No al trasferimento dei detenuti di Iglesias

16 Marzo 2014

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Roberto Loddo

Le carceri sono diventate lo specchio dell’illegalità costituzionale dello Stato italiano. A dirlo non sono solo le associazioni a difesa dei diritti umani ma il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che il 6 marzo ha espresso “seria preoccupazione” per il modo in cui l’Italia sta affrontando il sovraffollamento carcerario. La Sardegna non è estranea a questa costante violazione dei diritti delle persone private della libertà. Proprio in queste ore un comitato di familiari dei detenuti del carcere di Iglesias è mobilitato contro la decisione del Ministero della Giustizia e del Dap di trasferire un numero considerevole di detenuti da Iglesias a penitenziari di altre province.
Una scelta in palese contraddizione con l’articolo 42 dell’ordinamento penitenziario: “Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie” e con l’articolo 1 della legge 354/1975: “Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi”.
Al contrario si negano alle persone detenute i presupposti che per legge conciliano le esigenze della custodia con quelle della rieducazione emarginandoli sempre di più dal proprio contesto sociale e e territoriale. Il carcere di Iglesias è uno dei pochi istituti dove alle persone detenute sono garantite condizioni di vita rispettose della dignità e dei diritti come previsto dal Consiglio d’Europa. Eppure la vera motivazione del trasferimento sembra essere la chiusura dello steso carcere di Iglesias. Una scelta decisa unilateralmente che avrà gravi ripercussioni anche su tutto personale in servizio e denunciata nei mesi scorsi anche dai sindacati della polizia penitenziaria in mobilitazione da ottobre con una manifestazione sotto il palazzo del consiglio regionale.
Questi trasferimenti, motivati solamente da interessi interni all’amministrazione penitenziaria, provocano pesanti disagi ai detenuti e ai loro familiari. Ogni persona privata della libertà deve essere messa in condizione di scontare la sua pena nel suo luogo di residenza perché la detenzione lontano dai propri familiari grava su situazioni economiche difficili, e provoca ripercussioni psicologiche per i limiti ai rapporti affettivi. Questa condizione di lontananza va a ledere anche lo stesso diritto alla difesa che viene ostacolato con un aggravio delle spese legali di trasferta sostenute dagli avvocati.

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