Badanti, a Cagliari, proletarie

1 Luglio 2009

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Enrico Lobina

Nessuno sa quante sono esattamente. Una comunicato stampa del Comune di Cagliari qualche giorno fa ne contava 457, di cui 301 italiane. Le extracomunitarie, in realtà, sono molte di più. Senza contare le rumene, le extracomunitarie dell’est sono tra 700 e 1.000. Metà sono senza permesso di soggiorno. Vengono prevalentemente dall’Ucraina, ma anche da Moldavia, Bielorussia, Russia, repubbliche baltiche, perfino Kirghizistan. Si tratta di grandi numeri, per una città di 160.000 residenti. Nel 2006 le ucraine sono state il gruppo straniero che più si è rivolto ai centri di ascolto della Caritas. Il secondo nel 2007.  I maggiori tempi di lavoro, e la sempre minore volontà di spendere la propria vita per relazioni sociali e affettive, hanno fatto crescere un piccolo esercito di assistenti alla persona. Abbandonano marito, figlie e figli per venire a curare anziani, autosufficienti e non. In Piazza Deffenu, il giovedì pomeriggio, trovi signore piene di dignità che sono qua dal 2002. Quando chiedi se hanno intenzione di chiedere la cittadinanza, ti dicono di no, che loro vogliono tornare nel loro paese. Appena possono. Per avere un posto regolare devono aspettare i flussi. Il padrone fa un contratto annuale e, se il decreto prevede abbastanza numeri, l’anno dopo si deve tornare a casa per essere richiamate. Se il decreto non viene fatto son dolori. È successo nel 2008. Le assistenti di mezza età che si occupano dei nostri anziani sono diventate persone pericolose. Irregolari. Clandestine. Qualche anno fa una di loro aveva avuto dei calcoli. Era senza permesso, ma nessuno glielo aveva chiesto in ospedale. L’avevano curata. Era potuta tornare presto nella casa in cui lavorava. E adesso, se una senza permesso sta male? “Muore”, mi rispondono un po’ sorridendo e un po’ preoccupate. La legge sulla sicurezza è anche questo. Con alcune famiglie si creano rapporti molto profondi. Con altre è puro sfruttamento. A fine ottobre 2008 una rumena stava accudendo una signora. La doveva prendere in braccio per portarla in bagno. L’assistente si è spaccata la schiena. Letteralmente. Portata al pronto soccorso, è stata curata ed immediatamente licenziata. Per fortuna è intervenuto il sindacato (Chabaani, UIL), che le ha fatto riconoscere l’infortunio. Oggi la signora è invalida e senza lavoro. A far l’assistente si guadagna da 570 a 1.300 euro. Se si è contrattualizzati. Altrimenti tutto si riduce ad un forfait, dagli 800 euro in giù.  Rimangono tutto il giorno in casa. Escono il giovedì pomeriggio e la domenica. Si vedono, e leggono collettivamente i loro giornali. Sono più sindacalizzate rispetto agli africani o agli asiatici. Conoscono i loro diritti, e li vogliono far rispettare. Si rivolgono ai sindacati, al patronato delle ACLI e al centro di ascolto Caritas. Ti raccontano che a Siena, Viterbo e Firenze ci sono degli uffici del Comune per essere aiutati nella compilazione delle domande di permesso di soggiorno. Così si abbatterebbero i tempi di attesa, e tutti se ne avvantaggerebbero. A chi dice che sarebbe meglio investire per il lavoro degli italiani, ricordano che in Italia gli immigrati sono il 3-4% della popolazione, e producono l’8-9% della ricchezza. E alle italiane che fanno lo stesso lavoro dobbiamo ricordare che sono sulla stessa barca. Proletarie le italiane, proletarie le extracomunitarie.

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