Violenza contro donne. Ogni giorno sia 25 novembre

16 Dicembre 2017
[Federico Palomba]

Va bene che in Italia la politica dell’essere è infinitamente più debole di quella dell’avere; nel senso che essa si occupa più dei problemi dell’economia e del danaro che di quelli riguardanti le persone. Ma c’è un limite all’incoerenza. Se si va a vedere oltre il ritualismo si scopre che c’è molto poco. Prendiamo il,caso della violenza contro le donne. Un altro 25 novembre è passato così come era venuto, dopo tanti altri.

E intanto rispetto al precedente è morta una donna su tre, come è stato prima, come sarà dopo. Però un altro rito è stato celebrato. L’ultima giornata mondiale contro la violenza sulle donne ha magari registrato una maggiore presenza mediatica, al Parlamento come sulle strade. Cose buone, per carità. Ma è stato solo un bagliore; e niente più. Un lampo fugace che si spegne nella notte. Perché niente di strutturale è cambiato.

Nell’accogliere mille donne, molte delle quali dalle storie tormentate, la Presidente della Camera ha ricordato come cosa positiva fatta dalle istituzioni l’approvazione della Convenzione di Istanbul. Altra cosa buona, sia chiaro. Ma chi l’ ha attuata? Chi è passato dallo spettacolo e dalle declamazioni alle politiche, ai programmi, ai progetti? Non c’è molto da immaginare. Quello che c’è da fare è contenuto nella Convenzione ratificata dall’Italia: le “politiche nazionali efficaci, globali e coordinate” (art. 7), le “risorse finanziarie e umane appropriate”,  (art. 8), gli “organismi ufficiali responsabili del coordinamento, dell’attuazione, del monitoraggio e della valutazione delle politiche” (art. 10), i “dati statistici disaggregati”, la “ricerca” e le “indagini sulla popolazione” (art. 11), le misure necessarie per promuovere i cambiamenti” e le serie “campagne di sensibilizzazione” (art. 13), i programmi scolastici sull’educazione alla parità tra i sessi, ai ruoli di genere non stereotipati, al reciproco rispetto, e soprattutto alla “soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali” (art. 14).

E si tratta solo di una parte, perché sono trascurate altre raccomandazioni come: l’accrescimento dell’arsenale penale, sostanziale e processuale; l’accentuazione del controllo asfissiante dopo i primi atteggiamenti violenti (basta estendere ai violenti le misure di prevenzione personale, scritte nel codice antimafia. Non perché essi siano mafiosi ma perché quelle misure di controllo sono efficaci). Né lo Stato, sul quale ricade la conseguenza della mancata sicurezza, ha assunto pienamente su di sé il pagamento dell’indennizzo -salva rivalsa- alle vittime dei violenti, raramente nullatenenti, pur avendo almeno prestato attenzione al ristoro degli orfani delle vittime di violenza.

Non c’è stata volontà di fare tutto quello che è imposto dalla gravità del problema e dagli altri documenti sovranazionali, importanti e cogenti, quali la Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW) o la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, adottata senza voto da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993. Né è stato pienamente attuato il buon Piano nazionale antiviolenza del 2010, rimasto in qualche cassetto. E la Commissione bicamerale su cause e rimedi per la violenza è diventata Commissione monocamerale (senatoriale) solo di indagine, approvata tardivamente a fine legislatura e perciò destinata a morire senza lasciare serie tracce.

Può darsi che le risorse siano anche un po’ cresciute, pur se comunque insufficienti. Ma sono solo quelle per finanziare iniziative buone, come i centri antiviolenza, che però arrivano a disastro avvenuto o temuto e finanziano persone e associazioni utili anche in termini di consenso. Accade anche per i giochi d’azzardo: lo Stato preferisce lucrare sulle puntate ma spendere per il recupero dei ludopatici invece che vietarli. Le cose da fare non sono difficili da elaborare. Tra l’altro sono tutte scritte in una proposta di legge che ho formulato, da verificare anche in profondità, come è doveroso, ma che almeno può essere presa in considerazione come una base di partenza.

Il poco di positivo che è stato fatto è ancora troppo poco in confronto con l’urgenza della situazione. E soprattutto non si vede niente di sistemico sul piano della prevenzione, dell’educazione, della cultura del rispetto. E così tante altre donne sono morte e moriranno sull’altare dell’indifferenza o, peggio, dell’ipocrisia. Purtroppo sembra in Italia che i problemi dell’essere vengano dopo quelli dell’avere. Ma senza impegno si può diventare moralmente corresponsabili di tante stragi e delle ferite, spesso non rimarginabili, che i superstiti porteranno per sempre nelle loro anime. C’è da chiedersi se dedicare una giornata ai problemi sia utile o fornisca semplicemente l’alibi di essersene occupati. I riti ci sono per coprire le indifferenze. E’ meglio un 25 novembre senza attenzione o un’attenzione senza 25 novembre? L’ideale sarebbe che ogni giorno sia 25 novembre.

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