Come evadere dalla galera diventando scrittori

13 Settembre 2022

[Roberto Loddo]

Letteratura d’evasione (Il Saggiatore) è un libro curato da Ivan Talarico e Federica Graziani che raccoglie gli scritti di 15 autori detenuti nel carcere di Frosinone che hanno partecipato al progetto Fiorire nel pensiero.

Un laboratorio condotto dal poeta, cantautore e teatrante Ivan Talarico e curato e ideato da Federica Graziani, giornalista e attivista dell’Associazione A Buon Diritto che già aveva descritto il meccanismo perverso della necessità del carcere e delle manette di certa politica e certo giornalismo con Per il tuo bene ti mozzerò la testa, Contro il giustizialismo morale (Einaudi Stile libero) scritto insieme al sociologo Luigi Manconi.

Una premessa è d’obbligo quando si parla di carcere. Non possiamo far finta di non vedere che oggi il carcere è diventato un luogo di morte e sofferenza. A causa del forte sovraffollamento della popolazione detenuta e a causa delle condizioni di invivibilità in cui le persone imprigionate si trasformano in corpi privi di diritti e dignità. Un luogo di esclusione in cui i principi della Costituzione italiana, della Convenzione europea sono calpestati quotidianamente. L’aumento del 300% rispetto al 2021 dei suicidi in carcere è una vera e propria pena di morte, il carcere uccide oggi un detenuto ogni cinque giorni. Una pena di morte che non ha mai spazio nei media e nella politica. Il carcere è totalmente assente dal dibattito politico in questa campagna elettorale.

El Mehdi Belaabdouni, Raffaele Borrelli, Abdel Hadi Bousmara, Andrea Ciufo, Alfredo Colao, Pjetri Gjergj, Ermal Gripshi, Andrea Lombardi, Emanuel Mingarelli, Stefano Palma, Christian Pau, Omar Saidani, Mohamed Shoair e Antonio Vampo sono gli autori di un libro che mette insieme racconti, brevi autobiografie, pagine diaristiche, lettere, surrealistici «cadaveri squisiti» e altri esercizi letterari che non descrivono solo la drammatica realtà del presente dietro le sbarre ma danno voce al loro passato, ai loro sogni e al loro futuro possibile fuori dalla galera.

Ho iniziato ad immaginare questo libro prima della pubblicazione, dopo che Federica Graziani mi ha annunciato con un messaggio la decisione dell’editore di pubblicarlo. Mi sono immaginato la gioia nei volti dei detenuti che con le presentazioni del libro e la sua diffusione non sarebbero stati solo detenuti, ristretti e imprigionati. Non sarebbero stati solo scopini, spesini o concellini. Sarebbero diventati scrittori.

Questo libro ha alcuni meriti. Il primo è l’essere riusciti a generare una forte empatia con chi legge gli scritti che esprimono una forte carica letteraria e umana. Il secondo merito è quello di non chiudere il libro una volta terminata la lettura. Il libro non si chiude perché le storie raccontate da questi scrittori continuano a vivere nella testa di chi le legge. Perché sono vere. Sono vere anche quando non sono vere. Quando le loro parole volano più alto della realtà delle loro storie personali immaginando mondi differenti, gli autori descrivono una vita diversa, in cui sono semplicemente liberi e felici.

Prigione e scrittura sono da sempre, dall’invenzione del carcere, due cose che non possono essere separate. Se non è la carta, per Luigi Manconi sono i corpi a parlare per le persone imprigionate. Dai tatuaggi alle forme di autolesionismo il carcere è composto da corpi che non smettono di parlare e comunicare. Per questo gli autori sono riusciti a svelare galassie e che non possono dividere l’uomo dall’uomo, il noi dal sé, come ha scritto Alessandro Bergonzoni nella prefazione.

Questo è un libro che si lascia aperto, perché porta chi lo legge a sentirsi al posto dell’autore, nella sua cella. Questo libro si lascia aperto perché chi legge vuole sapere come vanno a finire le storie degli autori come Mohamed Shoair, che è stanco di stare in cella, perché è giovane e vorrebbe capire tante cose che non sa. Perché è in galera da quando ha 16 anni e quando si sente solo e arrabbiato pija la penna e si sfoga.

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