Appesi sui fili del terrore e dell’ignominia. Come reagire
26 Giugno 2025[Aldo Lotta]
Il 2 maggio una nave di soccorso civile della Freedom Flotilla è stata centrata in pieno dai droni: gli stessi droni killer israeliani che uccidono quotidianamente decine di bambini e donne a Gaza e proprio gli stessi droni killer israeliani, ampiamente testati nella Striscia.
Droni che vengono prodotti anche a Domusnovas dalla nostra RWM, uno dei fiori all’occhiello dell’industria militare italiana. Quella nave faceva parte di una flotta umanitaria che ogni anno tenta di trasportare pacifici attivisti e soprattutto beni di prima necessità destinati ad un popolo privato, per una oscena volontà politica che ci coinvolge, delle risorse essenziali per la sopravvivenza.
Solo la prima spedizione della Freedom Flotilla, nel 2008, raggiunse la costa di Gaza. Nel 2010, una delle navi della flotta, la Mavi Marmara venne intercettata in acque internazionali dalle forze israeliane e nove componenti dell’equipaggio uccisi sul posto (un decimo passeggero morì successivamente in seguito alle ferite riportate). Come tutti sanno, anche quest’anno la Flotilla, guidata dalla nave Madleen battente bandiera britannica, è partita da Catania con un carico di latte in polvere per neonati, farina, riso, pannolini, kit medici e stampelle.
Nelle prime ore del nove la Madleen è stata abbordata e sequestrata, compreso l’equipaggio, dalle forze israeliane in acque internazionali. Le dodici persone a bordo, tra cui Greta Thunberg e l’eurodeputata francese Rima Hassan sono state trasportate in un centro di detenzione in Israele. I membri dell’equipaggio, insultati, derisi e detenuti, sono stati successivamente deportati da Israele.
Nelle stesse acque del nostro Mediterraneo incrociano da molti anni altre navi civili: sono quelle delle ONG, sempre più numerose, votate al soccorso dei migranti che fuggono da situazioni disperate causate immancabilmente dalle fameliche politiche colonialistiche del capitalismo imperiale.
Sempre ai primi di maggio a Cagliari ha invece fatto approdo un altro tipo di flotta, non civile e non di soccorso, ma militare. E, tuttavia, la nave ammiraglia di questa flotta , la portaerei Trieste, ha voluto trasformarsi, per un giorno, in un luogo di prevenzione medica, offrendo degli screening gratuiti per i bambini cagliaritani.
Ma la Trieste, e l’intera flotta, si trovavano alla vigilia di un lungo periodo di manovre atte a “…sviluppare e condurre attività esercitative interforze sia nazionali sia nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, al fine tanto di testare le procedure e aumentare il livello di professionalità del personale che con il coinvolgimento pieno delle istituzioni…”.
Un’attività bellica, dunque, che si è protratta fino a ridosso del periodo estivo coprendo un’ampia porzione del territorio sardo e che si è voluta (dovuta) presentare attraverso un’immagine tanto ammiccante quanto intrinsecamente inquietante di una mamma-medico insieme al suo bambino. immagine replicata su media e grandi cartelloni, destinata a svolgere il compito improbabile ed ipocrita di coprire con ampi sorrisi e con una patina di bianco e blu un vuoto immenso e oscuro. Vuoto tetro e volutamente impenetrabile, come il futuro dei nostri bambini, e come quell’entità violenta e criminale percepibile in qualsiasi coinvolgimento nell’orribile genocidio in corso.
Flotta, quindi, al servizio della morte: lungi dall’appartenere al servizio sanitario pubblico previsto dalla Costituzione, servizio oggi ampiamente disfunzionale e sotto-finanziato. Facente parte di quell’apparato militare, alimentato da miliardi di soldi pubblici, strettamente alleato di Israele e suddito degli Stati Uniti nel processo di pulizia etnica del popolo palestinese.
Un vero e proprio sepolcro imbiancato, quindi, ha accolto i nostri figli e nipoti per imprecisati screening gratuiti, per poi ri-abbandonarli alla quotidianità delle sadiche e criminali interminabili liste d’attesa, in un sistema pubblico in cui la prevenzione sanitaria, prevista come un pilastro ineludibile della legge 833/78, non esiste quasi più. I consultori, gli screening nelle scuole sono ormai stati smantellati o non funzionano. Questa è la nostra realtà, tanto che un esito simbolicamente e grottescamente infausto delle esercitazioni Joint Ventures 2025 è stato lo “smarrimento” di due missili, con tutta la loro carica esplosiva, al largo del poligono di Quirra, tanto da interdire attività di pesca e turismo nella zona.
Un filo sottile ma ben visibile ci porta per un attimo al di là delle nostre coste oggi martoriate dai giochi di guerra per ritrovarci nel luogo dove il gioco diventa massacro e la violenza militare si esercita in tutta la sua orrida ferocia: Gaza:
«Lì non entrerà neppure un chicco di grano», ha dichiarato il 7 aprile il ministro delle finanze Smotrich riferendosi alla Striscia. Lo stesso Smotrich, ha aggiunto con cinica schiettezza che Israele «sta annientando tutto ciò che rimane nella Striscia lasciandola in rovina con una distruzione senza precedenti e il mondo non ci ha ancora fermato».
Il Genocidio contro i Palestinesi, questa sagoma scura enorme incombente sulle nostre coscienze, è sempre più doloroso, lacerante e sempre più difficile da eludere o nascondere a noi stessi. Ecco cosa possiamo, e dovremmo vedere dietro a quei cupi manifesti, dietro quei sorrisi di carta ipocriti e offensivi: le espressioni agghiacciate, supplicanti o ormai spente delle vittime di un genocidio in diretta, soprattutto donne e bambini. È qui davanti a noi, il crimine di tutti crimini, delitto collettivo portato avanti con connivenza e complicità da quasi tutti i Paesi occidentali, tra i quali l’Italia spicca per la sua sensibile vicinanza geografica al popolo palestinese massacrato e per quella politico-strategica ai governi israeliani criminali.
E oltre ad essere il primo genocidio nella storia preso in esame da una Corte Internazionale è un orribile colpo al cuore del diritto internazionale.
L’urlo che oggi si leva dai palestinesi trucidati, inceneriti, mutilati, o costretti dalla fame e sete dentro gabbie infernali, come inumani macelli, a contendersi, sotto gli spari di cecchini e droni, scatole di cibo a mala pena sufficienti per due giorni di sopravvivenza ci conduce ad un’agghiacciante realtà: davanti ai nostri occhi sta avvenendo – nelle intenzioni del governo israeliano e con la nostra complicità – l’atto definitivo, la “soluzione finale” della Nakba (Catastrofe), della pluridecennale punizione collettiva contro un intero popolo.
I nostri governi oggi, schierati con l’occupante israeliano, stanno devastando popoli interi e calpestando e dilaniando l’ordine fondato su regole giuridiche e morali che i nostri padri e nonni hanno voluto instaurare, dopo le guerre e l’olocausto, fondando e scrivendo solennemente il corpo giuridico del diritto internazionale, le convenzioni di Ginevra e la Costituzione. E in Italia non c’è più niente di legale e costituzionale nelle azioni del governo, lo vediamo giorno dopo giorno (l’esempio più recente è dato dalle norme liberticide e fasciste contenute nel decreto sicurezza). E una nazione che pur professandosi democratica va contro le regole costituzionali non è più democratica, e non è neanche più una nazione.
Oltre al genocidio, viviamo un cambiamento epocale dagli esiti imprevedibili, e si rischia di non poter più tornare indietro. Quell’occupazione sta ormai velocemente trascendendo i limiti del territorio di Gaza e Cisgiordania, per estendersi progressivamente ad altre regioni, ad aree della Siria, del Libano, mentre l’annientamento dell’Iran continua a rappresentare un esplicito, criminale obiettivo. Non dimentichiamoci che Israele è l’unico Stato al mondo a cui noi occidentali non abbiamo assegnato confini certi (così come l’unico Stato a cui non abbiamo assegnato regole giuridiche certe).
E, paradossalmente, gli abbiamo invece riconosciuto e assegnato il compito di rappresentare l’occidente oltre il Mediterraneo, attraverso pervasive azioni di violenza e terrorismo. E come se l’idea storica occidentale e specificamente tedesca e italiana del Lebensraum o Spazio Vitale, fondante del nazionalsocialismo e fascismo, sul «diritto naturale» di alcuni popoli ad espandersi su territori limitrofi e a spese di altri, sia semplicemente passata di mano.
Più di 50 anni fa i Vietnamiti hanno costituito l’obiettivo sacrificale della volontà, negata, di espansione degli Stati Uniti in Asia, con più di 2 milioni di vittime civili.
Da allora gli USA, invece di ricavare degli insegnamenti dalle ripetute cocenti sconfitte, (anche se più spesso ricorrendo all’innesco di golpe e complotti secondo il più saggio “Metodo Giacarta”) sono andati avanti nella politica di velleitaria egemonia politica e militare sul mondo, configurandosi non come Stato democratico ma come impero coloniale di insediamento, con Israele tragico avamposto mediorientale. Oggi, dopo l’Iraq, l’Afganistan, la Libia, la Siria e il genocidio palestinese, sembra arrivato il turno dell’Iran, mentre noi siamo immancabilmente coinvolti, nella consueta veste di adulatori proni, servili e non pensanti, sia nella pulizia etnica e carneficina palestinese sia nella nuova criminale “campagna” mediorientale.
E i nostri giovani vengono subdolamente educati ad un futuro di progressiva e massiva mobilitazione militare, permanente ed effettiva, al servizio di una politica coloniale, mortifera e stragista.
E infatti, appena al di là delle nostre coste, ecco il Vietnam che ci è stato assegnato: la Palestina. Possiamo, dobbiamo riportare alla nostra memoria la foto della bambina vietnamita che fugge, nuda e sola, dall’orrore delle bombe al napalm. Come non accostarla a quelle di centinaia di migliaia di bambini palestinesi, come Hanin, che fugge tra le fiamme della scuola attaccata: ”Ero sotto le coperte e improvvisamente il fuoco mi ha investita. Ho sentito Mimi [la sorella] chiamare la mamma, ma non riuscivo a trovarla. Ho anche gridato ‘mamma, mamma’. Sono uscita e ho iniziato a piangere”, ha raccontato Hanin in ospedale, con gli occhi gonfi e chiusi, metà del viso ed entrambe le mani coperte di ustioni. Sua madre, suo padre e sua sorella sono morti nell’incendio, insieme ad altre 30 persone.
Sfondiamo quindi idealmente quei manifesti osceni e grotteschi e mostriamo ai nostri politici la cruda, orribile realtà che non vorrebbero che noi guardassimo. Formiamo finalmente una grande rete collettiva di resistenza, senza divisioni, che spieghi alle istituzioni che la nostra intelligenza non può più essere offesa e la nostra coscienza non può essere comprata. Ricordiamo loro perché sono lì a governare, che si leggano i sacri statuti e la costituzione su cui hanno giurato e che agiscano finalmente seguendo le regole universali di giustizia e morale.
Chiediamo con forza il blocco del flusso di armi verso Israele e l’adozione del boicottaggio generalizzato di istituzioni e aziende che traggono vantaggi dall’occupazione israeliana. Il fatto che in questi mesi anche in Italia si siano moltiplicati i gruppi BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, tre parole-chiave che rinviano a tecniche ampiamente sperimentate nella storia del movimento nonviolento, da Gandhi a Martin Luther King a Nelson Mandela, attraverso il determinante boicottaggio globale del Sudafrica dell’apartheid fino ai boicottaggi ugualmente vittoriosi contro la Nestlè o la Nike) e si registri un’impennata di adesioni alla campagna SPLAI (Spazi Liberi dall’Apartheid Israeliano) da parte di negozi, centri culturali, librerie, associazioni (da ultimo, l’Arci), è un rilevante motivo di speranza: “Il movimento Bds sostiene la parità di diritti per tutte e tutti e perciò si oppone a ogni forma di razzismo, fascismo, sessismo, antisemitismo, islamofobia, discriminazione etnica e religiosa». Non può esistere un motivo per dare le spalle a tali principi, e infatti Il movimento BDS ha visto l’adesione di diverse città e regioni italiane. Tra queste, si segnalano la Regione Puglia, la Regione Emilia-Romagna, il Comune di Bologna e il Comune di Rimini, che hanno annunciato l’intenzione di interrompere relazioni istituzionali con il governo israeliano.
Dovremmo prendere in prestito un concetto caro alla cultura palestinese, maturato in seguito alle loro drammatiche vicende storiche, e racchiuso nella parola Sumud: intraducibile in italiano, Sumud indica perseveranza, coraggio, e insieme compassione, solidarietà, dedizione.
Resistere dunque: resistere è esistere, e senza resistenza non c’è niente che si possa chiamare vita.
1798-Francia – Dictionnaire de l’Accadémie Française”: “terrorisme” = regime fondato sul terrore; sistema che si regge sul terrore
1980-USA – CIA “Central Intelligence Agency”: Terrorismo: la minaccia o l’impiego della violenza a fini politici da parte di individui o gruppi”.
*da “Ho ancora le mani per scrivere. Testimonianze dal genocidio a Gaza”, a cura di Aldo Nicosia, Edizioni Q, cit. da Le Monde Diplomatique, Giugno 2025.