ASCE Sassari sui fatti del campo Rom di Piandanna

16 Giugno 2020
[Michele Salis]

Nella mattinata di ieri, lunedì 15 giugno, l’associazione sarda contro l’emarginazione ha avuto notizia, dalle famiglie delle comunità Rom Khorakhanè di Piandanna, della notifica di alcune denunce e del sequestro di due aree del campo e di alcuni mezzi di loro proprietà. Già prima che le numerose pattuglie della municipale lasciassero il campo, in numerose testate online veniva riportata la velina diffusa dall’ufficio stampa del Comune di Sassari.

Teniamo innanzitutto a precisare che le persone denunciate fanno parte della comunità Rom cittadina da oltre 30 anni, sono tutte residenti a Sassari e alcune di loro hanno passaporto Bosniaco, altre la cittadinanza italiana. Stiamo dunque parlando di sassaresi a tutti gli effetti, non di generici cittadini stranieri.

In secondo luogo, a differenza di altri insediamenti spontanei, quello situato a Piandanna è un insediamento comunale, la cui buona gestione dipende, oltre che dalle due comunità che ci vivono, dall’Amministrazione Comunale, e in particolare dall’Assessorato ai servizi sociali. Questo aspetto è centrale nel racconto di tutta la vicenda, che non nasce dall’oggi al domani. È un dato di fatto che questa e la precedente amministrazione comunale erano a conoscenza dello stato del campo, e hanno tutti i mezzi per superare questa situazione di isolamento e ghettizzazione sociale. Infatti, anche al Comune di Sassari sono arrivati i fondi comunitari da destinare al superamento del campo, ma a differenza degli altri comuni della Sardegna dove insistono comunità Rom (in cui, seppur con tanti limiti, qualcosa è stato fatto), a Sassari non si è speso neanche un euro in tale senso.

In altre parole il comune ha da oltre un anno e mezzo i fondi (545.000 € per la precisione) per rompere quella catena di segregazione che li ghettizza, li costringe all’isolamento e alla perpetuazione dell’unico lavoro che gli pare riconosciuto da questa società (lo smaltimento dei metalli).

La nostra associazione pensa che il superamento del campo, sia fisico che mentale inteso come una situazione di ghettizzazione sociale, sia possibile solo attraverso meccanismi partecipativi, attraverso l’ascolto delle comunità, la conoscenza della sua cultura, il coinvolgimento delle persone che la compongono in quanto persone, e non in quanto problema e pacco da spostare. Pensiamo che si possa e si debba agire a 360 gradi su casa, istruzione, lavoro, salute e prevenzione, al fine di garantire una reale inclusione. La nostra associazione, come fatto più volte attraverso comunicazioni ufficiali, si mette a disposizione dell’amministrazione e delle comunità Rom per incentivare e facilitare questi processi.

Siamo stanchi di rappresentazioni in cui la forza pubblica e le amministrazioni locali mettono in scena il “problema Rom” con grande sfoggio di mezzi, presentandosi nei campi da loro mal gestiti convocando la stampa invitata a testimoniare esclusivamente il degrado ambientale e la povertà, anno dopo anno, ogni volta come se fosse la prima volta. L’esclusione dei Rom dall’istruzione, dal mondo del lavoro, dal consesso civile, li costringe a vivere di espedienti, ai margini di ogni legalità, e dunque in una condizione di costante ricatto e vulnerabilità. Il degrado ambientale è frutto della specializzazione indotta verso lo smaltimento illecito dei rifiuti ferrosi con mezzi di fortuna, non di una scelta deliberata. Rappresentati costantemente come criminali e produttori di discariche abusive, i Rom continueranno ad essere esclusi dall’accesso alle abitazioni e al lavoro, discriminati nelle scuole, fino alla prossima sceneggiata di una forza pubblica che non ha alcuno strumento per trasformare la situazione dei ghetti etnici per rom, e pertanto si limita a riconfermarla periodicamente.

È tempo di spezzare una volta per tutte questo circuito di segregazione razziale e criminalizzazione etnica. Le istituzioni mettano tutto il peso di una volontà politica informata e determinata nel produrre percorsi partecipati e condivisi di uscita dal ghetto: meno polizia, più servizi sociali, istruzione, diritti. Invitiamo i media a rappresentare i Rom come persone, a raccontare la storia delle comunità in tutta la sua interezza e complessità, evidenzino le responsabilità della comunità maggioritaria nello stato di difficoltà della comunità ghettizzata, e a non parlare solo di “degrado”.  Solo così, in un percorso che sarà comunque lungo e non facile, si potrà porre fine alla quotidiana vergogna della discriminazione razziale verso il popolo Rom che noi tutti, volenti o nolenti, stiamo continuando a perpetuare.

Michele Salis è il portavoce dell’Asce Sassari

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