Cinque critiche alla nuova costituzione governativa

1 Maggio 2016
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Comitato dei cattolici del no

Cinquantasei costituzionalisti hanno diffuso un documento in cui avanzano cinque critiche di fondo alla nuova Costituzione fatta approvare dal governo. L’aspetto più interessante dell’evento sono le firme, tra cui figurano quelle di 17 ex giudici della Consulta.

Ben 11 presidenti emeriti della Corte costituzionale hanno firmato il documento, oltre a 5 vicepresidenti e a un altro magistrato della Consulta. Tra i firmatari ci sono giudici noti per le loro tendenze di centrosinistra come di centrodestra, e anche due giuristi che furono tra i “saggi” incaricati da Napolitano di proporre la riforma costituzionale.

Le cinque critiche:

“Siamo preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione.

  • 1. Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il testo della riforma – ascritto ad una iniziativa del Governo – si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i numeri”) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo. La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. È indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge ad una riforma investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle istituzioni.
  • 2. Nel merito, riteniamo che l’obiettivo, pur largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema istituzionale), e dell’attribuzione alla sola Camera dei deputati del compito di dare o revocare la fiducia al Governo, sia stato perseguito in modo incoerente e sbagliato. Invece di dare vita ad una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, dotata dei poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le coinvolgono, si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti – con modalità rinviate peraltro in parte alla legge ordinaria – anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario.
  • 3. Ulteriore effetto secondario negativo di questa riforma del bicameralismo appare la configurazione di una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato (leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze e conflitti.
  • 4. L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l’ordinamento delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia – che non possono mai essere separate con un taglio netto – ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall’altro definisce in molte materie una competenza “esclusiva” dello Stato riferita però, ambiguamente, alle sole “disposizioni generali e comuni”. Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra centro e periferia. Invece di limitarsi a correggere alcuni specifici errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il nuovo progetto tende sostanzialmente, a soli quindici anni di distanza, a rovesciarne l’impostazione, assumendo obiettivi non solo diversi ma opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie.
  • 5. Il progetto è mosso anche dal dichiarato intento (espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di funzionamento delle istituzioni. Ma il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive. Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali dopo la soppressione del CNEL: questi non sono modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del paese, e sembrano invece un modo per strizzare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri.
    Il documento si conclude non negando aspetti positivi della “riforma”, “tuttavia questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici di cui si è detto”, per cui l’orientamento resta.” contrario, nel merito, a questo testo di riforma”.

I firmatari
Francesco AMIRANTE Magistrato
Vittorio ANGIOLINI Università di Milano Statale
Luca ANTONINI Università di Padova
Antonio BALDASSARRE Università LUISS di Roma
Sergio BARTOLE Università di Trieste
Ernesto BETTINELLI Università di Pavia
Franco BILE Magistrato
Paolo CARETTI Università di Firenze
Lorenza CARLASSARE Università di Padova
Francesco Paolo CASAVOLA Università di Napoli Federico II
Enzo CHELI Università di Firenze
Riccardo CHIEPPA Magistrato
Cecilia CORSI Università di Firenze
Antonio D’ANDREA Università di Brescia
Ugo DE SIERVO Università di Firenze
Mario DOGLIANI Università di Torino
Gianmaria FLICK Università LUISS di Roma
Franco GALLO Università LUISS di Roma
Silvio GAMBINO Università della Calabria
Mario GORLANI Università di Brescia
Stefano GRASSI Università di Firenze
Enrico GROSSO Università di Torino
Riccardo GUASTINI Università di Genova
Giovanni GUIGLIA Università di Verona
Fulco LANCHESTER Università di Roma La Sapienza
Sergio LARICCIA Università di Roma La Sapienza
Donatella LOPRIENO Università della Calabria
Joerg LUTHER Università Piemonte orientale
Paolo MADDALENA Magistrato
Maurizio MALO Università di Padova
Andrea MANZELLA Università LUISS di Roma
Anna MARZANATI Università di Milano Bicocca
Luigi MAZZELLA Avvocato dello Stato
Alessandro MAZZITELLI Università della Calabria
Stefano MERLINI Università di Firenze
Costantino MURGIA Università di Cagliari
Guido NEPPI MODONA Università di Torino
Walter NOCITO Università della Calabria
Valerio ONIDA Università di Milano Statale
Saulle PANIZZA Università di Pisa
Maurizio PEDRAZZA GORLERO Università di Verona
Barbara PEZZINI Università di Bergamo
Alfonso QUARANTA Magistrato
Saverio REGASTO Università di Brescia
Giancarlo ROLLA Università di Genova
Roberto ROMBOLI Università di Pisa
Claudio ROSSANO Università di Roma La Sapienza
Fernando SANTOSUOSSO Magistrato
Giovanni TARLI BARBIERI Università di Firenze
Roberto TONIATTI Università di Trento
Romano VACCARELLA Università di Roma La Sapienza
Filippo VARI Università Europea di Roma
Luigi VENTURA Università di Catanzaro
Maria Paola VIVIANI SCHLEIN Università dell’Insubria
Roberto ZACCARIA Università di Firenze
Gustavo ZAGREBELSKY Università di Torino

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