I segreti della Suppa Cuata

31 Gennaio 2012

Piero Careddu

Certi piatti della tradizione regionale riescono a trasformarsi nei secoli in vere e proprie bandiere identitarie. Qualcuno nomina quel dato piatto e all’istante scatta, nella mente e nei discorsi, il riferimento al paesaggio d’origine, alla musicalità dell’idioma, ai tic e alle cose buone di quella determinata popolazione.
E’ il misterioso potere del cibo, la magia nascosta tra le molecole di un pezzo di pane cotto in un forno a legna, l’architettura alchemica di un sistema di alimentazione costruito nel tempo da donne che dovevano trovare il difficile equilibrio tra creatività popolare e scarsità di materie prime, dovuta a congiunture diverse ma sempre riconducibili all’unica perversa origine: lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Fino alla mia generazione, forse l’ultima senza fast-food, ognuno di noi ha un piatto che lo identifica con le proprie origini. Una preparazione che si ricorda con commozione, che evoca aneddoti, racconti, immagini e volti del passato.
Se qualcuno mi chiede qual è la mia non ho un attimo di esitazione a rispondere che si tratta della Suppa Cuata, che può significare Zuppa nascosta, o anche segreta…. La conosciutissima zuppa di pane raffermo, formaggio fresco e brodo di carne. Un piatto che ha accompagnato la mia vita come una colonna sonora di profumi e voci della mia terra d’origine: quella Gallura, primo e più vistoso agnello sacrificale del liberismo in Sardegna, che tutti amiamo nonostante perda giorno dopo giorno pezzi di cultura, di identità, di paesaggio.
Ho iniziato a nutrirmi di Suppa Cuata, nella versione arzachenese, fin dalla tenera età! A differenza di tante cose che da bambino non amavo, la Suppa mi conquistò immediatamente. Nonostante possa non essere un piatto facile per un bambino, ricordo che i profumi che uscivano dai forni mi scatenavano insopportabili salivazioni e voglia di avere subito un piatto di quel cibo caldo e informe ma ricco di odori e fili di formaggio da catturare con la forchetta.
Poi con l’età la scoperta che non esisteva solo la versione che io conoscevo ma che, spostandosi di pochi chilometri, intervenivano variazioni che, pur non stravolgendo l’impianto originario, conferivano al piatto sfumature nuove che era facile cogliere al primo assaggio. Scoprii che a Tempio il fondo della teglia veniva foderato di fettine sottili di lardo, che ad Aggius nella Suppa Cuata dei matrimoni viene aggiunto, appena sfornata, un “ghisaddu” di carne di vitello in rosso per arricchirla, che a Bortigiadas, paese di confine, si usa il finocchietto selvatico come nella vicina Anglona; e le polemiche tra paesi sull’uso della cannella in purezza contro l’uso della saporita; e brodo vaccino contro brodo misto contro brodo di sola pecora.
Tante interpretazioni di un piatto figlio di un popolo che porta nel proprio Dna un certo malcelato sciovinismo, tutto sommato innocuo e folcloristico, che ha ragioni storiche e sociologiche che non discuterò in questa sede per ovvii motivi.
La Suppa Cuata nasce in una Gallura di fine ‘700 ancora spopolata, impervia e dedita al solo allevamento di capi vaccini: le prime greggi di pecore appariranno un secolo dopo. Nasce pertanto con una struttura caratterizzata, nel brodo e nel formaggio, dal sapore della carne vaccina, La particolarità antropologica di questo cibo è che, mentre tutti i piatti nati dal recupero e dalla miseria sono nel tempo rimasti tali, la Suppa si è trasformata in tempi tutto sommato brevi in un piatto ricco, da grandi eventi sociali e non più della quotidianità. Se oggi si vuole realizzare a casa una Suppa che si avvicini credibilmente al gusto di una volta, suggerisco di ricorrere a una ragionevole mediazione: pane raffermo meglio se a lievitazione naturale, un brodo ristretto di manzo e pecora, un formaggio vaccino fresco lasciato all’aria per un paio di giorni ad acidificarsi leggermente, pepe nero, saporita, prezzemolo.
Il vero “segreto” di questa preparazione, oltre all’eccellenza e alla freschezza degli ingredienti utilizzati, è l’assemblaggio dei prodotti che dovrebbe iniziare la notte precedente al consumo: alternare nella teglia di terracotta o alluminio strati di pane a fette, formaggio affettato sottile, formaggio grattugiato mescolato al prezzemolo tritato e alla saporita fino a riempire la teglia. Il brodo viene aggiunto a poco a poco curandosi di bucare gli ingredienti assemblati con uno stecco appuntito (mia nonna e mia mamma usavano un lungo ago da materassaio) per facilitare la penetrazione omogenea del liquido. Va messa in forno, un’ora e mezza prima di mangiarla, per 40 minuti a 200°. Si lascia riposare una mezz’ora per poi godere di un piatto che è la sintesi dei sapori della campagna e del carattere del popolo che l’ha creato.

2 Commenti a “I segreti della Suppa Cuata”

  1. Red scrive:

    Sono stati apportati alcuni aggiornamenti al finale della preparazione della Suppa Cuata. Un errore di editing aveva sovrapposto una precedente versione con quella corretta. Ce ne scusiamo con autore e lettori.

  2. Szárd gasztronómia scrive:

    […] hogy második fogásra semmi szükség nincsen. A sziget egyik legjellegzetesebb levese, ami sokkal inkább egytálétel már, hiszen a leves csak az egyik összetevő itt, a Suppa Cuata, vagy Zuppa Gallurese, amely az […]

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