Salviamo il Parco Geominerario

31 Gennaio 2012

Marco Ligas

Il Parco geominerario della Sardegna, riconosciuto dall’Unesco nel 1997 e istituito formalmente nel 2001 con decreto del ministro dell’ambiente, rischia la chiusura. Dopo oltre 5 anni dalla nascita non sono state utilizzate neppure le risorse finanziarie stanziate dallo stato. A causa di questa negligenza il Consorzio del parco è stato commissariato e oggi siamo alla stretta finale: o verranno rimosse le cause che ne hanno impedito il funzionamento, o lo stesso inserimento del parco nella rete dei geoparchi dell’Unesco non avrà luogo.
Per evitare questa deriva le associazioni che aderiscono alla Consulta del parco hanno attivato un presidio permanente davanti a Villa Devoto. Chiedono che giunta regionale e governo attuino il progetto del Consorzio.
In seguito a questa mobilitazione il presidente Cappellacci si è impegnato a rimuovere gli ostacoli che sinora hanno impedito il funzionamento del parco. Naturalmente tutti sono consapevoli che l’esito positivo di questa vertenza ci sarà soltanto se continuerà la lotta delle associazioni.
All’istituzione del parco che coinvolge le 8 aree in cui è stata suddivisa la Sardegna, si era giunti grazie all’impegno di un vasto movimento popolare formato da associazioni culturali e ambientaliste, organizzazioni sindacali, personalità del mondo accademico e dagli stessi ex minatori che vedevano nella nuova istituzione un’occasione per la conservazione, il recupero e la valorizzazione di un patrimonio storico-culturale connesso all’esperienza millenaria dell’attività mineraria.
Ma c’è anche un’altra ragione, non meno importante, per cui il parco è stato concepito: collegare il futuro delle nuove generazioni all’eredità delle popolazioni vissute in quei territori per costruire una nuova progettualità delle risorse funzionale ai bisogni delle comunità locali. Questo obiettivo è possibile, dichiarano i sostenitori del parco. Esistono esperienze significative anche nel nostro paese, dove si è lavorato, una volta dismesse le attività minerarie, sia per la salvaguardia del patrimonio archeologico industriale che per la sua valorizzazione attraverso la riconversione economica e sociale dei territori interessati. Gli effetti di questi interventi sono stati il più delle volte incoraggianti, si è creata nuova occupazione soprattutto nei settori della ricerca, delle attività culturali e di quelle turistiche. C’è chi ipotizza che il parco potrebbe produrre lavoro per 800-1000 persone. Sono ipotesi da non sottovalutare soprattutto se si pensa ai lavoratori che usufruiscono degli ammortizzatori sociali o alla percentuale dei disoccupati in Sardegna (114.000 i primi, il 14,1% la seconda, come ci ricorda Mariano Carboni in un altro articolo del quindicinale).
In Sardegna la consapevolezza di questa alternativa è arrivata in ritardo, e ancora oggi si è costretti a dar vita a presidi e mobilitazioni di massa per vedere riconosciuta la validità di un progetto che potrebbe svolgere un ruolo importante nello sviluppo dell’economia isolana, non solo del Sulcis.
L’isola ha pagato un prezzo elevato nell’aver difeso oltre il dovuto «l’indifendibile», un’attività estrattiva giunta ormai a esaurimento. Di ciò vengono accusate oggi le classi dirigenti e anche le forze sociali, ritenute colpevoli di aver ritardato l’avvio di uno sviluppo diverso.
È difficile comunque attribuire responsabilità per questi ritardi, e sarebbe persino ingeneroso. L’abbandono delle attività minerarie per molti ha significato una cesura con la propria storia. Non va dimenticato che le attività minerarie, in Sardegna, hanno avuto un’importanza rilevante nella vita di tante persone. Le vicende di Montevecchio ne sono un esempio. La miniera fu la prima data in concessione e già nel 1865 divenne, con 1100 operai, la più importante non solo dell’isola ma del Regno. La stessa si distinse per aver avviato i processi di elettrificazione e per l’adozione di nuovi sistemi di perforazione, prima a secco e poi ad acqua, ritenuti meno nocivi per i minatori. Certo, le condizioni di lavoro dei minatori non erano le migliori. Negli anni quaranta, solo a Carbonia lavoravano 18 mila minatori: era la realtà industriale più importante d’Italia dopo la Fiat.
Oggi l’attenzione è comunque rivolta all’attualità. E il presidio a Villa Devoto, ribadiscono i rappresentanti delle associazioni, verrà mantenuto sino a quando il presidente della Regione non sottoscriverà l’intesa con il ministro dell’Ambiente per dare corso alla riforma del Consorzio. È un impegno importante che va sostenuto con determinazione, anche se non sfuggono le difficoltà che nasceranno nell’attuazione delle attività del Consorzio.

I rappresentanti delle associazioni hanno ben chiaro il dovere di esprimere la propria solidarietà ai lavoratori dell’Alcoa contro la chiusura della fabbrica.

1 Commento a “Salviamo il Parco Geominerario”

  1. Matteo scrive:

    Nel nostro blog: http://www.italianguidebook.com consigliamo una visita alla miniera di Montevecchio, che è secondo noi una delle testimonianze maggiormente suggestive della storia Sarda.
    Questo parco offre un unico paesaggio di pietre, vegetazione rada e specchi d’acqua, reso ancora più severo dall’intervento dell’uomo.
    Se siete curiosi di vederlo ed eventualmente commentarlo andate su:
    http://www.Italianguidebook.com
    Ciao

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