Fluorsid. La laguna di Santa Gilla nella morsa della speculazione

1 Giugno 2017
Marco Ligas

Da sempre la laguna di Santa Gilla fa parte della storia di Cagliari e ne condiziona l‘espansione urbana e produttiva. Indubbiamente le relazioni tra i centri abitati che circondano la laguna si sono rafforzate negli ultimi 200 anni ma questo legame, purtroppo, non ha garantito la tutela dell’ambiente e lo sviluppo equilibrato del territorio.

Soprattutto a partire dal secondo dopoguerra lo stagno ha subito la presenza prevaricatrice di chi ha usato il territorio circostante come luogo per la promozione di attività produttive che ben poco avevano a che vedere con la cultura e gli interessi delle popolazioni confinanti.

Sono cambiati in modo rilevante i settori lavorativi più diffusi: la pesca, che ha sempre avuto un ruolo preminente nell’attività economica della laguna, è entrata in crisi e per lunghi periodi è quasi scomparsa. Tutto ciò mentre attorno allo stagno sono sorte aziende che hanno privilegiato altre scelte, funzionali soprattutto all’urbanizzazione delle aree limitrofe, all’espansione delle attività industriali e commerciali e alla costruzione delle infrastrutture necessarie.

L’esclusione della pesca dai processi produttivi non è stato un processo positivo anche perché, come riportano le cronache di quegli anni, il numero dei pescatori impegnati nei Comuni bagnati dalla laguna (Cagliari Elmas Assemini e Capoterra) non era irrilevante: nei periodi più fecondi circa 4/500 persone tutti i giorni lavoravano nelle acque di S. Gilla. I risultati di questa attività non erano trascurabili: una volta individuate e suddivise le aree più idonee al tipo di pesca, si potevano pescare le arselle o le anguille, i muggini o le carpe, e anche le sogliole come precisa ancora oggi qualche pescatore. Non si trattava di un’attività amatoriale, da effettuare nel tempo libero, era un’attività lavorativa, fonte di sostentamento per intere famiglie.

Col passare del tempo, e sempre più frequentemente, sono prevalsi altri interessi, orientati verso la crescita dei profitti. In qualche occasione è stata persino progettata e attuata una riduzione della superficie della laguna per favorire insediamenti residenziali. Tutte queste decisioni hanno accentuato, come era prevedibile, l’inquinamento delle acque a causa degli scarichi che venivano riversati con regolarità e in quantità crescenti nello stagno.

Con il passare del tempo si è affermata quella che viene definita l’importanza della grande industria: il principio ancora oggi indicato come lo spartiacque tra arretratezza e sviluppo. La Sardegna aveva bisogno, così si diceva, di una svolta per inserirsi nei processi industriali in corso e conquistarsi un’autonomia e un prestigio di cui aveva un grande bisogno. Grazie a questa impostazione sono iniziati e finiti con tempestività i lavori di costruzione degli impianti della Rumianca, a cui hanno fatto seguito le altre industrie: Gcr, Selpa, Fluor-Sid oggi particolarmente sotto controllo, Sanac, Tessil-Rama ed altre minori.

Con la sottolineatura dell’importanza dello sviluppo si è favorito e giustificato il passaggio di tanti lavoratori da un settore produttivo all’altro. Così diversi pescatori sono diventati operai Rumianca o Selpa o Fluor-Sid. Lo stesso passaggio è avvenuto con gli addetti alla pastorizia o all’agricoltura.

Insomma un vero rivolgimento sociale i cui effetti positivi ancora tardano a concretizzarsi. E sarà difficile che si verifichino perché la grande industria non solo segna il passo ma appare avviata, almeno nella nostra isola, verso una crisi irreversibile. Gli unici aspetti che emergono da queste trasformazioni riguardano soprattutto la crescita delle povertà, la diffusione del lavoro precario e della disoccupazione, il deterioramento ulteriore dei nostri territori trattati come discariche permanenti che neppure meritano alcun risanamento.

A conferma di queste valutazioni è esplosa in queste settimane l’inchiesta avviata dalla Magistratura sulle attività della Fluorsid. Svela scenari inquietanti in totale contrasto con l’uso corretto del territorio. Il Corpo forestale ha localizzato grazie alla confessione di qualche dipendente della Ineco, una delle società che lavora per conto della Fluorsid, una discarica dove vengono depositati gli scarti industriali. Lo stesso Gip che segue la vicenda ha confermato queste ipotesi.

Ma quel che è ancora più grave riguarda il numero delle discariche dove sono stati e vengono tutt’ora depositati i rifiuti industriali, spesso contenenti sostanze ritenute mortali come il fuorsilicato. Le dimensioni delle stesse discariche non sono irrilevanti, e ciò alimenta ulteriori preoccupazioni sulle estensioni dell’inquinamento e sulla sua pericolosità.

Registriamo oggi queste scelleratezze pur sapendo che qualche discarica, per esempio quella di Terrasili, si sarebbe dovuta bonificare con urgenza già dal 2003 e che, per gli stessi corsi d’acqua che si collegano alla laguna, era stata disposta la messa in sicurezza di emergenza.

Insomma, come sottolineano alcune associazioni ambientaliste, si ha l’impressione che il tempo sia passato inutilmente e che in tutti questi decenni nulla sia cambiato nel trattamento dei rifiuti; anzi dobbiamo prendere atto che la situazione ambientale tende progressivamente a peggiorare senza che nessuno intervenga per porvi rimedio.

Perché tanta incuria e negligenza nell’esecuzione dei controlli? E perché tanti imprenditori continuano impuniti le loro attività criminali pur non mostrando il minimo rispetto nei confronti dei nostri territori e di chi li abita?

Ritengo possibili due spiegazioni su questi interrogativi. La prima riguarda la modalità con cui una parte della classe politica interpreta il suo ruolo istituzionale e i rapporti col mondo imprenditoriale. Coloro che appartengono a questa categoria non si pongono certo l’obiettivo del raggiungimento del bene comune. Il loro coinvolgimento è più modesto ma al tempo stesso orientato verso i propri interessi. Pensano al loro futuro e ritengono che possa migliorare, anche sensibilmente, attraverso un patto, non necessariamente scritto, con chi detiene il potere economico e finanziario. Per questi benpensanti vanno bene le relazioni clientelari, le complicità, anche attraverso i silenzi e il non fare, con chi esercita questi poteri.

La seconda spiegazione riguarda l’altra parte della classe politica. Forse è meno numerosa e meno coinvolta della prima nella ricerca dei propri interessi, molto disponibile verso il modello neoliberista di cui accetta la supremazia indiscussa, non si preoccupa delle conseguenze disastrose che produce sui diversi versanti dell’organizzazione sociale. Per questi uomini politici è importante non disturbare chi governa il sistema e chi stabilisce gli itinerari da seguire, per loro le cose vanno bene così.

Se non riusciremo a liberarci di queste classi dirigenti non solo la laguna di Santa Gilla ma anche l’intera isola cadrà nella morsa della speculazione.

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