Dai fratelli Lumiere a Sònetàula

16 Gennaio 2009

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Antonello Zanda

Una prospettiva ampia del cinema riguardante la nostra isola è ora disponibile in un bel volume dal titolo Dai fratelli Lumiere a Sònetàula, ultima – vera e propria – fatica di Gianni Olla, il primo libro che racconta e documenta 109 anni di film, documentari, fiction e inchieste televisive sulla Sardegna. È un vero e proprio viaggio quello che il volume edito dalla Cuec ci propone, per molti versi sorprendente. Sorprendente soprattutto per chi ha guardato distrattamente alla produzione audiovisiva nostrana, fermandosi magari alle realizzazioni cinematografiche più recenti e alle fiction che hanno trovato spazio promozionale nelle tv e nei quotidiani. Meno sorprendente per chi per esempio ha frequentato la Cineteca sarda e le associazioni cinematografiche che da anni cercano di promuovere le produzioni audiovisive sarde, quelle conosciute come quelle meno conosciute. Più importante è il lavoro di inquadramento storico, di ricostruzione dell´immagine che gli strumenti cinematografici e video hanno consentito della nostra storia, delle nostre tradizioni etnoantropologiche, della nostra cultura (musicale, letteraria, ecc.) e della nostra economia, dei nostri vizi privati e delle nostre pubbliche virtù. Progetto ambizioso – quello di una storia in fieri – di cui il libro di Olla è sicuramente un tassello imprescindibile. È evidente che ogni ricostruzione successiva non potrà che partire da questo lavoro di raccolta e analisi che sappiamo incominciato tanti anni fa, nei primi anni Ottanta, quando ha cominciato a manifestarsi un interesse pubblico per la nostra identità audiovisiva. Un lavoro fatto di visioni, schedature, ricerche, approfondimenti che restituisce una ricchezza di immagini enorme che parte dal patrimonio disponibile presso la Cineteca sarda della Società Umanitaria di Cagliari e che passa attraverso gli archivi dell´Istituto Luce, della Rai, dell´Isre senza dimenticare i contributi privati. Un punto di arrivo quindi, come scrive l´autore nella introduzione, ma anche un punto di partenza. Perché questa massa enorme di materiali pongono tutta una serie di problemi di lettura e di interpretazione che si innestano in una contemporaneità magmatica e a volte irriducibile agli schematismi. Pensiamo soltanto ai temi dell´identità e della lingua sarda. Temi su cui il cinema e il video innestano frizioni dialettiche, scomposizioni destrutturanti, istanze analitiche e sintetiche tutte problematiche e problematizzanti. Forse non a caso questo libro ha trovato il suo (primo) compimento proprio negli anni di maggiore fermento del cinema dei sardi che cominiciano a guardarsi e a vedersi da protagonisti dello sguardo e della sua rielaborazione, in un periodo in cui le nuove tecnologie digitali consentono una sempre maggiore agilità espressiva e postmoderna e contemporaneamente installano nuovi momenti (nodi) di ricerca e di lettura della realtà (sedimentata dal passato, certo, ma anche proiettata nel futuro). Abbandonando questa dimensione tematica potremo ancorare questa problematicità alle questioni catalografiche che questa massa imponente di materiali pone. A partire per esempio da una storia che si ricostruisce anche a partire dai film che non ci sono o che resistono nella storia grazie alla loro fantasmaticità salvata nei cataloghi, nei documenti, nelle pagine scritte, nelle recensioni. È una storia che ovviamente riguarda da vicino il periodo del cinema muto, quando fare un film era un´impresa pionieristica e conservare la pellicola un problema non posto. In Sardegna questa indifferenza per la salvaguardia della memoria audiovisiva è durata tanto tempo, più che altrove. E il problema è stato posto per la prima volta dalla Società Umanitaria che nel costituire la Cineteca sarda ha iniziato il lavoro di ricerca e reperimento, nonché il primo lavoro di schedatura dei film riguardanti la Sardegna. A questo lavoro pionieristico Gianni Olla ha affiancato il suo lavoro di paziente ricercatore che ha avuto a che fare con archivi ancora inesplorati come quelli dell´Istituto Luce e della Rai. Olla squaderna con occhio critico l´inchiesta televisiva e il cinegiornale, mettendoli accanto, in una situazione di dialogo sociologico e storico, con la produzione cinematografica “alta” (si fa per dire) dei film di finzione e dei documentari “doc”, da “Cenere” di Febo Mari e Eleonora Duse (1916) al “Cainà” di Gennaro Righelli (1922), dalle attualità dei fratelli Lumiere (1899) alle “Visioni di Sardegna” di Gavino Gabriel (1932); dal cinema documentario di Fiorenzo Serra a quello di Enrico Costa, da “Banditi a Orogosolo” di Vittorio De Seta a “Padre Padrone” dei fratelli Taviani fino a “Sonetaula” di Salvatore Mereu. Il catalogo è ampio e multiforme, perché oggi il sardo – e il libro ne è testimone – ha la possibilità di guardarsi allo schermo senza necessariamente pensare di guardarsi allo specchio. La diversità è dentro lo stesso sogno dell´identità: ci si guarda e non ci si riconosce, perché su connottu non è più di questa terra. La stessa complessità emerge nella litigiosità fondamentalista e irriducibile che anima la discussione sulla lingua, ma siamo lontani dalla farraginosità delle soluzioni proposte in quell´ambito. Il cinema avanza, a dispetto e nonostante – anzi direi grazie – all´evoluzione costante del mercato delle idee e delle immagini, l´unico vero mercato che non produce povertà e distruzione sociale – a parte la povertà di spirito di una digital library, così presa dall´accatastamento del brutto e del bello da dimenticare che il cinema resta ancora un momento di vita collettiva che è fondamentale salvaguardare. Questo il vero compito di restauro di una cineteca moderna: salvare e riproporre il cinema come (f)atto sociale. Questo è lo spirito che si coglie nel libro di Gianni Olla, il cui sguardo – lo si percepisce nel suo argomentare – si risolve in un commento che sembra rivolto allo spettatore che siede vicino.

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