A Bologna l’associazione Sokos pratica la cura come atto d’amore e di giustizia
2 Dicembre 2025
[Anna Maria Francioni]
A Bologna, in via Gorky 12, esiste un luogo in cui la medicina torna alla sua essenza più antica e umana: quella di prendersi cura. Sokos, che in greco significa “sano, salvo, incolume”, nasce nel 1993 da un gruppo di sei amici – medici e non – uniti da una convinzione semplice ma rivoluzionaria: la salute è un diritto universale, non un privilegio.
Quello che allora era un piccolo esperimento di volontariato tra i campi nomadi e i profughi dell’ex Jugoslavia, è diventato oggi un presidio di salute e di umanità che accoglie chi resta ai margini del sistema sanitario: persone senza fissa dimora, migranti senza permesso di soggiorno, cittadini comunitari esclusi dalle tutele del SSN. Sokos è la risposta silenziosa e concreta a un paradosso che ancora lacera la nostra società: in un Paese che all’articolo 32 della Costituzione garantisce il diritto alla salute come diritto fondamentale, troppe persone restano escluse dalle cure.
Dal 1996, grazie alla convenzione con l’Azienda Sanitaria di Bologna, Sokos ha trovato una casa, prima in via Montebello e poi in via de’ Castagnoli, fino all’attuale sede di Corticella. Qui, ogni settimana, un’équipe di medici, infermieri e operatori volontari offre visite gratuite di medicina generale e specialistica. Tutto il personale lavora senza compenso, spinto da una motivazione che non si compra: l’amore per la professione e per le persone.
Con il tempo, la medicina di base si è arricchita di specialistiche – dalla ginecologia alla terapia del dolore – costruendo un servizio capace di rispondere non solo al bisogno clinico, ma anche a quello umano, culturale e sociale. Perché curare, in Sokos, significa anche ascoltare.
Senza clamore, Sokos da oltre trent’anni colma i vuoti lasciati dal sistema, offrendo un servizio essenziale che alleggerisce anche il carico del Servizio sanitario.
Ogni visita diventa un incontro tra mondi: un paziente porta con sé la storia del proprio corpo, ma anche quella del suo Paese, delle guerre, delle fughe, delle ingiustizie. Sokos è così anche un osservatorio prezioso sul mondo, dove la medicina si intreccia con la geografia umana del nostro tempo. Le nazionalità cambiano, i volti si alternano, ma resta costante la trama invisibile che lega ogni storia: la ricerca di dignità attraverso la salute. In una società che tende a escludere chi non produce o non consuma, Sokos resiste come una scelta civile di cura e di solidarietà. Non spettacolarizza la solidarietà, la pratica. Non promette miracoli, ma offre presenza. E lo fa con mezzi minimi, senza fondi strutturali, solo grazie alla dedizione di chi crede che la cura sia un gesto di giustizia sociale.
«Non sempre basta curarsi», dicono i volontari, «la possibilità di sentirsi parte, di essere riconosciuti, deve essere un diritto». È in questa frase che si riassume l’anima di Sokos: la medicina come spazio di incontro, dove le differenze non dividono ma costruiscono.
Oggi Sokos chiede solo una cosa: di essere conosciuto. Non per farsi pubblicità, ma per continuare a esistere. Perché in quell’ambulatorio silenzioso pulsa qualcosa che raramente si trova altrove: la prova che un mondo più giusto è possibile, se qualcuno sceglie ogni giorno di guardare negli occhi chi è stato lasciato indietro.







