Bilancio di previsione agostano

1 Settembre 2014
contadini_al_lavoro
Graziano Pintori

Quello che segue è una parte dell’intervento che il 7 agosto scorso ho tenuto durante il Consiglio Comunale di Nuoro, convocato per la discussione del Bilancio di Previsione 2014. La lettura che si propone è dettata dalla convinzione che i problemi trattati sono più o meno simili e diffusi in tutte le nostre realtà locali.

I bilanci creativi, quelli che venivano personalizzati secondo le scelte politiche/elettorali degli amministratori locali, ormai fanno parte della storia finanziaria dei Comuni. Oggi le leggi finanziarie governano i bilanci comunali sottoponendoli a vincoli assillanti, sono leggi aride, prive di qualsiasi riferimento al bene delle comunità; la loro brutalità, ingentilita con termini inglesi, sono causa dell’immiserimento dei comuni e dei suoi cittadini. Per di più, è evidente il neocentralismo esercitato dallo Stato nei confronti delle regioni e da queste nei confronti dei comuni: altro che patti di solidarietà tra regioni e tra comuni, altro che potere e autonomia alle periferie. Tutto il contrario. Lo Stato accentra, le regioni lo seguono e i comuni subiscono, essendo gli ultimi anelli della catena istituzionale, ossia il fronte che affronta le povertà. Leggevo su un quotidiano isolano un articolo sulla mobilitazione dei sindaci contro la Giunta Regionale; tramite l’ANCI (1) i comuni denunciavano l’insopportabile asfissia delle capacità di spesa a causa del Patto di Stabilità, del Pareggio di Bilancio, della Spending Review e altri sconsiderati tagli. I sindaci continuano a denunciare, ormai fino alla nausea, l’impossibilità di amministrare la cosa pubblica se non ricorrendo all’aumento delle tasse, unica alternativa per salvare i servizi essenziali, oppure optare per la paralisi amministrativa. Non a caso i primi cittadini puntano la loro azione contestando fortemente gli effetti del Patto di Stabilità: chiedono la riduzione di almeno cento milioni del vincolo di spesa (cioè dei finanziamenti che si trovano nelle casse comunali e non possono essere spesi); chiedono che il bonus da 322 milioni, in arrivo da Roma, possa essere utilizzato per compensare i tagli subiti dal Fondo Unico. Cioè quel fondo di solidarietà gestito dai comuni per dare risposte ai cittadini nel campo dello sport, della scuola e soprattutto in quello sociale. Oggi quel fondo è diventato un “pentolone” dove qualsiasi tipo di prelievo è stato legittimato, per esempio: la sottrazione dalle nostre casse di oltre 518 mila euro relativi all’addizionale comunale sull’energia elettrica, e altri 38 mila euro sottratti quale rimborso spese sostenute per i “sopravvissuti” della ex Comunità Montana. A causa di questa diffusa e anomala detrazione, dal Fondo Unico regionale sono scomparsi 55 milioni nell’arco di un anno. Parliamo di una rapina da parte dello Stato esattore, con la complicità silente del governo regionale, perché quel Fondo Unico di diritto appartiene ai cittadini, in quanto frutto delle imposte indirette pagate sui prodotti alimentari e anche sui medicinali. Imposte che percentualmente dovrebbero “approvvigionare” le casse comunali, cioè i cittadini, e come tali dovrebbero essere sacre, intoccabili perché destinate al funzionamento dei servizi rivolti alle persone. E’ abbastanza chiaro l’allineamento della Regione Sarda sulle direttive centralistiche emanate dallo Stato, dimostrando in questo modo che la specificità regionale, l’autonomia speciale, il sovranismo, l’indipendentismo e quant’altro ha prodotto la letteratura politica sarda sono solo dei buoni propositi, di cui sono lastricate le strade che portano all’inferno. Anche l’ANCI, nonostante la pregevole azione tenutasi ad Abbasanta, si allinea, come al solito, alla volontà dei governanti, con le solite frasi, con i soliti impegni che richiamano stancamente il solito “padre di famiglia”, quello che spezza il pane in parti uguali per accontentare tutti i figli. Quel pane, comunque sia, è il solito palliativo che non arresta la demolizione di quanto ancora rimane del sistema sociale pubblico. Queste cose si dicono non per il semplice gusto di assumere una posizione non allineata al consenso generalizzato, quello che solitamente si crea nei consigli comunali quando si discute un argomento importante come può essere il Bilancio di Previsione, ma perchè oggettivamente i fatti lo impongono. Prova ne sia che a causa degli effetti del Patto di Stabilità, o dello Spending Review, o del Pareggio di Bilancio, o dei tagli subiti dallo Stato o dalla Regione Sarda, non si trova la necessaria copertura finanziaria per garantire il “Ritornare a Casa”. Si tratta di un servizio che dà la possibilità ai moribondi il sollievo di poter concludere la propria esistenza tra gli affetti familiari raccolti dentro le pareti domestiche. La mancata copertura finanziaria di questo servizio è inaccettabile, perché risulta sacrificata rispetto ad altre scelte politiche che prevaricano le attese per questo genere di problematiche. Dall’analisi dei dati tangibili contenuti nel bilancio le Entrate Correnti ammontano a euro 48.645.176,18; cifra alimentata dai tributi dei cittadini per il 50%, ossia 662 euro per ciascun abitante, neonati compresi, perciò sarebbe assurdo non riuscire a garantire un servizio fondamentale come quello del “Ritornare a Casa”. Nel caso in cui il Sindaco e l’assessore non assumeranno impegni precisi per dare continuità al servizio di cui trattasi, voterò contro l’approvazione del Bilancio di Previsione 2014. Un voto che significa non sentirsi complice dello Stato esattore, il quale, oltre ad impoverirci negandoci la dignità del lavoro, ci vuole negare anche la possibilità di morire in pace. Ma davvero, tutti noi, dobbiamo sentirci complici di quello Stato che dal 2012 alle attuali previsioni di fatto ha dimezzato i trasferimenti relativi alle spese correnti? Complici di uno Stato che alimenta la disoccupazione, che ha incentivato l’abbandono delle campagne, che di fatto ha sancito il fallimento dell’industria di Ottana e ha pianificato il suo ritiro dal nostro territorio, privandoci di servizi fondamentali, quali la Banca d’Italia, l’ormai ex Provveditorato agli Studi, il ridimensionamento in negativo del sistema scolastico e sanitario, della Telecom e il rischio, per adesso superato, dell’allontanamento degli uffici Enel, Motorizzazione, Prefettura e Camera di Commercio? Un insieme di decisioni, dove la regione sarda non è esente da responsabilità dirette e indirette, che tendono al continuo quanto inarrestabile depauperamento del territorio, al declassamento della nostra economia da produttiva ad assistenziale.

(1) Associazione Nazionale Comuni Italiani

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