Winnie Mandela se ne va seguendo Nelson e l’amico Gheddafi

6 Aprile 2018
[Claudia Zuncheddu]

E’ morta Nomazamo Winifred Zanyiwe Madikizela, ma per il mondo era Winnie Mandela, ex moglie di Nelson e personaggio politico di spicco nella lunga lotta contro l’Apartheid in Sudafrica.

E’ stata per lungo tempo leader dell’African National Congress Women’s League e membro del Comitato Esecutivo Nazionale dell’African National Congress, anche quando erano fuorilegge, a cavallo tra gli anni 50 e 70.

Il suo diploma in materie sociali, conseguito nel 1956 fu un evento straordinario per l’emancipazione di una donna nera nella Johannesburg dell’Apartheid. La sua lunga militanza incominciò opponendosi alla legge che imponeva ai neri il lasciapassare obbligatorio per uscire da Soweto. Gli attacchi costanti contro l’African National Congress, tra arresti e condanne, non ha certo risparmiato Winnie e le sue figlie nel corso dei 27 anni di carcerazione di Mandela.

Winnie, personaggio forte e controverso, su cui è stato facile formulare giudizi etici e morali, ancor più quando, la sua vita, come lei stessa la definiva: “…con Mandela è stata una vita senza di lui”, si concluse poco dopo la scarcerazione del leader nero. La ricordo con Mandela a Parigi. Era giugno del 1990, credo che fosse la prima visita all’estero del leader, a quattro mesi dalla riconquistata libertà. Piovigginava e al Trocadéro c’era il mondo a dargli il bentornato.

Molti anni dopo Winnie, arrivò a Cagliari per un convegno sulla Mediazione internazionale, in quell’occasione io peroravo la causa del popolo tuareg e lei parlò sull’Apartheid. Nel 2000 capitai a Soweto, il quartiere della Ribellione nera a sud ovest di Johannesburg. Tra le case a forma di cubo, rese ancora più anonime dai numeri di matricola ben limati per evitare che la polizia dell’Apartheid individuasse di chi vi abitava, non passava inosservata una grande villa protetta da alte mura.

E’ la casa di Winnie, qualcuno mi disse. Ma non era una questione di lusso o di opulenza sfacciata in un quartiere-ghetto di milioni di anime, come spesso è facile raccontare. Era un dono del suo amico Muammar Gheddafi, per proteggere lei e le sue figlie dalle continue incursioni della polizia che a qualsiasi ora del giorno e della notte, non esitava ad introdursi nella modesta casa all’8115 di Vlakazi Street, dove precedentemente abitavano. Il debito di gratitudine di Mandela nei confronti della Libia di Gheddafi andava oltre il sostegno alla sua famiglia durante la sua carcerazione e alla retorica antirazzista.

Gheddafi nello scenario terzomondista è una figura ancora viva e amata per il sostegno dato in altri periodi, alle lotte di liberazione dei popoli africani. Garantì il suo sostegno alla rivolta nera sudafricana sotto l’Apartheid con finanziamenti e forniture di armi. Mandela, Nobel per la pace, onorò il debito promuovendo a livello internazionale un processo di mediazione che avrebbe portato alla sospensione dell’embargo contro la Libia da parte del blocco anglo-americano.

Era il caso Lockerbie, una delle vertenze più difficili della diplomazia internazionale. Al di là dei giudizi, spesso superficiali, sull’operato di Winnie ciò che conta è che lei come Mandela, se ne va senza che la storia abbia reso una reale giustizia alle lotte di liberazione dall’oppressione dei bianchi in Sudafrica, una questione sulla quale l’attenzione internazionale continua a funzionare ad intermittenza.

Il Sistema di discriminazione razziale imposto dalla minoranza bianca in Sudafrica è una pagina importante nella storia dello scorso secolo. Il museo della memoria, l’Apartheid Museum, poco distante dal centro di Johannesburg, con i suoi due ingressi provocatoriamente distinti a seconda del colore della pelle del visitatore, White e Non White, impone una riflessione dolorosa ed un umano senso di vergogna per tanto orrore, ma tutto ciò non basta per far dire alla storia che l’era delle discriminazioni razziali e sociali in Sudafrica è finita.

Mandela e Winnie, uniti dalle ragioni della lotta, si divisero sul metodo. Per l’anziano leader la mediazione con i bianchi sudafricani era divenuta una necessità, mentre Winnie, più vicina a quel pan-africanismo che rifiutava il dialogo con i bianchi, nella sua Soweto riorganizzò forme di resistenza armata per la difesa dei neri. Per fatti cruenti annessi alla sua scelta politica ed una vita privata negata per troppo tempo, la storia di Winnie non trovò pace neppure nel Sudafrica del suo Madiba.

Il vissuto di questa donna è talmente grande e complesso da sospendere ogni giudizio affrettato sia morale che di etica umana.

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