Backstage

1 Marzo 2011

Elisabetta Randaccio

Quando lo sceneggiatore Massimo Spiga e il disegnatore Francesco Acquaviva iniziarono a dare forma al progetto di Bakstage avevano ben chiara l’idea di servirsi di un fumetto popolare e dalla struttura semplice per una riflessione sul mondo delle comunicazioni di massa – prevalentemente il messaggio televisivo – nella contemporaneità. A Spiga interessava una storia esemplare, per quanto facilmente fruibile, che avesse le caratteristiche di una summa della degradazione di un media, utilizzato fondamentalmente come mezzo per affermazione del Potere.
E, infatti, è questo il concetto su cui si snodano le storie circolari di Backstage, l’uso e l’abuso di potere politico e privato della classe dirigente, la quale detiene, come supporto per il suo perdurare, anche i mezzi di comunicazione di massa. Non è solo un problema di propaganda, ma di incistazione di un modello culturale e antropologico, che, sottilmente, viene iniettato allo spettatore passivo, perché non dotato delle capacità
di analisi di ciò che vede, e frustrato nei desideri di consumo, allontanati sempre di più dalle classi medie dalle conseguenze della crisi economica.
A questo punto, alle storie esemplari di Spiga si dovevano affiancare dei disegni non esclusivamente di taglio realistico, bensì stilizzati, a volte quasi metonimici, tanto le forme umane sono come allungate nella materia di tipo onirico oppure rese grottesche da dimensioni esagerate. In questo, Acquaviva si è dimostrato un compagno di lavoro ideale per Spiga con cui da tempo collabora (hanno realizzato, tra l’altro, insieme un numero della serie di “Freak”, alcune storie brevi presentate e premiate in vari concorsi nazionali).
La vicenda, si è detto, è circolare, per cui la forza sta nei personaggi, le cui psicologie sono tratteggiate, nel presente, con profondità e, nel passato, attraverso alcune sintetiche, ma estremamente efficaci, frasi evocatrici di eventi “primari”.
Conosciamo, così, la stagista Ana Aguirre, a cui è affidato l’incipit inquietante (“Mi chiamo Ana Aguirre e mia mamma è la televisione. Mi ha insegnato tutto quello che so: come innamorarmi di cos’è un’opportunità e come coglierla al volo”), la quale imparerà a conoscere le dinamiche perverse del potere all’interno di un network, avvicinandosi paradossalmente al personaggio “mercificato” del serial killer da intervistare per uno scoop tipico da televisione spazzatura. Apparentemente, Nicole Agnes, la “velina” (il suo capitolo si intitola distorcendo Pirandello “sono come tu mi vuoi”) può sembrare la protagonista maggiormente semplice, quella modellata su uno stereotipo femminile fortemente omologato e “masticato” nell’attualità patetica di questi giorni tristi per il nostro paese. Nicole, invece, diventa la pedina di un intrigo assai più complesso, marionetta di carne per creare, ancora una volta, mosse scorrette nello scacchiere di potere. Il suo corpo è disegnato quasi sempre nudo, ma Nicole è consapevole del suo senso di autodistruzione, dei suoi futuri malinconici giorni di decadenza.
Quasi “prosecuzione” esistenziale l’uno dell’altro sono Damien Fitzroy e Thomas Quesada. Produttore esecutivo e direttore, due facce di una carriera dove il cinismo è la forza primaria e il trasformismo la legge unica per il profitto. Tutto è ammesso, anche le alleanze maggiormente sorprendenti, per la proliferazione del denaro indirizzato, ovviamente, al proprio interesse.
Infine il Comico, che sintetizza nella sua figura le contraddizioni, gli splendori e le miserie dello show business, ma anche la gioia di poter, con una risata, abbattere una montagna; a dimostrare, come nel nostro tempo, la satira (quella reale, non la parodia o la barzelletta rassicurante, quella che conosce l’umorismo pirandelliano, ovvero la riflessione anche grave appresso al riso) sia diventata una forma d’arte capace di mettere in crisi non solo l’establishment, ma pure le convinzioni acquisite dal qualunquismo diffuso.
Il Comico , che risente della passione soprattutto di Spiga per Lenny Bruce e gli “intrattenitori” trasgressivi americani degli anni Sessanta e Settanta, nonché del nostro Paolo Rossi (evocato da Acquaviva con qualche
particolare fisico in alcune tavole e a cui è dedicato con affetto Backstage), è il personaggio chiave della graphic novel: è lui a farci sperare che non tutto si può comprare, ma l’ombra oscura di Quesada, il direttore del network, è presente dietro le quinte con un sorriso malvagio: nell’epoca del capitalismo tutto si trasforma in merce… (“Backstage”, di Massimo Spiga e Francesco Acquaviva, Freebooks, € 15,00).

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