Bentu di Salvatore Mereu, un film che parla di noi e la natura

7 Ottobre 2022

[Aldo Lotta]

Come può il cinema racchiudere e realizzare le possibilità rappresentative di tutte le arti è un mistero. Liberamente tratto da un racconto di Antonio Cossu, Bentu è una splendida prova di tale magia. Ancora una volta Salvatore Mereu coglie nell’essenza arcaica di una Sardegna minimale un palcoscenico teatrale ideale per invitarci a riflettere su cosa ne è del nostro rapporto con la natura, e quindi sul residuo di autenticità del nostro attuale essere-al-mondo.

E lo fa magistralmente, con delicata e poetica essenzialità, mettendo in scena entro limiti spaziotemporali angusti (ma insieme cosmici) due personaggi: Raffaele, un vecchio contadino (interpretato da Giuseppe “Peppeddu” Cuccu, già protagonista bambino di Banditi a Orgosolo!) dall’aria compassata e burbera ma in realtà tenero come il pane, e il nipote Angelino, di dieci anni (il bravissimo Giovanni Porcu), vivace e impaziente come si può essere a quella età.

La vicenda si svolge nei primi anni ’50 del 900 ma in realtà è senza confini di tempo. I due personaggi si muovono armonicamente entro un paesaggio costituito da una splendida distesa di grano e una casupola rurale, dove il vecchio trascorre da qualche tempo i giorni e le notti, lontano da casa, in attesa che si alzi il vento: quel prodigioso indispensabile elemento della natura che lo aiuterà a separare il grano dalla paglia. Ma il vento, “su bentu”, ritarda, e il contadino compie pazientemente nell’arco delle giornate, fin dalle prime ore del mattino, il suo rito ancestrale, sollevando ripetutamente il cumulo del suo raccolto col forcone: il grano comincia così a prendere aria, si prepara docilmente al momento in cui finalmente si abbandonerà a quella forza naturale ben più impetuosa ed efficace dell’uomo. Angelino aiuta Raffaele nel suo lavoro, ma saltuariamente, distratto da innumerevoli stimoli e curiosità.

Due personaggi, due età, che si interrogano sulle loro certezze e paure, con grande delicatezza e rispetto reciproco, sullo sfondo dello scorrere indifferente delle giornate. La colonna musicale è costituita dalle loro voci, dai loro interventi sobri, essenziali, dall’ondeggiare delicato del mare di grano, dal raro nitrire della cavalla che il piccolo Angelino vorrebbe tanto cavalcare presto, ma anche dal suono allegro e fugace di una fisarmonica che il bambino suona con sorprendente bravura. Ma a parlare, su tutto, sono soprattutto i silenzi estesi, profondi, quasi siderali, le luci nette, attraverso cui la nostra madre natura, tanto amata ed evocata da Mereu, sembra volerci scuotere, voler parlare ai nostri sentimenti più profondi.

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