Ancora sulle ragioni del NO

1 Dicembre 2016
No di Stefano Puddu Crespellani

No di Stefano Puddu Crespellani

Roberto Mirasola

È quanto mai curioso il battibecco tra il Presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem e Matteo Renzi. Da una parte ci ricordano che l’Italia deve perseguire una politica di maggior rigore, dall’altra si minaccia di mettere veti sul bilancio europeo. In realtà si tratta di un cinico gioco delle parti con il Presidente del consiglio impegnato a far credere al suo interno di poter alzare la voce in Europa. Basti d’esempio il giochetto delle bandiere U.E. scomparse poi riapparse dal suo studio. Purtroppo la realtà è molto diversa e lo dimostra il via libera alla riforma Costituzionale data da Wolfgang Schauble, il custode del dogma liberista del rigore di bilancio, l’uomo che un anno fa ha messo in ginocchio un intero paese: la Grecia. È del tutto evidente che la riforma Renzi-Boschi è funzionale ad un sistema di potere vicino al mondo della finanza e non è un caso che quel mondo ha iniziato a minacciare crisi di instabilità nel caso in cui dovesse vincere il fronte del NO. È funzionale perché restringendo gli spazi di democrazia meglio si puo’ controllare l’operato del governo. Non è un caso che nella relazione di accompagnamento della riforma Costituzionale si può leggere che tale riforma risponde a ”l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea e alle relative stringenti regole di bilancio”. Certo la propaganda del SI si guarda bene dal sostenere certe tesi in pubblico, e martella con slogan da fare invidia ai peggiori populisti. Il problema è che la nostra classe politica ha abdicato al suo ruolo e da tempo subiamo imposizioni che il nostro sistema economico non può reggere. Una su tutte l’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio. Faccio sommessamente notare che in quel caso il procedimento legislativo ha funzionato egregiamente e velocemente. Dunque il bicameralismo perfetto quando si vuole non è di intralcio. Purtroppo oggi esiste una classe politica che potremmo definire cortigiana, sempre pronta ad obbedire ai potenti di turno. Stesso dicasi per la Sardegna. Le passerelle e i selfie con Renzi e con la Boschi danno l’impressione che per i nostri rappresentanti si tratti di incontri di alta società piuttosto che Istituzionali. Purtroppo manca una dignità ed una visione di Sardegna che possa con schiena dritta dibattere per la difesa di una terra sempre più emarginata dai processi decisionali. I dati economici non danno scampo e del resto parlano chiaro sopratutto se ci riferiamo alla disoccupazione. Dispiace dirlo, ma i vertici politici locali sembrano non aver ben compreso le conseguenze cui andiamo incontro con la modifica del titolo V. Molto abbiamo scritto a riguardo della clausola di supremazia ma in questa sede preme esaminare le ripercussioni negative dovute al fiscal compact. Il nuovo testo di riforma limita l’autonomia finanziaria delle Regioni, sia ordinarie che speciali, a causa della riscrittura dell’art.119 operata con legge costituzionale 1/2012 appunto l’equilibrio di bilancio in Costituzione. Ora la materia di coordinamento di finanza pubblica non solo è conferita alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ma non rientra tra quelle materie per le quali è previsto un procedimento legislativo bicamerale, quindi il cosiddetto senato delle Autonomie è tagliato fuori. La Corte ha in più occasioni evocato la tutela dell’unità economica proprio in relazione al contenimento della spesa pubblica per allinearla agli standard stabiliti in sede europea. Possiamo immaginare cosa accadrà con la clausola di supremazia inserita in Costituzione.Non dimentichiamoci le proteste dei nostri sindaci sui vincoli di bilancio, fatte in queste settimane, che non a caso subiscono le conseguenze delle politiche di austerità. In queste settimane più volte ho presenziato in qualità di relatore in diversi paesi e spesso ho constatato il senso di sconforto delle comunità che si sentono abbandonate dalla Regione vista sempre più come esempio della politica centralista che si vuole adottare.

In fin dei conti siamo un po’ tutti orfani di una politica capace di arginare i grandi interessi finanziari e dei grandi capitali capaci soltanto di speculare e non di creare ricchezza. Forse è anche giusto così, l’ultima parola passerà dal popolo sovrano, almeno sino a quando questo sarà ancora consentito.

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