Contorni: A proposito di beni culturali

1 Settembre 2016
vertigini_n
Giulio Angioni

Ciò che oggi si dice beni culturali ingloba nozioni come memoria, storia e identità e si esplica in politiche del patrimonio culturale o della memoria storica, intese anche al servizio dello sviluppo locale, dove per sviluppo non si intenda solo quello economico.

L’idea e le pratiche della cura dei beni culturali come patrimonio sono una forma odierna evidente della spinta universale a conservare e a elaborare la memoria culturale anche come garante della propria identità, del proprio essere nel mondo, e come eredità da mettere a frutto in vari modi nel presente, ma lasciandola a disposizione degli eredi futuri.

Un fenomeno recente è l’ampliamento dei tipi di beni considerati storici, identitari e costituenti il patrimonio culturale, così come sono aumentati coloro che partecipano alla patrimonializzazione, cioè all’individuazione e alla cura dei beni culturali, con politiche adatte alla tutela, alla salvaguardia, alla valorizzazione e all’utilizzazione. Un ampliamento analogo al coinvolgimento di tutto il mondo nelle politiche dei beni culturali, come mostra l’elenco dei beni dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

I beni culturali sembrano ancora caratterizzarsi, come nel collezionismo e nell’antiquariato dei secoli passati, soprattutto per valore estetico, antichità, rarità, preziosità. Ma un problema che si pone soprattutto sia all’archeologo sia all’antropologo è che tutto può essere investito di valore storico-identitario, cioè che ogni cosa materiale e immateriale può diventare patrimonio di una comunità che le consideri tali. Perciò sarebbe da ripensare il senso di opinioni molto diffuse sulla presenza in Italia della massima parte dei beni culturali del mondo; o delle liste dell’UNESCO dei beni patrimonio dell’umanità.

Le idee e le pratiche della memoria storica sono diventate oggetto anche di una antropologia o di una sociologia del patrimonio, che partecipa all’analisi dei modi e delle cose via via considerate patrimonio con dinamiche varie di inclusione e di esclusione; antropologia o sociologia della memoria storica che dovrebbe contribuire a guidare i nuovi processi di valorizzazione. Questi processi sono molto diversi, come concezione e come pratiche, dai modi di possedere, collezionare, conservare e mostrare cose di valore, che nei secoli passati in Europa sono stati pratica elitaria. Vigevano in ciò i gusti delle classi dominanti e dei loro intellettuali, che spesso hanno riciclato aspetti della cultura delle classi popolari, senza considerarle appieno belle arti ed escludendo sistematicamente le cose della quotidianità e del vivere della gente comune.

L’abbandono della visione meramente estetica delle ‘belle arti’ ha cambiato molto le cose negli ultimi decenni, come conseguenza soprattutto del mutamento drastico a livello mondiale di ogni aspetto dei modi di vivere. Mutamento che ha suscitato in larghi strati di popolazione, prima poco o diversamente sensibili verso la memoria storica o culturale, operazioni anche spontanee di recupero e conservazione della memoria locale, di patrimonializzazione di aspetti da poco finiti e sostituiti della propria vita materiale e spirituale, come è il caso della miriade di musei e di raccolte di cose del mondo contadino appena passato in una rapida mutazione epocale, che ha reso sensibile chiunque alla sua documentazione, compresi, forse per la prima volta, i diretti interessati, cioè i figli e i nipoti delle contadinanze europee ormai scomparse nelle loro forme culturali millenarie. Nasce e si sviluppa così un largo bisogno di passato ai fini di auto-riconoscimento da parte di strati sociali che finora, come scriveva Gramsci, non sospettavano nemmeno “che la loro storia possa avere una qualsiasi importanza e che abbia un qualsiasi valore lasciarne tracce documentarie”.

E ciò anche con eccessi, come rileva Marc Augé, da parte di chi trascura di vedere e di analizzare «la complessità della realtà attuale» in trasformazione globale, per darsi solo «alla bellezza di quel che stava crollando» o che ci rimane da crolli più o meno lontani nel tempo e nello spazio. Augé ha studiato e proposto il tema di una surmodernità che ci fa vivere in nonluoghi i nostri destini singoli e solitari. La nozione di non luoghi ha avuto molta fortuna per indicare certi attuali luoghi pubblici, specie di transito e di grandi acquisti, in una situazione di accelerazione della storia, di restringimento dello spazio e di individualizzazione dei destini che non pare mai prima vissuta da un qualche gruppo umano nel mondo.

La conservazione della memoria intanto, ben oltre l’estetismo delle cose di pregio, si è estesa sia ai cosiddetti ‘beni immateriali’ come riti, credenze, feste, narrativa eccetera, e quindi anche, ufficialmente, ai beni demo-etno-antropologici, spesso localmente curati insieme coi reperti del più antico, e quindi archeologico, passato locale. Il tutto coinvolto in ragionamenti e in politiche che devono fare i conti con un mondo in sempre più ampia globalizzazione, che tuttavia mondializza anche un nuovo bisogno di localismo, o località, in una richiesta globale di particolarità locali.

Dove è chiaro che storici, antropologi, archeologi e tanti altri hanno compiti nuovi, con al primo posto l’esigenza che le operazioni di patrimonializzazione si facciano anche con la serietà e il rigore della scienza, della ricerca e della documentazione specialistica, e senza trascurare la preparazione di professionalità nuove di buon livello, capaci anche di far partecipare tutti e chiunque, non solo da passivi fruitori, a questi nuovi processi di patrimonializzazione.

Illustrazione di Silvia Ciccu – vertigini (ponte a Cagliari)

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI