Come superare il malessere della Sardegna

16 Settembre 2019
[Sandro Roggio]

Il malessere della Sardegna non riguarda solo i luoghi del tracollo demografico, di cui si parla da un po’ in malinconiche giornate di raccoglimento nelle regioni dell’interno.
Tocca ormai gli insediamenti urbani più popolati e un tempo solidi, oggi nella china pericolosa della depressione. Perché il disagio è più grave e diffuso di quanto non emerga da conti genericamente fiduciosi. E il quadro generale è quello che sappiamo. Il Sud d’Italia è messo molto male, un deserto (ne ha scritto di recente Sergio Rizzo su La Repubblica), in grado di paralizzare e ammutolire chi sta meglio, figurarsi i sardi spaventati per il futuro e che potrebbero fare appello al brutto proverbio “si ti queres sanu, faedda pagu”. Chi vuole salvarsi, parli poco. Una mortificazione comprensibile, ma che tristezza!
Sassari la seconda città della Sardegna – non è in buono stato di salute. A tre mesi dalle elezioni si presta per farsi un’idea delle capacità di rispondere alla crisi molto avvertita nel Nord-Ovest dell’isola. Ma non si illuda chi sta un po’ meglio. Siamo nella stessa lacrima. Sulla zattera traballante che può reggere – spiega Mark Twain – solo se “tutti sono soddisfatti, e si sentono bene con gli altri”. D’altra parte nello scompiglio dello sbilanciamento-“si salvi chi può”, potrebbero cavarsela solo pochi privilegiati.
A Sassari ha stravinto la destra. E il sindaco Nanni Campus potrà contare d’ora in avanti sulla attenzione dell’opinione pubblica, e sarà giudicato per quello che riuscirà a fare. Chi vuole potrà consolarsi appellandosi ai pregiudizi anche plausibili. Ma per risalire dal fondo servirebbe il più alto livello di confronto nel merito e tra i diversi programmi per la città, come non è stato nel corso della sterile campagna elettorale.
Per questo è sperabile che la missione (impossibile?) di Mariano Brianda (centrosinistra) non finisca nel cono d’ombra di chi ha perso. E sarebbe meglio per tutti se il suo impegno non andasse disperso. Ma per dare senso al movimento – annunciato dallo stesso magistrato – serve più audacia nell’analisi, ad esempio sulle cause della decadenza del capoluogo. Basta indulgenza verso le politiche dei trascorsi decenni, gli ultimi 15 anni a guida PD. E sarebbe il caso di farle tutte le domande: sulle politiche, appunto, che non sono gusci vuoti, “buccia di ciogga” – si dice nella parlata turritana.
Serviranno a poco le chiacchierate inconcludenti tra adepti in qualche benemerito circolo moderatamente progressisti. Perché l’astensione del 60% dei sassaresi, sob!, certifica una sfiducia diffusa verso la politica, soprattutto da parte di ex simpatizzanti della sinistra disillusi da tanta circospetta moderazione ( a volte basta trascurare i contenuti). .
E chi ha disertato le urne ieri, difficilmente parteciperà domani senza un obiettivo coinvolgente, in grado di dare senso all’impegno. Troppo poco invocare il ripopolamento dell’amato centro storico sorvolando sul crac di Sassari imbruttita, perdente quattro a zero nel confronto con Cagliari, per via di un patatrac difficilmente rimediabile, pure se “fai squadra”, come suggeriscono i sussiegosi consulenti di finti processi partecipativi.
Credo che la scarsa affluenza alle urne dei sassaresi sia il sintomo di scarsa fiducia nel futuro a cui si aggiunge la rassegnazione alla perdita di importanza della città, confermata peraltro dal decremento dei valori immobiliari. Un arretramento (=impoverimento) dovuto a superficialità e compromessi ricorrenti delle classi dirigenti. Perché, ad esempio, barattare lo status di Città Metropolitana con un surrogato senza rango costituzionale? Che si tratti di sottovalutazione o acquiescenza a intese di partito, è comunque una colpa grave. L’ultima occasione perduta per colmare in tempi ragionevoli il deficit di infrastrutture a servizio dell’originale sistema policentrico Sassari- Alghero-PortoTorres che fino a un po’ di tempo fa dava ancora segni vita.
Sassari è un caso grave, pure per scelte dei governi locali degli ultimi decenni. Deleteria la noncuranza, con qualche rara eccezione, per la sua storia urbana più che dignitosa, con quel guizzo sorprendente nel secondo Ottocento. La elegante compiutezza faticosamente raggiunta, travolta dal furore centrifugo del secondo Novecento. Una scissione incoraggiata, e di cui si cominciano a vedere le conseguenze: un terzo (!) degli abitanti sono oggi dispendiosamente sparpagliati nelle casette del suburbio sconfinato, il nucleo antico svuotato di gente, e di funzioni traslocate in una fantomatica zona industriale sparsa in qualche centinaio di ettari (sì, un’enormità). Predda Niedda, è il toponimo di quell’area traboccante di attività commerciali assortite, la Grande Distribuzione ammessa ben oltre il necessario (“eccessiva” secondo un impietoso report di Osservatorio nazionale del Commercio/Findomestic). Un cortocircuito di cui nessuno rivendica la paternità che ha favorito pochi. Un colpo al cuore al sistema del commercio legato alla residenza, l’amalgama che una disorientata pattuglia di commercianti immagina di rinsaldare con la cura più dissennata: più automobili e parcheggi in centro per sancire l’omologazione con Predda Niedda.
È auspicabile che se ne parli quanto prima delle implicazioni di questa storia (che senso non ne ha). Perché i tempi di una resurrezione civica non sono mai brevi, tanto più quando si esauriscono le scorte di energie, denaro e pazienza.
Ma non è escluso che una comunità trovi la forza per andare oltre le avversità, com’è già successo a Sassari appunto: dopo la strage del colera del 1855, 5mila morti su poco più di 20mila abitanti. Una catastrofe compensata dall’apprezzamento di un progetto, protagonisti i commercianti, che avrebbe dato vita a scenari fondamentali per la convivenza civica. Oggi irriconoscibili, penso al popolare mercato civico trasformato in un gelido supermarket. Ma altre prove e indizi spiegano il bisogno urgente di un’ idea di città o di più idee di città da raffrontare.
Fraintendere la realtà (o sminuire i dati del malessere) non serve proprio a nulla, come fa il vigente piano urbanistico trullallero, che immagina fantomatica crescita di Sassari: più 30mila abitanti, nonostante il demografo attesti che tra una decina ne perderà 10mila, trullallà.
Sassari conferma la carenza di analisi (basterebbe contare le case invendute). Nel quadro della scarsa avvedutezza nelle scelte di ceti politici pronti a credere in ogni promessa di sviluppo, perseverando diabolicamente fino a consentire l’orrore dei fanghi rossi nel Sulcis o l’incredibile abominio provocato dalla miniera d’oro di Furtei.
Cosa sarà in grado di fare la sedicente sinistra isolana – perdente in ogni competizione con distacchi in genere impressionanti? Riuscirà a trovare la strada e le risorse umane per riflettere sull’impedimento ad assumere posizioni radicali pure quando necessarie? Proverà ad uscirsene qualche volta dallo schieramento per il sì a tutto ( non solo alle grandi opere inutili) già presidiato dalla destra?
Partiti come il PD che si richiamano ai valori della sinistra sono oggi più moderati dei liberali, ha detto Fabrizio Barca, sconcertato per l’avanzata dell’ideologia rinunciataria di chi lavora ai margini del capitalismo “per renderlo un po’ meno cattivo”. C’è molto lavoro da fare anzitutto sui valori, dappertutto nel Paese che seguirà trepidante l’avventura del governo Conte.
Lo scenario politico è meno statico, e se sfida deve essere a Salvini & C.,servirà che emerga, quanto prima, un pensiero non omologato alla destra o sottotono – come è stato finora. Può essere che la pensino così molti elettori di sinistra (pure a Sassari).

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