Femminismi e spazio urbano: l’esperienza napoletana di Ciaccàre

16 Gennaio 2020
[Marirosa Pili]

Ciaccàre significa colpire alla testa, ciàccara è l’organo genitale femminile, utilizzato anche come vezzeggiativo, “ciaccarella” si può dire anche a una bambina. Da questo gioco di parole nasce il nome del collettivo femminista nato all’interno della Mensa Occupata di Napoli ormai quasi due anni fa. Ho incontrato le ciàccare in una bella piazza di Napoli, e abbiamo chiacchierato un po’.

In che modo è nato il vostro collettivo?

Abbiamo sentito l’esigenza, all’interno dell’occupazione mista della Mensa, di uno spazio per l’autocoscienza che fosse prettamente femminile. Ci ha ispirate il femminismo mondiale di Ni una menos (e quindi anche il trans femminismo) e il femminismo curdo.
Siamo riuscite ad arrivare anche al quartiere, alle nostre assemblee non partecipano solo compagne, ma anche lavoratrici dei locali circostanti e, in generale, donne esterne agli ambienti dell’attivismo politico.
Ci raccontano le loro esperienze, ad esempio delle ragazze non sono state assunte in un bar perché “le donne creano tarantelle (problemi)”.

Quali sono le vostre pratiche?

Tutte le nostre assemblee iniziano dal partire da sé e dall’autocoscienza. La soggettività è parte integrante del nostro percorso intersezionale, tra di noi ci sono donne con storie molto diverse, e condividere esperienze che spesso si assomigliano ci dà forza.
L’altra nostra pratica è quella dell’autodifesa, a cui fa riferimento anche il nostro nome. Teniamo dei corsi di boxe e pratichiamo l’autocoscienza anche attraverso sport che aiutano nella percezione di noi stesse e nell’autodeterminazione, per esempio yoga e pole dance.

Il servizio d’ordine alla Mensa occupata è solo femminile, perché è accaduto di non sentirsi rappresentate dalle pratiche miste. Quando ci chiedono cos’è il femminismo vogliamo rispondere noi e non sentircelo spiegare da chi viene alle nostre serate.

Avete un rapporto forte con la città. Manifesti, assemblee itineranti in luoghi pubblici…

Ci teniamo che le assemblee siano sempre in posti diversi, per arrivare a più persone. Riprendersi lo spazio urbano significa anche “rendere visibile quello che possiamo essere insieme”, spesso quando andiamo in giro in tante le teste si girano, destiamo curiosità e anche soggezione.

Quando abbiamo attacchinato per i manifesti non si sono contati i commenti sessisti, e questo la dice lunga sul lavoro da fare. I nostri manifesti sono in napoletano, sia per rompere uno schema linguistico, che per arrivare a tutte e rendere più riconoscibile ogni concetto che i manifesti esprimono.

I manifesti sono bellissimi, parlano e fanno parlare. Ma non è l’unica iniziativa che avete preso per modificare e rinominare il reale

Abbiamo scritto un dizionario! Il Tre-Ciaccare, è una Treccani del femminismo, che ci aiuta a dare un nome alle cose e ad arrivare a tutt*, per ora conta già 100 pagine, ma ci piace pensare che sia sempre in cambiamento e in crescita.

Sono molto curiosa di leggerlo tutto e so che lo pubblicate “a puntate” sui vostri canali social, ma vorrei una parola per ognuna di voi

Sara: io dico  mansplaining, perché fare servizio d’ordine ha messo a dura prova la nostra pazienza, e molti uomini paradossalmente ci vogliono spiegare persino il femminismo.

Alma: sorellanza, è il punto di partenza della nostra forza.

Stefania: femminismi, siamo stanche di sentir parlare di femminismo per stereotipi e senza considerarne la pluralità

Nadia: intersezionalità, ognuna di noi porta un’esperienza molto diversa in assemblea. La consapevolezza femminista ci libera dalle nostre catene personali.

Eva: slut shaming e body shaming, più sono attenta e sensibilizzata, più noto i commenti che si fanno in strada o al bar sulle donne e non solo, e non li sopporto più.

 

 

Campagna muraria del collettivo femminista Ciacc-àre

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