi amari sia in politica estera accettando l’innalzamento delle spese militari sia nelle scelte di bilancio subendo il ridimensionamento delle politiche sociali. La vicenda relativa alla formazione delle liste ha segnato il culmine della pochezza dei suoi gruppi dirigenti. Mai come in questa occasione hanno mostrato la loro inadeguatezza nel far fronte ad una esigenza di partecipazione democratica largamente sentita e diffusa fra gli elettori. Hanno deciso da soli, nel chiuso delle loro stanze, alimentando un’ulteriore delusione e tanta incazzatura in chi aveva mostrato una disponibilità a sostenerli anche in questa scadenza elettorale. Una percentuale rilevante dell’astensionismo nasce anche da questa pratica, dall’inadeguatezza mostrata nell’organizzare una larga consultazione fra i militanti. In passato, un po’ tutti, al momento di valutare una consultazione elettorale andata male, facevano riferimento a precedenti elezioni andate peggio per ridimensionare l’ultima sconfitta. Stavolta questo espediente non è possibile perché non ci sono esempi a cui fare riferimento.
La sinistra parlamentare è dunque morta; ma se è così esiste ancora una sinistra extraparlamentare, e non uso questo termine nell’accezione spregiativa spesso usata dai nostri avversari per indicare gruppi che fanno della violenza il loro metodo di lotta politica. Questa sinistra può ancora e deve, contando anche sulle sue forze momentaneamente debilitate dalla sconfitta subita, ricostruire un’area di agibilità politica, indispensabile per dare corpo e visibilità ad una alternativa sociale fondata sulla partecipazione dei cittadini per la difesa della democrazia e per il rilancio dei valori che hanno caratterizzato la storia e la cultura del movimento operaio e dei movimenti anticapitalistici della contemporaneità.
Per far questo è necessaria una riflessione, capire che cosa succede nella nostra società e per quali ragioni strati sociali che subiscono sfruttamento ed emarginazione si orientano e votano a destra, oppure si astengono. In ogni caso, non si sentono rappresentati. Dovremo affrontare attacchi ancora più radicali da parte dei nostri avversari e perciò dovremo attrezzarci con la forza della nostra ragione e senza calcoli. Anche per questa ragione molti compagni che sinora hanno diretto i partiti della sinistra faranno bene a favorire un ricambio che mai come in questa occasione appare indispensabile. E l’autocritica deve coinvolgere anche gruppi e movimenti ‘di base’, che spesso hanno riprodotto meccanismi di autoreferenzialità speculari a quelli dei gruppi dirigenti.

14 Commenti a “Una legnata”

  1. Marcello Madau scrive:

    Dobbiamo creare reti, scambiarci opinioni, consolidarci in ciò. Mi sembra assai lucido il fondo di Edoardo Salzano. Ne colgo in particolare i nessi fra impegno nella società, necessità di una rappresentanza politica, importanza di studio e analisi.

    http://eddyburg.it/article/articleview/11067/0/10/

  2. Michele Piras ( Giovane Comunista ) scrive:

    Caro Marco,
    condivido pienamente la tua analisi.
    Parte del consenso è stato perso ( soprattutto quello che è conseguito in astensione ma non solo ) a causa delle aspettative disattese da parte della sinistra e dall’esperienza di governo. Un’altra parte ( quello che è conseguito nel voto al Pd e all’Italia dei Valori ) a causa del voto utile e del terrore, quindi, della vittoria di Berlusconi. Ed infine un’ultima parte è stata persa a causa delle modalità di composizione delle liste elettorali e soprattutto a causa dell’eliminazione dalle liste di candidature rappresentative del territori e delle loro esigenze. Ormai il danno è fatto, spero e credo che si debba fare tesoro dei grossi errori commessi e da qui ripartire per ricostruire la Sinistra in Italia. La sfida che abbiamo davanti non è facile!

    L’ennesimo errore che potremo compiere è quello di cercare ognuno di ritagliarsi un proprio spazio e ripercorre un percorso di frammentazione.

    Personalmente non credo sia opportuno e utile ritornare, ognuno, indietro nei propri passi. Non vedo in questo risultato elettorale il fallimento della Sinistra Arcobaleno e del suo progetto, vedo, piuttosto, il fallimento della tempistica e delle modalità adottate per costruirla e in primo luogo, quindi, il fallimento delle persone. Tutto ciò ci ha portato sull’orlo del precipizio, il voto utile, poi, ci ha fatto fare il passo in avanti e precipitare.

    un saluto
    Michelino Piras

  3. Aldo Borghesi scrive:

    Condivido dalla prima parola all’ultima l’intervento di Michelino Piras, che non conosco personalmente. Anche questa convergenza di vedute fra persone che senza conoscersi lavorano ad un progetto comune mi pare un patrimonio che la batosta non deve disperdere.
    Vorrei aggiungere che la sconfitta è EPOCALE e CULTURALE. Epocale perchè chiude una transizione durata 14 anni determinando un quadro nuovo e probabilmente duraturo. Con buona pace di quanti nel 1994 avevano riso di Bobbio che parlava di Berlusc. come di “autobiografia della nazione”, preferendo invece puntare sulle tattichette elettorali.
    Culturale perchè il pesante smottamento di voti dalla Sx. al PD e a destra è il risultato di insufficienze culturali nella nostra area e nei nostri referenti sociali: quando gli operai di Mirafiori criticano la sx. (Liberaz. di ieri) perchè “pensa ai froci [testuale] e agli immigrati” [e magari anche ai disocccupati meridionali, aggiungo] e non a loro, vuol dire che la capacità della Sx di CREARE CULTURA, ovvero dare strumenti di interpretazione della realtà, è a zero, che anche quelli a nome dei quali vuole parlare sono profondamente agiti dalla cultura dominante e che l’appartenenza sociale è totalmente slegata dall’appartenenza politica, come d’altra parte era da tempo assodato per le componenti non marxiste della sinistra.
    Ripartiamo da qui, quelli che fino all’ultimo non ci rendiamo disponibili alla veltronizzazione. Scusate le maiuscole, non trovo altro modo per evidenziare.

  4. Marcello Madau scrive:

    Il contributo di Aldo è prezioso, per quello che dice e perché ricorda la compresenza di componenti marxiste e non marxiste nella sinistra ‘popolare’, e la loro coesistenza: assolutamente possibile e stimolante (come mi ha insegnato il passaggio dal liberalismo gobettiano al marxismo). Aldo mi permetterà di ricordare che l’appartenenza sociale slegata da quella politica è percepita anche dai marxisti, a partire dalla differenza fra struttura e sovrastruttura e diverse sovrastrutture, sino a vedere come l’immaginario c.d. sovrastrutturale (ad es.il rapporto fra profitti della società dello spettacolo e maschilismo) diventi struttura se si associa alla proprietà dei mezzi di produzione dominanti. Sia a marxisti che a non marxisti – comunque, a molti – capita di praticare in maniera autoritaria le relazioni fra persone e corpi. Autocritica radicale, ma senza autoflagellazioni: non votare una sinistra che pensa ai ‘froci e immigrati’ non è solo problema operaio, e la difficoltà a dare strumenti di interpretazione della realtà non è limitata a noi, che pure ne abbiamo molta: basterebbe ricordare il rapporto fra Ulivo e registro delle unioni civili. Comunque, dentro di noi la separazione fra appartenenza sociale e politica sta pure nella maniera autoritaria – non solo dei gruppi dirigenti, come ricorda Marco Ligas – di stabilire relazioni politiche, minacciare, ricattare, imporre, invece che discutere e REGALARCI i tempi oggi necessari per capire, non veloci.

  5. Mario Porcu scrive:

    Gentile Marco Ligas,
    forse questa volta tu, insieme a tanti altri compagni sardi, siete sulla buona strada per capire gli errori fatti. Penso però che la correzione dell’angolo di visuale vada accentuato. Dovreste provare ad arrivare ai 180 gradi, rivolgendo l’analisi su di voi in prima persona. Ricordatevi che in Sardegna il differenziale di astensione è stato maggiore che nel resto d’Italia, vorrà dire qualcosa, noo???
    Tu e un preciso numero di compagni spesso avete assunto la direzione dei vari movimenti a Cagliari ed in Sardegna conducendoli sempre all’evirazione.
    Ora è troppo comodo stupirsi.
    Volete stare ancora in vetrina ?

  6. Bachisio Bachis scrive:

    Michele, proprio di “tempi e metodi” abbiamo provato a parlare su queste stesse pagine, prima delle elezioni. Quando ci hai invitato, se non conformi con le liste SA, a farcene una che ci piacesse. Fa piacere sapere che la sconfitta storica sia servita almeno a farci capire che “ritagliarsi un proprio spazio e ripercorre un percorso di frammentazione” non sia il cammino adeguato. Forse sarebbe anche il caso di riflettere sul progetto politico (se esiste) di SA, sui contenuti che la caratterizzano, sulla possibilità di dialogo con altre forze. Credo che sia necessario tornare al lavoro come tema centrale: e su questo mi pare ci sia un grave ritardo di analisi e studio indegno per chi si propone di rappresentare, oggi, chi lavora.
    Il risultato elettorale mi inquieta, ma non mi rattrista la perdita di parlamentari come Pecoraro Scanio, Luxuria, e compagnia.
    Salud

  7. Angelo Morittu scrive:

    5 partiti e 101 candidati, signori il catalogo era questo, forse ragiono all’ingrosso e non sono in grado di capire la sottile arte politica, ma non si possono presentare in Sardegna tre partiti di sinistra, e un partito socialista in antagonismo al Partito Democratico+Italia dei Valori.
    Di fronte una lista semplice-semplice delle destre da 18 nomi con ai primi 12 posti i soliti notabili e i big nazionali.
    Non ci voleva un fenomeno per capire che col sistema elettorale vigente anche per piazzare un solo uomo bisognava raggiungere il 4%!
    Non volendo votare democristiano, ho deciso di girare alla larga dai seggi.
    Non possiamo non vedere che, l’Italia sta implodendo, i partiti di sinistra in Sardegna devono trovare una sintesi, devono capire i bisogni della nostra gente che non sono gli stessi dei sobborghi di Milano, di Torino o di Napoli, non possiamo rischiare che anche da noi nasca una lega Sarda nazionalista e populista pilotata dai potentati economici sardi sottopancia dei soliti industriali da rapina.
    Non possiamo più aspettare che la linea la dettino i vecchi ribolliti, Bertinotti & Co cosa ne sanno della Sardegna, oserei dire cosa ne sanno del mondo reale quando passano le loro giornate a ricordare i bei tempi antichi nei talk show televisivi per parlare della fame nel mondo e degli effetti perversi della globalizzazione, ma che speranze operative offrono a chi annaspa in un mare di precarietà e dispera di emigrare, nulla assolutamente nulla!

  8. Francesco Bachis scrive:

    Qualche riflessione, al volo e perciò incazzata.
    1. Ciò che manca nelle riflessioni autocritiche di questi giorni è una analisi del progetto stesso di sinistra arcobaleno.Si dice… “la gente non ci ha capiti”. Io credo che la “gente” ha capito sin troppo bene ed è per questo motivo che ci ha voltato le spalle. Non è questione solo di simboli, anche se quelli già rodati funzionano meglio di quelli inqualificabili. E’ un problema di chiarezza nel progetto politico; una cosa che o non c’era per niente, o, quando c’era, era meglio che non ci fosse – vedi la proposta di integrazione con i socialisti fatta da Migliore.
    2. E’ possibile che qulcuno paghi? Che chi ha voluto fortemente una accelerazione su questo progetto, che ha gestito la sinistra in questi ultimi 10 anni si assuma le sue responsabilità e si dimetta? Se questo è “regolamento dei conti”, beh compagni, credo che sia un passaggio ineludibile.
    3. Caro Michele, a Roma eravamo 700.000, senza verdi e SD. SA ha preso 1124 mila voti, il che significa che ogni militante presente al corteo del 20 Ottobre – contando 0 verdi e SD – ha portato 0,6 voti – cioè manco le pivelle/i. Per la prima volta da quando ci hanno cacciato i caramba siamo fuori dal parlamento; i Verdi son morti, SD entra alla chetichella nel PD, il PDCI si sgancia, la maggioranza di RC sembra molli il progetto di scioglimento – era ora -, c’è una quantità di “esuberi” tra i compagni che manco la Fiat nell’ ’80… Trovi una parola migliore di fallimento?

  9. Michelino Piras ( Giovane Comunista ) scrive:

    Credo, innanzitutto, che le responsabilità siano collettive e non solo di qualcuno. Intendo di tutte le forze della Sinistra Arcobaleno. Ribadisco che , a mio modo di vedere le cose, il fallimento c’è ma è delle persone e non del progetto. La chiarezza ci sarebbe stata o comunque sarebbe stata maggiore se il processo unitario si fosse consumato nei modi e nei tempi giusti già da ottobre scorso ( cosi come a Luglio del 2007, molto lucidamente, Bertinotti aveva suggerito ). Avremo avuto più tempo, e forse il tempo, di costruire un’identità di sinistra più credibile e di adottare modalità di processo ed in seguito di candidature più corrette. Oggi non ho certezze, però, caro Francesco mi soffermerei maggiormente ad analizzare i flussi elettorali. Mi sembra che ci sfugga qualcosa che abbia a che fare più con l’interpretazione della società odierna che con le logiche di voto “identitarie”..Il voto si è spostato a destra e non solo per “voto utile”. Sono a disposizione per approfondire questa discussione, però mi sento di affermare che sarebbe un grosso errore, come ho già detto, ripartire dall’ennesimo atto di frammentazione della sinistra e quindi anche “dall’appello all’unità dei comunisti” che tu hai firmato. Mi sembra un passo indietro e fuorviante rispetto a quanto accaduto. Penso, inoltre, che dietro ci sia il tentativo da parte di qualcuno ( non tuo, ovviamente ) di togliersi tutte le responsabilità e riciclarsi ( vedi Diliberto con “io l’avevo detto” )…ma..!!

  10. Francesco Bachis scrive:

    L’appello cui fai riferimento è stato firmato da molti compagni di aree politiche diverse, alcuni del tuo stesso partito, altri del PDCI altri ancora, la maggior parte, senza tessere in tasca, credo sia un buon inizio per provare a ragionare sull’assurdità di una miriade di partitini comunisti in Italia. Una delle cose che ha dimostrato questa tornata elettorale è che o a sinistra del PD si forma un soggetto con un profilo antagonista e di alternativa chiaro o qualsiasi partito annacquato è destinato, presto o tardi, ad essere riassorbito. Naturalmente anche Diliberto rientra nei leader della sinsitra che dovrebbero assumersi le proprie responsabilità, fatto salvo che lui – e altri anche dentro il tuo partito – “l’avevano detto” veramente mentre bertinotti e migliore dicevano tutt’altro… In ogni caso se questo appello sortirà l’effetto di riciclare Diliberto o se aprirà una costituente che, a partire dai territori, cosa che un po’ manca nel testo, possa poi aprire processi di unità con la sinistra diffusa, dipende anche dalla risposta che darà RC. Se stasera prevarrà un salvataggio dell’ultim’ora del gruppo dirigente che ci ha condotto fin qui credo che saranno in tanti ad aderire all’appello. Se invece si aprirà una stagione nuova, in cui uno non debba vergognarsi di essere comunista, stai certo che RC diverrà un interlocutore per molti. Comunque vi invito a seguire gli interventi copiosi e interessanti sul sito dell’appello per l’unità dei comunisti http://www.comunistiuniti.it

  11. Matteo Murgia scrive:

    Ho sempre apprezzato il compagno Ligas per la pacatezza nell’esporre le proprie argomentazioni. mi chiedo come faccia in un momento come questo. se penso a quello che è successo a me viene la bava alla bocca. ho sempre apprezzato il compagno Bachis per la lucidità delle sue analisi (in altri tempi non la pensavo così, ma ero io che mi sbagliavo) e condivido in pieno le sue parole (già, e stato più facile fare due giorni di viaggio a Roma che andare a votare questa sinistra, cosa che comunque ho fatto). per quanto riguarda l’appello dei comunisti per il momento non mi convince (ma in questa ultima settimana ho una posizione diversa al giorno, magari domani è il giorno di falce e martello). ed ho sempre apprezzato il compagno Piras per l’impegno da militante comunista che da anni porta avanti (altro discorso sono le posizioni politiche che non condivido ma non credo sia una novità per lui). se porterà le parole di Ligas al congresso di rifondazione a luglio sarebbe già un enorme passo in avanti per lui e per tutti noi. Per quanto mi riguarda è da tempo che ho smarrito la lucidità il che mi ha portato a fare tante cazzate in passato (una per tutte sostenere i ds alle scorse regionali) o a non tradurre in pratica le parole che spesso porto in assemblee pubbliche. mi riconosco però l’attenuante di non far gravare sugli altri i miei errori (che comunque rimangono tali) non essendo rappresentante di nessuno se non di me stesso. un sincero augurio a tutti noi.

  12. Michele Piras (segr.reg.le Prc) scrive:

    La sconfitta è la risultante di una complessa articolazione di elementi, fra i quali i più evidenti mi sembrano (per sommi capi): l’insufficiente capacità che abbiamo avuto (per anni) di leggere la profondità delle trasformazioni sociali intervenute; la drammatica esperienza del governo Prodi (che ci ha compresso da destra come da sinistra); un progetto politico inadeguato, (costituito precipitando i tempi ed eludendo i necessari percorsi partecipativi, divenuto escludente e nemmeno rappresentativo dei 4 partiti). Errori: chiusura, incapacità di costruire spazi pubblici di partecipazione, di confrontarci apertamente e in maniera plurale, presunzione di aver “capito le cose” e quindi di conoscere la “panacea”, come una sorta di coscienza esterna in sedicesimi. Hanno sbagliato innanzitutto i Partiti (Rc compresa), abbiamo pero’ sbagliato tutti a sottovalutare ciò che stava accadendo. Ri-costruire nella società, in campo aperto, un percorso partecipativo, il principio “una testa-un voto”, affinchè ciascuno/ si senta artefice di una rinascita possibile e necessaria. Perciò noi ripartiremo dal Prc, senza presunzione di autosufficienza ma recuperando il suo originario orientamento ai conflitti ed ai movimenti. E spero saremo capaci tutti/e di farlo con la giusta dose di umiltà che in passato ci è mancata e che oggi siamo costretti a recuperare. Oggi più di ieri ogni azione lanciata nella complessità di questo mondo può avere echi inaspettati. Vi abbraccio

  13. Angelo Morittu scrive:

    Come cantava Gaber: gli italiani sono democristiani perché si vergognano di essere fascisti.
    La realtà antropologica italica è fissa e immutabile, la sinistra può evidentemente affacciarsi alla vita politica ma non gli è consentito andare oltre, anzi ora che anche il PD rinnega i suoi padri comunisti la deriva democristiana è al suo apice e la sinistra è nella polvere.
    Evidentemente è un disonore essere stati comunisti italiani perché si sa anche loro hanno praticato la pedofagia e lo sterminio dei dissidenti, fatti ormai acclarati dagli studi della Libera Università Arcorense dove siedono autorevoli esponenti del passato regime comunista italiano.
    Per il buon terzo di italiani che si vergognano di essere stati comunisti, altrettanti e anche di più che ormai non hanno più remore a dichiarare la loro passione per le dittature, contro le libertà, contro gli stranieri e i diversi.
    Anche noi sardi, sempre pronti a scimmiottare il potente di turno, abbiamo il nostro caporale di giornata: un certo Tedde sindaco di Alghero.
    Questo volontario di provincia, evidentemente a disagio nel festeggiare il XXV Aprile, ha proibito però alla banda cittadina di intonare “Bella Ciao”, anche lui ha avuto così il suo momentino di vanagloria.
    Ormai nessuno più si vergogna di essere un fascista, ma non s’illudano costoro, le menti libere esisteranno sempre.

    Buon 25 aprile, con o senza “Bella Ciao”!

  14. Marcello Madau scrive:

    Comunque oggi c’è stato un bellissimo 25 aprile algherese con ‘Bella Ciao’, ben più affollato della manifestazione del Comune di Alghero. Un vero successo. Deve anche aver dato fastidio, perchè la polizia è scesa, alla fine della manifestazione, identificando gruppi di partecipanti. Perchè Marco Tedde non dice qualcosa anche per il Primo Maggio?

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