Voli inquietanti sull’articolo 11

16 Giugno 2021

[Aldo Lotta]

“Il capitalismo ha distrutto anche le possibilità di porsi dei limiti” in quanto “l’illimitatezza è il fondamento del processo di accumulazione” (Paolo Favilli)

Si è appena spento, dopo l’intervento di Biden teso a “raffreddare la crisi”, il battage giornalistico sulla questione Israelo-palestinese. Anche questa volta la breve finestra mediatica temporale si è aperta e chiusa su un’ennesima devastazione di Gaza, che ha comportato l’annientamento di più di duecento abitanti, per la metà bambini, donne e anziani e il ferimento di più di millesettecento persone.

Contemporaneamente abbiamo assistito alle violenze di esercito e colon israeliani in Cisgiordania, rivolte ad espellere dalle proprie case, segregare e in troppi casi eliminare fisicamente i palestinesi. Abbiamo anche potuto riascoltare logori e insulsi commenti su crimini dipinti puntualmente sullo sfondo di una “guerra” tra Hamas e Israele o come “risposte” a offese, lanci di razzi, minacce da parte dei palestinesi.

Ma sappiamo tutti molto bene che ora in quella striscia di terra martoriata e nei territori palestinesi occupati la quotidianità continua a scorrere come sempre e che tale quotidianità dura ormai dal 1948, anno della fondazione di Israele. Essa è punteggiata dalle espulsioni, le demolizioni di case,  il diniego alla costruzione di nuove abitazioni, gli incendi di coltivazioni e olivi, gli assalti dei coloni ai villaggi, con minacce, abusi, ferimenti e uccisioni selvagge degli abitanti. Sono cronache quotidiane che si svolgono nella comoda oscurità mediatica e che, nondimeno, cominciano a trapelare grazie al lavoro di corrispondenti, attivisti, intellettuali che sempre più riescono a squarciare il muro di silenzio e complicità eretto dai nostri politici.

E mentre le armi almeno ufficialmente tacciono non possiamo non soffermarci su delle cronache molto più nostrane, che dimostrano puntualmente come quella questione irrisolta al di là del mediterraneo ci tocchi tanto da vicino.

Il 7 giugno Antonio Mazzeo esordisce così in un suo articolo su Pagine Esteri: “Dodici giorni di esercitazioni aeronavali con l’uso dei più avanzati sistemi missilistici in un’area geografica che dai poligoni della Sardegna si estende sino alla Campania, alla Basilicata e alla Calabria, al Golfo di Taranto e al mar Ionio.. “

E il 9 giugno, sulle pagine del Manifesto Sardo, A Foras, assemblea di associazioni che si battono contro le basi, i poligoni e l’occupazione militare della nostra isola, rimarca come “l’Italia stia consentendo a un paese in guerra di addestrarsi nel proprio spazio aereo” calpestando, tra l’altro un “accordo tra Regione Sarda e Difesa che impone lo stop alle esercitazioni dal primo giugno sino al 30 settembre”.

Mazzeo aggiunge come fra i velivoli israeliani in lizza nella “Falcon Strike 21” facciano mostra di sé sei cacciabombardieri F-35 che sono appena stati “testati sul terreno” sulla Striscia di Gaza, il poligono naturale più martoriato al mondo.

Ai titoli gonfi e fieri del Jerusalem Post e del Times of Israel (“L’Iran è il nostro obiettivo”) e ad un freddo e pragmatico comunicato stampa sul sito delle forze armate USA, fa riscontro il vuoto quasi assoluto nel nostro orizzonte mediatico mainstream. Ciò potrebbe far pensare ad un residuo senso del pudore, se non fosse per i troppi anni di politiche italiane di strettissima vicinanza e complicità con Israele.

E ancora: ”Nel 2012 rilasciate autorizzazioni per 470 milioni di euro per l’esportazione di sistemi militari verso lo Stato israeliano”, spiega (su Il Fatto) Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa: più del doppio di quanto totalizzato insieme da Germania e Francia. L’Italia è dunque il primo fornitore UE di armi e materiale bellico a Israele.

Questa nostra alleanza (subordinata) a nazioni che dimostrano una agghiacciante visione illimitata del sé e che esibiscono minacciose una loro pre-potenza bellica consente dunque di fondere, nell’ospitare degli scellerati war games, la nostra voce a quella che grida “l’Iran è il nostro obiettivo”. Questo è un fatto che deve assolutamente scuoterci.

(Allo stesso modo deve preoccuparci, se non altro perché non ne siamo ufficialmente informati, che, attraverso l’Operazione Gabinia, la nostra Marina militare sia presente ora nel Golfo di Guinea, “in collaborazione con ENI e armatori privati” con sofisticati strumenti di guerra e fino a 400 militari; Pagine Esteri, 9 giugno 2021).

Quando 70 anni fa l’Italia si risollevava livida dalle proprie di macerie ha voluto garantire al mondo e a se stessa l’adesione ai principi di democrazia e giustizia e al ripudio della guerra. La Costituzione italiana del 1948, secondo le parole di Giuseppe Dossetti “nata ed ispirata — come e più di altre pochissime costituzioni — da un grande fatto globale, cioè i sei anni della seconda guerra mondiale porta l’impronta di uno spirito universale e in certo modo transtemporale”.

Da qui è fondamentale ripartire per ritornare nei limiti salvifici di una vera società civile. Dobbiamo chiedere, pretendere dai nostri governanti il rispetto delle leggi fondanti della nostra repubblica e del diritto internazionale dei popoli e dell’individuo. E’ necessario moltiplicare le azioni a favore del popolo palestinese, affiancando ad esempio le iniziative del BDS (che si batte pacificamente per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni verso società e istituzioni complici dell’apartheid e occupazione israeliane) e di tante organizzazioni impegnate nelle battaglie a favore del diritto internazionale.

Oggi infatti più che mai il re è nudo e non si può più attendere la prossima operazione-carneficina contro Gaza per levare verso chi ci governa le nostre proteste. Basta, in fondo, unire le nostre voci alle richieste di giustizia del 90 % delle nazioni, le stesse che hanno portato nel tempo alle decine e decine di risoluzioni e condanne dell’ONU contro i governi israeliani, fino alla recente netta presa di posizione della Corte Penale Internazionale.

[Nell’immagine: alcuni palestinesi usano una scala per superare il muro israeliano ad A-Ram, a Nord di Gerusalemme. Cercano di raggiungere la moschea di Al- Aqsa, nella città vecchia, per il secondo venerdì di preghiera del Ramadan – © Oren Ziv, Activestills]

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