Alcoa manda tutti a casa *

11 Gennaio 2012

Costantino Cossu

La multinazionale Usa chiude a Portovesme: 1000 persone tra diretti e indotto sul baratro della disoccupazione. I sindacati: «Violati gli accordi siglati, Passera ci convochi subito» In Texas e in Tennessee gli stabilimenti li hanno già chiusi. Ora è il momento dell’Europa. Alcoa, colosso Usa tra i principali produttori mondiali di alluminio, cessa ogni attività a Portovesme, in Sardegna, dove 800 operai (e almeno 200 nell’indotto) perderanno il lavoro. Meno peggio andrà in Spagna, dove non ci sarà serrata, ma drastica riduzione della produzione, sia negli impianti di La Coruña che ad Aviles.
Agli operai sardi la comunicazione è stata data l’altro ieri dalla direzione. Il dettaglio è possibile leggerlo in un comunicato sul sito www.alcoapotovesme.info, datato New York, 9 gennaio 2012: «Alcoa ha annunciato oggi l’intenzione di ridurre le capacità produttive o di fermare le attività in tre impianti di produzione di alluminio primario in Europa. Ciò rientra all’interno di un piano di ristrutturazione del suo business primario globale, volto a ridurre la capacità totale di produzione di alluminio primario del 12%, ovvero di 531 mila tonnellate. Le attività negli stabilimenti Alcoa di Portovesme in Italia, di La Coruña e Aviles in Spagna verranno ridotte o fermate: l’obiettivo è quello di completare il piano entro la prima metà del 2012. Questi stabilimenti sono tra i siti con i più alti costi nell’ambito del sistema Alcoa. La scorsa settimana, Alcoa ha annunciato la chiusura permanente di una propria fonderia in Tennessee e di due linee produttive dello stabilimento di Rockdale in Texas». Sin qui l’annuncio. Poi la spiegazione: «Una posizione energetica non competitiva, combinata con costi delle materie prime crescenti e con il crollo dei prezzi dell’alluminio hanno condotto a dover pianificare le riduzioni delle capacità produttive o le fermate in Italia e Spagna». La chiusura delle trimestrali ha visto Alcoa archiviare il 2011 con una perdita di 193 milioni di dollari, contro un utile netto di 258 milioni per lo stesso periodo del 2010. La perdita per azione è stata di 18 centesimi, di 3 centesimi se si sottraggono i costi di ristrutturazione, ma comunque di un centesimo superiore a ciò che gli analisti ritengono sia la soglia di buona redditività del titolo. Il fatturato Alcoa risulta invece in crescita: 5,99 miliardi contro i 5,65 miliardi del quarto trimestre 2010, con un incremento del 6% su base annua. Le difficoltà del gruppo Usa sono dovute al crollo dell’11% del prezzo dell’alluminio nell’ultimo trimestre, a sua volta causato dalla riduzione dell’attività produttiva in tutti i settori a livello mondiale.
E siccome a questo si aggiungono le fosche previsioni di un 2012 in recessione, ce n’è abbastanza, secondo i dirigenti Alcoa, per tagliare senza indugi, cominciando dagli impianti ritenuti a minore tasso di produttività, quelli sardi, penalizzati da un basso standard tecnologico e da un alto costo dell’approvvigionamento energetico, dato quest’ultimo che pesa su tutte le attività industriali in Sardegna (l’insularità è, a causa soprattutto dell’elevato costo dei trasporti, un handicap notevolissimo).
A Portovesme i circa 800 operai Alcoa non andranno subito sulla strada. L’azienda dice di voler avviare un «processo di consultazione» prima di chiudere, al massimo entro 6 mesi, l’impianto. «Questa decisione è stata presa dopo analisi approfondite di tutte le possibili alternative – dice Chris Ayer, vice presidente esecutivo del gruppo Usa – Ci impegniamo a trovare soluzioni che minimizzino l’impatto sulle comunità locali e sui lavoratori. Inizieremo immediatamente le consultazioni con i rappresentanti sindacali e le istituzioni». Ieri c’è stato a Cagliari un incontro tra dirigenti Alcoa e sindacati nella sede della Confindustria. I sindacati hanno chiesto all’azienda di ritirare la decisione di chiudere, ma il gruppo Usa ha risposto che andrà avanti. Da parte sindacale si chiederà nei prossimi giorni un intervento di mediazione del ministro Corrado Passera.
Ieri mattina ai cancelli la tensione era molto alta: «L’anno scorso – dicono gli operai – abbiamo firmato un accordo con Alcoa e con il governo in cui l’azienda si impegnava a rinnovare tecnologicamente gli impianti in cambio di un impegno dell’esecutivo a ridurre il peso del gap energetico. Non è stata fatta nessuna delle due cose.
E ora Alcoa chiude, in un vuoto totale di iniziativa politica, in un’assenza assoluta di una sia pur minima parvenza di politiche industriali degne di questo nome. Con Monti come con Berlusconi». La speranza a Portovesme è morta, resta solo la rabbia. In attesa che i manager Usa avviino quella che loro chiamano la «consultazione» per stabilire come mandare tutti a casa, qualcuno, con uno spray, sul logo Alcoa che campeggia all’ingresso della fabbrica ha scritto: «Andate via, bastardi».

*Il Manifesto, 11-01-2012

1 Commento a “Alcoa manda tutti a casa *”

  1. Omar Onnis scrive:

    È così difficile ammettere che era tutto già scritto? L’industrializzazione pesante della Sardegna è stata per precisa scelta un’operazione politica e sociale, non certo economica. Ora che è finita, ci rimangono territori devastati sia dal punto di vista ambientale, sia da quello sociale e culturale. Piuttosto che piangere e innalzare suppliche alle divinità oltremarine (suppliche destinate a rimanere inascoltate, ovviamente), perché non pianificare noi stessi il nostro futuro? Intanto avviare immediatamente le pratiche per le bonifiche di tutta l’area. In base alle normative europee “chi sporca, pulisce”. A livello internazionale è un principio pacifico. In surroga, qualora i responsabili dell’inquinamento non potessero accollarsi le spese di bonifica, subentrerebbe l’ente che doveva vigilare, per noi il mistero dell’ambiente italiano (ossia, il governo, lo stato). Gestendo noi le operazioni, si potrebbe pretendere che la manodopera “dismessa” venisse formata e ri-occupata nel lavoro di bonifica. Nel frattempo andrebbe progettata la riconversione economica dell’intera area. L’hanno fatto nel bacino della Rhur, a Essen. Andare a vedere cos’è successo lì, please. Basta con i piagnistei e con gli improbabili auspici che tutto riamanga com’era (vedi posizioni di PD, sinistra variamente assortita, PDL, sndacati). Non se ne può più. Certamente, se penso che al governo della RAS c’è la gente che c’è e all’opposizione se possibile è anche peggio, l’ottimismo della volontà vacilla.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI