Verso la Shoah. Lo sterminio dei disabili

16 Gennaio 2018
[Claudio Natoli]

Lo sterminio dei disabili nel 1939-41 fu la prima operazione di omicidio tecnologico di massa attuata direttamente in Germania dal regime nazista. Già subito dopo l’avvento al potere di Hitler lo Stato discrezionale nazista aveva  scatenato la persecuzione contro gli oppositori politici, che a decine di migliaia erano stato rinchiusi nei campi di concentramento e sottoposti a brutali maltrattamenti, torture e uccisioni al di fuori di ogni tutela giuridica. In seguito, parallelamente al varo di una legislazione discriminatoria sempre più radicale a danno degli ebrei e anche degli zingari, la popolazione dei campi si era allargata ad altre categorie di “esclusi” dalla comunità popolare, come i Sinti e i Rom, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i cosiddetti “asociali” e  anche determinati criminali comuni. Tra i perseguitati “estranei alla comunità” un posto privilegiato fu riservato alla categoria dei disabili fisici e mentali, che una teoria eugenetica molto diffusa tra medici, psichiatri e antropologi definiva una “razza degenerata”. Già negli anni ’30 persone soggette a veri o presunti disturbi mentali e comportamentali, ad alcoolismo o a malformazioni fisiche in numero di 300.000 erano stati sottoposti a sterilizzazione forzata in nome di una asserita “purificazione” della razza e dell’asserito sgravio alle finanze dello Stato che sarebbe derivato dalla futura estinzione di questi soggetti.

Con l’aggressione alla Polonia e lo scatenamento della guerra prese tuttavia avvio l’operazione T4. Su ordine di Hitler si costituì a Berlino un ufficio segreto, del tutto al di fuori della legge, guidato da burocrati della cancelleria del Führer e dal suo medico personale Karl Brandt, con il compito di procedere allo sterminio delle cosiddette “vite non degne di essere vissute”. Si procedette a una schedatura sistematica di tutte le persone già ricoverate in ospedali, case di cura e di riposo in ambito pubblico e privato e se ne organizzò il trasferimento, a scaglioni, in sedi di “transito” e poi in cinque sedicenti istituti sanitari ( Grafenek, Hartheim, Sonnenstein, Bernburg, Hadamar) dove queste persone furono uccise collettivamente in numero di 80.000 con il sistema delle camere a gas, che vennero qui per la prima volta sperimentate, corredate da appositi forni crematori.

L’operazione avrebbe dovuto rimanere segreta all’opinione pubblica e agli stessi parenti delle vittime, a cui veniva comunicato il decesso dei congiunti insieme alla disponibilità delle ceneri. Commissioni di medici, con l’avallo dei direttori delle singole strutture sanitarie, procedevano alla schedatura dei malati, con poteri di vita e di morte sui pazienti, alle pratiche di trasferimento e alla redazione di falsi certificati che ne attestavano la morte per asserite “cause naturali”. L’operazione ebbe inizio con lo sterminio di circa 5000 bambini da parte di medici e infermieri con iniezioni letali o con pratiche di denutrizione direttamente nelle strutture in cui erano ricoverati,  per estendersi nel giro di breve tempo agli adulti, con la predisposizione delle citate cliniche della morte site nella diverse aree geografiche della Germania.

Sennonché,  nel giro di breve tempo, l’operazione divenne di dominio pubblico: la reticenza delle autorità rispetto alle richieste di chiarimento dei parenti, il moltiplicarsi esponenziale dei decessi, le rogatorie dei giudici tutelari, le denuncie in sede giudiziaria, le dicerie e l’allarme delle popolazioni dove erano situati i centri della morte e i relativi forni crematori, spinsero i rappresentanti di entrambe le Chiese e anche alcuni magistrati a richiedere  per vie riservate spiegazioni alle autorità naziste e al Ministero della giustizia. Tali iniziative, tuttavia, per tutta una prima fase, non ebbero alcun esito. Fu allora che il vescovo di Münster Clemens August von Galen, il 3 agosto 1941, prese l’iniziativa di denunciare pubblicamente dal pulpito e in una lettera pastorale l’assassinio dei disabili. L’atroce segreto, già divenuto di dominio pubblico, non poteva più essere ignorato.

Non mancò tra i vertici nazisti chi propose di arrestare e condannare a morte il prelato, tuttavia prevalse l’opinione di evitare qualunque misura repressiva o presa di posizione pubblica. Il regime non poteva permettersi uno scontro frontale nel momento in cui aveva assoluta necessità della lealtà politica della Chiesa cattolica e di quelle protestanti in una fase particolarmente delicata della guerra per salvaguardare la tenuta del fronte interno. Ma soprattutto, doveva anche tenere conto degli orientamenti dell’opinione pubblica che con ogni evidenza non manifestavano adesione o acquiescenza all’operazione, che non a caso si era cercato con ogni mezzo di occultare.

Hitler fu così costretto a smantellare l’apparato centrale dell’operazione T4 e a interrompere gli assassini collettivi dei disabili nelle cliniche della morte. Ciò dimostra che i vertici nazisti potevano essere condizionati da pressioni e da fattori esterni e insieme la falsità del luogo comune secondo cui  non  sarebbe stato possibile “fare nulla” per ostacolarne l’azione. Il magistrato Lothar Kreissig, giudice tutelare di un disabile assassinato e impegnato nella ricerca della verità, al ministro della Giustizia Günther che gli rinfacciava la legittimità dell’operazione in quanto avveniva dietro ordine del Führer, replicò che gli assassini avvenivano in totale violazione delle leggi. Cosa sarebbe avvenuto se vi fossero stati molti di questi rifiuti? E più in generale, quale corso avrebbero preso gli avvenimenti se le gerarchie ecclesiastiche di entrambe le confessioni e lo stesso Papa Pio XII avessero rotto il silenzio costantemente mantenuto sulla deportazione e il genocidio degli ebrei?

E’ vero, tuttavia, che  le uccisioni dei disabili non furono definitivamente arrestate. Placatasi la protesta popolare sui centri di uccisione e, bisogna dirlo, acquietatasi anche la pressione delle Chiese, gli omicidi ripresero in forme meno visibili direttamente nei luoghi di cura che vi si prestarono con iniezioni e pozioni letali o il deliberato affamamento dei pazienti, bambini e adulti. Questa seconda fase degli assassini, comunemente definita la fase della “eutanasia selvaggia”, per quanto del tutto improprio sia il primo termine,  riguardò molte altre decine di migliaia di persone, avvenne attraverso meno eclatanti procedure  e sotto l’egida di “normali cure mediche”,  senza più suscitare reazioni di rilievo da parte delle Chiese e in generale della cittadinanza.

Ma vi è un’altra questione di cruciale rilevanza. Come ha dimostrato lo storico tedesco emigrato negli Stati Uniti nel 1947 Henri Friedlander in un bellissimo libro intitolato Le origini del genocidio nazista e uscito in edizione italiana nel 1997, l’operazione T4 fu il primo laboratorio tecnico, burocratico e organizzativo, per il genocidio degli ebrei e lo sterminio dei Sinti e Rom. Lì erano stati creati l’apparato burocratico per l’individuazione, la selezione, il trasferimento, l’assassinio delle persone, i luoghi fisici dello sterminio con il sistema delle uccisioni seriali programmate  a mo’ di “catena di montaggio”, ed erano già stati sperimentati gli stessi procedimenti tecnici di annientamento collettivo attraverso le camere a gas e gli annessi forni crematori. Ma si era anche già affermata la pratica della spoliazione dei cadaveri, a cominciare dall’estrazione dei denti d’oro, nonché degli esperimenti medici sui pazienti e ancor più sugli organi asportati dai corpi delle vittime e segnatamente dei cervelli, che furono inviati a scienziati e a istituti preposti alla ricerca scientifica. Non era mancata neanche un’ampia e volenterosa disponibilità di esponenti della classe medica e infermieristica, la stessa che si sarebbe riproposta nel campo della selezione e l’uccisione degli inabili al lavoro nei campi di concentramento e di sterminio.

Prova ne sia che il personale dell’operazione T4, dopo la chiusura dei centri della morte, fu trasferito nel giro di pochi mesi in Polonia a presiedere alla costruzione degli apparati di annientamento attraverso il gas nei campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka o a sovrintendere all’eliminazione degli internati nei campi di concentramento che venivano sistematicamente selezionati per aver esaurito le loro energie lavorative (anche qui con la cooperazione di medici “selettori”), per terminare la propria carriera a Trieste, nel centro di sterminio della Risiera di san Sabba.

Si deve pertanto individuare nell’operazione T4 il retroterra tecnico-amministrativo che anticipò e rese possibile le politiche di genocidio che avrebbero caratterizzato l’ultima e  più tragica fase dei genocidi di massa del regime nazista, che colpirono i modo particolare, accanto ai disabili,   i Sinti e Rom e, in prima istanza, gli ebrei.

 

La Giornata della memoria 2018 dal titolo Verso la Shoah: lo sterminio dei disabili si svolgerà Venerdì 26 gennaio dalle ore 15.30 alle ore 19.00 nell’Aula Magna del Corpo aggiunto del Polo Umanistico a Cagliari. Parteciperanno: Francesco Atzeni (Università di Cagliari) che introdurrà i lavori, Claudio Natoli, (Università di Cagliari) con la relazione “Un laboratorio per la Shoah: l’operazione T4 e le cliniche della morte” e Christoph Schminck-Gustavus  (Università di Brema) con la relazione “Lothar Kreissig: la resistenza di un giudice contro il nazismo”. E’ previsto l’attestato di partecipazione per gli insegnanti.

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