Turchia e dintorni. I 17 anni del potere di Erdoğan

16 Settembre 2019

Turkey’s Prime Minister Tayyip Erdogan REUTERS/Umit Bektas

[Emanuela Locci]

Era il 1994 quando Recep Tayyip Erdoğan, classe 1954, vince le elezioni e diventa sindaco della più importante e conosciuta città della Turchia. Iniziava così una delle carriere politiche più longeve della storia della nazione. Dopo quattro anni di governo della metropoli, una pausa dovuta a problemi legati all’accusa di incitamento religioso che lo costringe a rimanere fuori dalla scena politica per alcuni anni, ecco che lo ritroviamo alle elezioni del 2002 a capo del partito Akp, che aveva fondato l’anno precedente e a cui aveva impresso un carattere meno legato agli ambienti strettamente islamici, ma che comunque si dichiarava apertamente moderatamente filo islamico. Le elezioni del 2002 segnano in qualche modo uno spartiacque, l’Akp sale al potere conquistando il popolo turco o almeno una parte importante di esso, infatti con il 34,3% dei voti, diventa il primo partito e conquista una palese maggioranza in parlamento. Da allora sono passati 17 anni caratterizzati dal potere ininterrotto del partito e del suo leader. In questo lasso di tempo la nazione è stata teatro di numerosi e importanti cambiamenti. Dopo un primo periodo di governo che ha visto il partito avviare una serie di riforme, economiche, sociali e costituzionali, legate sia a questioni di politica interna, soprattutto di ordine economico, sia di ordine internazionale, ossia la volontà di concludere positivamente l’iter di adesione all’Unione Europea, ci si riferisce in particolare all’abolizione della pena di morte, la compagine ha fatto proprio un atteggiamento sempre più autoritario. Questo carattere autoritario è legato a doppio filo con la figura dell’attuale Presidente Recep Tayyip Erdoğan, che prima di essere eletto alla massima carica, ha ricoperto il ruolo di primo ministro per tre mandati consecutivi, guidando di fatto la Turchia per oltre tre lustri. Erdoğan si è rivelato un leader carismatico in grado di infiammare le folle e di raccoglierle intorno ai suoi discorsi populisti e nazionalisti, che rimandano continuamente a riferimenti religiosi, facendo leva da un lato sul forte nazionalismo, che ha sempre contraddistinto la società turca, e dall’altro richiamando le origini e le radici dell’Islam e del periodo ottomano, quando i turchi erano un riferimento per l’intero mondo musulmano, che si estendeva ben oltre i ristretti confini turchi. La trasformazione in senso autoritario del governo è andata di pari passo con la stessa trasformazione che ha interessato il partito. Infatti mentre alle sue origini ciascun componente, anche minore, aveva un proprio peso, con il passare del tempo, ferma restando la leadership incontrastata di Erdoğan, si è passati alla istituzione di un sistema piramidale in cui la figura principale, che raramente accetta comprimari, è proprio quella del Presidente. Un inasprimento del carattere autoritario si è certamente registrato dopo il tentato golpe del luglio 2016, che ha messo in pericolo il potere dell’Akp e che ha dimostrato che nel sistema stavano cominciando a formarsi o ad evidenziarsi delle crepe. La risposta del governo allo scampato pericolo non si è fatta attendere e oltre le numerose azioni di ritorsione perpetrate contro gli oppositori che vengono trattati e considerati come nemici della nazione, si è dato inizio alla trasformazione della stessa forma di governo, passando da un governo parlamentare a uno presidenziale. Quest’azione ha determinato lo smantellamento sistematico delle istituzioni democratiche, sostituite da un unico potere: quello del Presidente. Nonostante le ultime magre vittorie elettorali, il potere dell’Akp non risulta ancora indebolito, infatti il suo elettorato ancora lo sostiene in modo energico e convinto. Cartina tornasole delle politiche presidenziali è anche la situazione internazionale in cui la Turchia viene a trovarsi, stretta nella sua dimensione di potenza regionale e desiderosa di ampliare la sua influenza sia nel vicino oriente, sia in terre lontane quali quelle africane, in cui sono presenti ingenti investimenti turchi, in realtà non è ancora riuscita a ritagliarsi il ruolo di paese pivot della politica internazionale. Ciò in parte a causa della congiuntura internazionale e in parte a causa della sua debolezza intrinseca, che riguarda principalmente la sua instabile economia. La recente vicinanza alla Russia di Putin può essere vista come una delle numerose azioni poste in essere dal governo per la conquista del suo spazio nel novero delle nazioni più influenti del mondo.
In tutto ciò ancora non si è compreso se effettivamente l’obiettivo ultimo del Presidente Erdoğan sia quello di costruire una nuova Turchia che sostituisca quella voluta da Mustafa Kemal poco meno di cento anni fa.

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