‘Am e Goyn

1 Febbraio 2009

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Marcello Madau

Povera Palestina, grande terra di uomini e sogni, di mare e deserti, ridotta ad un immensa prigione. Storia primordiale e frontiera ad occidente della più antica Europa, quando Europa non era stata ancora rapita da Zeus per essere spostata ad Ovest, lontana dalla sua vera sede; e si estendeva – come ci racconta Erodoto – fra Caucaso, Mesopotamia, Anatolia, fascia siro-palestinese ed Egitto. Quel mediterraneo che noi chiamiamo orientale era il confine occidentale della prima Europa, per la Palestina il primo mare a occidente.
La Palestina, luogo dinamico di persistenze tradizionali e nuovi popoli, culla e crocevia quindi fra Africa, Asia, Europa antica e moderna, fu a lungo sede di attraversamenti e battaglie, aspre: a nord la fenicia terra di Canaan e la Siria, a sud l’Egitto. E il transito, dal Tardo Bronzo, del popolo di Israele, gli ebrei forse legati, lo suggerisce la linguistica, agli antichi Habiru, “i fuggiaschi’, come venivano definiti i nomadi esterni ai palazzi regali.
Preceduti da vicende neolitiche alle origini dell’agricoltura, fra il 10000 ed il 5000 a.C. sino all’intenso episodio culturale di Gerico, è nell’età del Bronzo che si delineano i centri tuttora noti a noi, nella lunga striscia territoriale e di martirio, quella che diventerà la celebre pentapoli filistea, con le cinque città: Gaza, Ascalona, Gat, Ashdod e Akkaron. Il nome Palestina, ricevuto dal XII secolo a.C. grazie all’antichissimo popolo dei Peleset, ci riporta alla genesi dei grandi conflitti fra Palestina ed Israele, lo scontro con i Filistei (i Peleset), padroni del Mediterraneo e del Ferro dopo i Micenei e prima dei Fenici di Tiro e Sidone. Sembra iniziare qua l’orribile conflitto che insanguinerà le coste siro-palestinesi e la terra d’Israele, tremila anni e più di battaglie generalmente feroci. Sempre sulla stessa fascia di terreno.
Popolamenti ed etnìe che si sono storicamente modificate attraverso vicende naturali e deportazioni etniche, attraverso la dialettica fra nomadi e sedentari e le politiche coloniali delle potenze di primo livello Attraverso re Filistei, di Giuda e Israele, lungo spostamenti carovanieri e, uno dopo l’altro, i domini di Fenici e Aramei, di Alessando Magno e Israele, di Roma e Bisanzio, dei secoli arabi, delle devastanti crociate in nome del Dio cristiano, e poi di Ottomani e Francesi, Russi e Inglesi, Americani.

Ci hanno insegnato, nella imposizione dottrinaria fra scuola e parrocchia, a vedere gli ebrei popolo eletto oppure nemici di Cristo. E così gli Arabi. Ci hanno insegnato, con la forza della religione e delle sue menzogne storiche (né Gerico fu distrutta da Giosia, né la storia di Davide e Golìa appare vera), a cercare le ragioni della verità di una parte e non quelle dell’incontro.
I luoghi promessi da Yahweh non sono per gli altri, neppure per il dubbio. Neppure per Mosè, che non vide la ‘terra promessa’, fu risparmiata questa infamia: che dio vendicativo! E allora con che diritto gli infedeli a Yahweh potranno ambire ad una terra per vivere? Eppure non sempre, nella storia antica che leggiamo, la Palestina vide l’esclusivismo etnico e territoriale, ma fu piuttosto terra mosaico dove, con conflitti che vorremmo definire normali si confrontavano diverse ‘etnie’, esse stesse in sviluppo talora dinamico: Palestinesi, Moabiti, Ammoniti. Ebrei, Amorrei e Aramei, Hittiti, Samaritani, Arabi.
Chi ha studiato la storia del Vicino Oriente senza il filtro integralista nota con disagio, stupore e infine curiosità la persistenza continua e ossessiva dei peggiori mali del nazionalismo, della devastante miscela quando esso sposa identità etnica e religione. Della costruzione di verità storiche inesistenti attraverso la forza (se vogliamo è un orribile bestemmia contro Dio) di una parola divina inventata dagli uomini.
Quando nel VI secolo a.C. gli ebrei tornarono dalla ‘cattività’ babilonese liberati dai Persiani ed immessi di nuovo nella Palestina, si portarono sacri testi generati in gran parte dalla letteratura mesopotamica, irrompendo in una terra in qualche modo multiculturale e meticcia, consolidando le scritture all’ombra del secondo tempio di Salomone, vietando i matrimoni incrociati e costruendo, di nuovo, l’integralismo etnico.
Il concetto di ‘popolo della terra’ si trasformò in una coppia che esprimeva esclusione fra ‘am’, il (nostro) popolo, e ‘goyn’ le altre genti. Come Greci e barbaroi, ma con più integralismo. Eppure non mancarono nelle straordinarie ricchezze e profondità di questa tradizione, pur non ancora prevalenti, i desideri di incontro e amore. La voglia laica di pace e rispetto dei diritti altrui, pur profondamente permeata di religione ebraica, cristiana o islamica, può essere vista.
Da questo lembo di primigenia Europa arrivano molte lezioni.
Intanto l’antisemitismo è un concetto che va ampliato a tutti i semiti: israeliani e palestinesi lo sono, ed è stata grave la colpa dell’Occidente, volta per volta, nel praticarlo verso uno o l’altro polo. Dove ha prevalso l’interesse dei forti che si è appoggiato su razza e religione, sono nate le peggiori stragi, si sono alimentati nel tempo – forse per ricreare tale schema arcaico – integralismi contrapposti.
Non trascuriamo che i popoli hanno anche potuto vivere, fra mille contraddizioni, assieme. Serve la pace, è un diritto di tutti, a iniziare da bambine e bambini che nascono subito nel dolore della morte e delle armi. Senza giochi, tenerezze, capricci e ramanzine.
La pace si conquisterà solo attraverso la prevalenza di una dimensione laica e di una costruzione aperta di più stati e nazioni in una terra unica e senza muri, dove ci sia spazio per tutte le confessioni, e ugualmente per chi non si riconosce in alcuna di esse.
La pace potrà essere di nuovo una speranza, e forse una realtà, solo se nuove classi dirigenti produrranno una politica in grado di contenere gli orrori della razza e dell’integralismo, di dare cittadinanza a tutti fermando chi vuole imporre il suo credo perché si sente predestinato da Dio.
Solo se gli attuali stati di prima grandezza accetteranno di essere un voto come gli altri e riapriranno le sedi giuste, senza vertici ristretti o allargati, senza G8 e dintorni, ridando un senso al sogno globale delle Nazioni Unite.
La nostra Europa ha un grande bisogno di quella prima Europa di Oriente che, depurata dalla guerra fra gli dèi e fra gli uomini, ci possa regalare i suoi immensi tesori di cultura.

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