Marcegaglia doppia

16 Settembre 2010

marcegaglia

Marco Ligas

E’ determinata Emma Marcegaglia quando difende la disdetta del contratto dei metalmeccanici. Riconosce in questa decisione un’accelerazione della Fiat ma rifiuta l’ipotesi di un ricatto; preferisce usare eufemismi: solo un’esigenza perché le aziende diventino più competitive. Come se, nel nostro paese, sia una regola consolidata che ad una crescita della produzione corrispondano nuovi investimenti per la ricerca e un adeguamento delle strutture produttive. E ormai, come consuetudine, nei suoi discorsi non manca l’attacco frontale alla Fiom, colpevole di contrastare ogni cambiamento che renda le aziende più idonee a stare nel mercato. Per la Marcegaglia e per l’associazione degli imprenditori ha poca importanza che la disdetta unilaterale dei contratti del lavoro non rientri nella nostra legislatura e offenda la stessa Costituzione.
L’importante è intensificare i ritmi di lavoro, rendere competitivi i nostri prodotti, se no le aziende saranno costrette a trasferirsi altrove dove la mano d’opera costa tre o quattro volte di meno. I lavoratori devono capire i meccanismi della globalizzazione, ridimensionare le loro pretese, essere disponibili a rinunciare alla mensa durante l’orario di lavoro perché le pause rompono i ritmi, riducono la concentrazione e la produttività. Anche lo sciopero andrebbe ridimensionato, meglio eliminato, perché si identifica sempre più col sabotaggio e mette in discussione l’organizzazione del lavoro così come viene impostata dall’azienda. Insomma serve un grande impegno perché l’azienda Italia mantenga una posizione di prestigio su scala mondiale, naturalmente per azienda Italia deve intendersi il sistema delle imprese, l’unico soggetto capace di orientare lo sviluppo e produrre ricchezza.
Se poi alla crescita della produttività si accompagnasse una riduzione delle tasse, beh questo intervento consentirebbe una boccata d’ossigeno molto importante ai bilanci delle aziende, le quali non sarebbero più costrette ad evadere il fisco ma potrebbero accumulare i loro profitti in piena legalità, senza trasferire più i capitali all’estero, evitando così le attese talvolta estenuanti dei condoni che comunque, per bene che vada, sottraggono almeno il 5% dei profitti.
La riduzione della spesa pubblica è l’altro tassello che Emma Marcegaglia vorrebbe aggiungere al programma confindustriale. Verrebbe perfezionato così un progetto, magari non caratterizzato da un capitalismo illuminato, ma fondato comunque su dati collaudati: intensificazione dei ritmi di lavoro, bassi salari, riduzione dell’imposizione fiscale e della spesa pubblica. Del resto l’Italia non è forse un paese dove le politiche sociali (pensioni, assistenza sanitaria, istruzione pubblica) impongono un uso sproporzionato di risorse che potrebbero essere utilizzate più razionalmente attraverso un sostegno alle attività imprenditoriali?
Verosimilmente il rifiuto del voto anticipato, ribadito nel corso di queste settimane, nasce anche da qui: dalla consapevolezza che solo questo governo può favorire la realizzazione della politica auspicata dalla Confindustria.
Eppure non è difficile cogliere un’incongruenza nelle rivendicazioni della Marcegaglia; riguarda proprio la sua richiesta di revisione dei criteri della spesa pubblica. Al richiamo del rigore perché il denaro pubblico venga utilizzato con razionalità non corrispondono comportamenti coerenti quando ad usufruire dei beni comuni sono proprio le aziende collegate alle attività della presidente della Confindustria.
Abbiamo più volte sottolineato come proprio in Sardegna la signora Marcegaglia abbia trovato una gallina dalle uova d’oro. Non è la prima imprenditrice a sfruttare le risorse della nostra isola ma ciò non attenua le sue responsabilità, soprattutto per il ruolo che riveste nel mondo imprenditoriale. Da una parte riceve in concessione a condizioni di estremo vantaggio (perché proprio lei?) le strutture pagate dallo Stato fior di milioni (i progetti legati alla realizzazione del G8 a La Maddalena), dall’altra conduce attività che poco si conciliano col rigore (investimenti nel settore turistico in aree soggette a vincoli paesaggistici).
Sono aspetti che confermano la doppiezza del padronato e ne sanciscono l’inattendibilità soprattutto quando propongono forme di collaborazione con i lavoratori nel nome di una crescita che sarebbe utile a tutti.

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