È come stare in mezzo al mare su una barca che scricchiola

16 Giugno 2022

[Amedeo Spagnuolo]
Negli ultimi anni i miei risvegli che corrispondono all’ultimo giorno di scuola non sono sereni, mi si dirà che, ormai, con il mondo che ci crolla addosso da tutte le parti (pandemia, guerra, disastro ambientale ecc.) non esistono più risvegli sereni, ma comunque facciamo finta che ci possano essere o almeno basiamoci sul ricordo dei risvegli sereni che furono, quelli dell’infanzia, per esempio.

Dunque per quanto riguarda il risveglio che coincide con l’ultimo giorno di scuola, posso affermare con certezza che negli ultimi anni è stato caratterizzato da una fastidiosa agitazione e da un groppo in gola che inizialmente non mi sapevo spiegare, poi, col tempo, a questa malinconia da ultimo giorno ho saputo dare un significato. Mi sembra che essa ci sia sempre stata durante la mia carriera scolastica ma che negli ultimi anni si sia acuita, insomma l’ultimo giorno di scuola, da docente ovviamente, mi rende malinconico soprattutto negli anni in cui sono impegnato con i ragazzi delle quinte questo perché ognuno di loro, ovviamente, si avvierà lungo sentieri diversi e lontani che, difficilmente, s’incroceranno con i miei.

Questo distacco anche se sopportabile è piuttosto doloroso, dopo tre anni intensi vissuti quotidianamente con 25 – 30 ragazzi a parlare del meraviglioso mondo parallelo creato da Dante nel quale ci specchiamo e spesso ci ritroviamo; a discutere della profonda malinconia di Leopardi che però amava la vita più di quanto, spesso, la amino alcuni di questi ragazzi che ascoltando Il sabato del villaggio si rabbuiano ma qualche istante dopo cominciano a comprendere meglio la loro malinconia; oppure a litigare su chi di loro è più ipocrita nei confronti dell’altro e della vita dopo aver analizzato La carriola del magnifico Pirandello.

Già le sento le risate di alcuni colleghi che sfiniti dalla marea montante della burocrazia scolastica che ci sta trasformando tutti in tristi compilatori di modulistica, alla faccia della dematerializzazione, mentre ciò che dovremmo fare ovvero formare ed educare sta diventando un aspetto marginale della nostra professione, già le sento dicevo, quelle risate che vogliono dire, probabilmente, che il mondo scolastico da me descritto è solo l’invenzione di un insegnante frustrato che cerca di nascondere la propria insoddisfazione dietro l’illusione di avere ancora un ruolo in questa società grigia, impaurita e mercificata.

Eppure quelle sensazioni io ho la fortuna di viverle ancora e ringrazio i miei studenti che, nonostante le enormi difficoltà di questi anni di pandemia, mi hanno regalato belle giornate di studio e discussione. Poi, inevitabilmente, come accade per tutte le cose umane, arriva il giorno in cui ci si deve salutare, si affronteranno gli esami e poi tutti fuori dal “nido”, gettati nel mondo in cerca di una collocazione che possa rendere la vita meno amara possibile.

Quest’anno, quando siamo arrivati ai saluti, in una delle mie classi con la quale ho condiviso il male di vivere al tempo della pandemia, è successo che per poco non sono stato travolto dalla commozione, mi sono alzato dalla sedia, ho dato la mano a tutti i ragazzi, come faccio sempre quando si conclude l’anno, ma nessuno parlava, poi ho visto qualche lacrima, tutti erano appoggiati alle pareti dell’aula, immobili, un momento di sospensione che è però servito ad alleggerire l’emozione, a quel punto da adulto “maturo e consapevole” ho detto a tutti che ci saremmo visti all’esame e subito dopo mi sono catapultato fuori dall’aula e sono andato via stando bene attento a non girarmi a salutare ancora.

C’è un mestiere più bello di questo? Certo che c’è ma io ho incontrato questo e ne sono contento perché mi fa sentire utile e vivo. Sono sicuro che la maggior parte dei miei colleghi condivide o ha condiviso le medesime emozioni di cui ho fatto esperienza durante il corso della mia carriera, migliaia di docenti in tutta Italia che rappresentano oggi l’ultima speranza, forse la penultima, per una moltitudine di giovani che ha visto sparire, in pochi anni, dal proprio orizzonte il sogno.

Tutti noi adulti, chi più chi meno, siamo responsabili del disastro che stiamo vivendo e che sta ricadendo soprattutto sulle spalle, non più così forti, dei nostri giovani, ma c’è una categoria di adulti più responsabile di altri, quella rappresentata dalla nostra classe dirigente, nello specifico quella classe politica che siede sugli scranni del nostro parlamento ma che al bene comune ha completamente sostituito il bene individuale. La filosofia dominante dei nostri governanti si racchiude nel sistematico smantellamento di tutto ciò che è pubblico a favore dell’interesse privato e quindi, in questo contesto, diventano naturali gli attacchi ormai decennali alla scuola pubblica che ha sempre rappresentato per la maggior parte dei nostri giovani l’unico ascensore sociale che consentiva a chi partiva svantaggiato di guadagnare preziose posizioni.

Ma gli adulti, si sa, con gli anni diventano egoisti e spendono il loro tempo a sfruttare al massimo questo mondo fregandosene del destino delle generazioni future. Ecco allora che la scuola è diventata uno degli obbiettivi principali di questi predatori non più giovani ma sempre più tenaci e cinici nel perseguire i loro scopi individualistici. La suola pubblica è ancora una volta sotto attacco e l’obbiettivo principale è quello di continuare a perseguire la sua aziendalizzazione e quindi la sua mutazione in uno strumento che possa favorire ancora una volta l’elites dei privilegiati così come vorrebbe la Fondazione Agnelli.

L’ultimo strumento, in ordine di tempo, in mano ai predatori politici che ci governano è il Decreto legge n. 36 del 30 aprile 2022 che rifacendosi all’aberrante filosofia della “Buona scuola” di Renzi introduce una pseudoriforma del reclutamento e della formazione degli insegnanti che penalizza ulteriormente i precari, aumenta i carichi di lavoro, soprattutto di tipo “burocratico”, divide e ricatta la categoria dei docenti ed elimina, in prospettiva, almeno diecimila cattedre nelle scuole pubbliche italiane.

Il mondo della scuola ha reagito prima con la mobilitazione e gli scioperi dei sindacati di base e poi con lo sciopero unitario del 30 maggio che hanno, in entrambi i casi, lanciato chiari messaggi di un nuovo protagonismo dei docenti nei confronti di questo governo che vuole dedicarsi a migliorare la scuola solo con i proclami. Le misure previste dall’art. 44 del decreto sono devastanti poiché, sostanzialmente, svuotano di senso la contrattazione collettiva.

Tutti i processi di formazione saranno controllati dall’alto da una Scuola di alta formazione del ministero dell’istruzione in collaborazione con i due carrozzoni politici dell’INVALSI e dell’INDIRE, attaccando così un principio fondamentale della scuola democratica ovvero la libertà d’insegnamento e non tenendo in alcun conto l’autonomia e le esigenze specifiche delle singole scuole che operano in territori diversissimi tra loro.

La linea del governo Draghi e del suo ministro Bianchi sulla scuola è chiara e ormai vecchia: tagliare le classi e i posti di lavoro, aumentare il carico di lavoro del personale in servizio, diminuire gli stipendi e foraggiare il mercato dei crediti formativi, rendere un percorso a ostacoli sempre più difficile l’assunzione dei giovani insegnanti, dividere tra loro i docenti e completare la trasformazione degli istituti scolastici in aziende in competizione tra di loro, impegnate nella ricerca di fondi prima ancora che nello svolgimento della loro naturale funzione di garantire il diritto all’istruzione per tutti.

Comunque sia, anche questo anno scolastico si è concluso e nonostante l’ennesimo attacco subito dal “fuoco amico” del nostro governo, noi docenti continuiamo a navigare con i nostri ragazzi in questo mondo impazzito e come diceva qualche anno fa il mio illustre collega e scrittore Marco Lodoli:
“Dal 1981 passo tutte le mie mattine tra la cattedra e i banchi, cercando di insegnare qualcosa di italiano e di storia, e intanto discutendo con gli alunni intorno a tutti i temi importanti dell’ esistenza. Devo dire che per me lavoro più emozionante non esiste. Ho collaborato a programmi radiofonici, a case editrici, a riviste e giornali, ho scritto romanzi e articoli, testi teatrali e sceneggiature, ma nulla mi ha dato le stesse emozioni, nulla mi è parso mai così decisivo come le ore che continuo a trascorrere insieme a quegli adolescenti, in classi mal riscaldate, tra pareti spesso imbrattate da frasi d’ amore e d’ odio. È come stare in mezzo al mare su una barca che scricchiola: e a volte c’ è una bonaccia preoccupante, a volte onde fragorose, non si può mai sapere in anticipo cosa accadrà, ma è comunque un viaggio di cui il comandante è responsabile”.

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