Come in uno specchio

1 Maggio 2021

[Roberto Paracchini]

Tra i grandi misteri ce n’è uno a cui ognuno di noi è interessato nella sua vita quotidiana, quello della coscienza. The Economist ha definito la questione della coscienza come il problema dei problemi, tra gli irrisolti naturalmente.

Tutti pensiamo e siamo coscienti di noi stessi. Nello stesso tempo, però, se si domandasse a un centinaio di persone prese a caso una risposta al quesito “Che cos’è la coscienza?”, ognuno risponderebbe in modo differente, probabilmente incerto.

 Ma perché è così importante capire che cos’è la coscienza o, se si preferisce, avere qualche ipotesi in più su come funziona? Forse perché è quel qualcosa che ci fa percepire noi stessi in tutte le nostre declinazioni di umori, paure e speranze? O forse perché passano attraverso la coscienza tutte le nostre acquisizioni culturali? Oppure in quanto, volenti o nolenti, rappresenta quel qualcosa che ha un ruolo determinante in quasi tutte le nostre azioni? Certamente non si tratta di un problema secondario perché coinvolge tutto il nostro essere. Negli ultimi decenni ha attirato sempre più l’attenzione non solo dei letterati e degli artisti, dei filosofi e degli psicologi, ma anche e soprattutto dei neuroscienziati, poi dei matematici, degli ingegneri, degli esperti di intelligenza artificiale sino ai fisici quantistici. Insomma non c’è campo del sapere che non si stia misurando col problema della coscienza. Capirne qualcosa in più forse può aiutare a vivere coltivando meglio pure la nostra salute, come spiega Silvano Tagliagambe, attento filosofo della scienza tra i più autorevoli epistemologi contemporanei, nel suo ultimo denso e intrigante libro Come in uno specchio. Il cervello e il suo ambiente (Mimesis).

Tagliagambe, già professore di filosofia della scienza a Cagliari, Pisa e alla Sapienza di Roma, e cofondatore della facoltà di Architettura di Sassari-Alghero, nonché autore di oltre trecento tra saggi e libri, nel suo ultimo lavoro guida il lettore in un’affascinante cavalcata nella cultura contemporanea con particolare attenzione  alla meccanica quantistica, alla teoria quantistica dei campi, alla psicologia analitica di Carl G. Jung (1875-1961) e al suo rapporto col fisico Wolfgang Pauli (1900-1958), alle neuroscienze e a diversi aspetti dell’arte e della letteratura. Come in uno specchio si sviluppa come una spirale di argomenti volti ad approfondire i vari aspetti della questione “coscienza”, che pian piano perde quell’alone di mistero per diventare l’elemento mediano, la mediazione tra il nostro inscindibile corpo-cervello e l’ambiente.

 Per Tagliagambe la coscienza non va relegata in un luogo specifico come la scatola cranica, per poi essere interpretata come prodotto dei complessi processi che in essa avvengono, ma va considerata come un divenire continuo che nasce invece dal rapporto tra ognuno di noi e l’ambiente in cui vive sino a divenirne l’indispensabile spazio intermedio. Interpretazione, quest’ultima, a cui l’autore arriva guadando diversi saperi, tra questi troneggia il pensiero di Immanuel Kant (1724-1804) per le numerose e attualissime suggestioni come quelle contenute nelle Lezioni di etica in cui sottolinea che “il corpo costituisce la condizione assoluta della vita, a tal punto che (…) non ci è possibile usare della nostra libertà se non servendoci di esso”. Come dire che il corpo, spiega Tagliagambe, è “inteso come portatore di bisogni, pulsioni e inclinazioni ineludibili e, di conseguenza, rappresenta la sede delle pulsioni e dei desideri sensibili”. Un discorso che sdogana il valore delle emozioni per poi condurre al concetto di confine come barriera non di separazione ma “di contatto” tra il qui ed ora (il fattuale) e le infinite possibilità che può assumere la realtà, pur entro il limite dell’orizzonte invalicabile.

 Il limite dell’orizzonte al cui interno si situa l’immensa complessità del nostro cervello: almeno cento miliardi di neuroni, ognuno dei quali, a sua volta, collegato con circa diecimila altri neuroni. Come dire che in ogni cervello umano vi sono circa un milione di miliardi di collegamenti in atto tra i vari neuroni e che vi sono ben dieci elevato ottantasette configurazioni possibili, che cambiano in continuazione in rapporto al nostro modo di essere nell’ambiente.

 Un campo di analisi, il cervello-corpo nel suo rapporto col mondo esterno, a cui hanno dato apporti significativi, direttamente o indirettamente, diversi scienziati. Tra questi c’è senz’altro Ilya Prigogine (1917-2003) uno dei pionieri della scienza della complessità, a cui fu proprio Tagliagambe nel 1990, in qualità di preside dell’allora facoltà di Magistero di Cagliari, a voler conferire la laurea honoris causa in Pedagogia. Chimico fisico, lo scienziato ottenne il premio Nobel nel 1977 per i suoi contributi al chiarimento dei processi di non equilibrio e per la sua teoria sulle strutture dissipative, cioè sui sistemi ordinati che scambiano materia ed energia con l’ambiente esterno. Ipotesi teorica che si basa sulla considerazione che in natura esistono organismi viventi in grado di auto-organizzarsi diminuendo la propria entropia, poi recuperata negli equilibri complessivi della biosfera.

 Nel filone di studi aperto da Prigogine (che permettono di interpretare il tipo di ordine delle strutture biologiche) si situano anche le stimolanti ricerche del fisico Giuseppe Vitiello, professore di teoria quantistica dei campi all’università di Salerno.  Quest’ultimo, spiega Tagliagambe,  sottolinea “che il cervello nel suo intrinseco essere dissipativo, cioè aperto al mondo, ne costruisce una rappresentazione che assume le forme della sua stessa immagine come doppio del sé in una imprescindibile e irresolubile unità relazionale”. Attenzione, però, non si tratta di un riflesso passivo. “Il confine mente/mondo – sottolinea Tagliagambe – è sede di un continuo attraversamento, di un andirivieni permanente: non è una linea di demarcazione tra la realtà esterna e l’universo interiore, ma piuttosto un ‘ponte’, l’interfaccia tra di essi, un entre-deux attraversato dal fluire della percezione della corporeità”. Frontiera, quindi, che non solo non è una barriera, ma che “esige l’indugio e produce immagini dinamiche con un’imprescindibile componente tattile, in quanto toccano e ci toccano, cioè operano un trasferimento da fuori a dentro, dal paesaggio esterno all’universo interiore”. 

 Un quadro teorico, la teoria quantistica dei campi, che è anche in grado di ipotizzare in questo andirivieni permanente un’azione coinvolgente e immediata sulla complessità del cervello grazie alle infinite interazioni con l’ambiente che, seppur molto deboli, agiscono ogni volta come una rottura di simmetria. Il che crea continui e nuovi ordini, in questo caso nuove configurazioni del cervello. Un’ipotesi intrigante che consente di superare anche la difficoltà, temporalmente frenante, dovuta alla lunghezza naturale dei circuiti cerebrali nei collegamenti tra i neuroni, mentre invece ogni rottura di simmetria, che avviene anche con minime interazioni tra cervello e ambiente (il nostro essere costante nell’ambiente), produce – come accennato – immediate e incessanti nuove riconfigurazioni del cervello. Processo che permette a quest’ultimo di accumulare esperienza e costruire conoscenza, al cui centro, come agorà propulsiva e autopropulsiva, sta appunto la coscienza.

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