Fondi ai gruppi e antipolitica

1 Luglio 2021

[Graziano Pintori]

Le notizie giornalistiche sulle sentenze pronunciate dal tribunale di Cagliari sui fondi ai gruppi del Consiglio Regionale hanno tutte lo stesso tono, una specie di solfa che ricalca il linguaggio dei giudici quando leggono le sentenze.

Difatti, nel leggere i giornali (queste sono le fonti da cui attingo notizie e conoscenza dei fatti) mi è venuto istintivamente da pensare che la giustizia operi senza anima, come un corpo meccanico che pur di raggiungere un obiettivo, cioè una condanna per gli imputati, travolge tutto e tutti senza distinzione alcuna. Premetto che non m’intendo di questioni giuridiche inerenti sentenze e costrutti di legge che le determinano, ciò non toglie, però, pur essendomi ignote le motivazioni che esplicitano le condanne per il reato di peculato agli ex onorevoli della 13^ e 14^ legislatura, che come animale politico sociale, “a fiuto”, le definisco ingiuste. Prive di equità.

Per esempio, non si valuta il dato storico delle legislature precedenti alla 13^ e 14^, per appurare che quanto contestato oggi agli ex onorevoli è frutto di una prassi consolidata, giacché gli organi di controllo e di giustizia, per esempio la Corte dei Conti che ha “competenza su materie che riguardano la gestione del pubblico denaro”, non hanno mai ritenuto di dover intervenire per porre fine a questa prassi. Stando così le cose sembra che, in tutta la storia delle legislature regionali, gli unici a essersi macchiati del reato di peculato continuato siano quelli della 13^ e 14^ legislatura, quasi che questi rappresentanti del popolo sardo siano portatori di una tara delinquenziale degna del Lombroso.

Siccome non credo alla teoria “criminale per nascita”, mi viene difficile pensare che queste persone sottoposte a giudizio fossero consapevoli di commettere il reato di appropriazione indebita di denaro pubblico: sarebbe interessante conoscere, andando a ritroso nel tempo, quanti altri ex onorevoli, inconsapevolmente, si siano macchiati dello stesso reato. Altre questioni che risaltano da queste sentenze sono le prescrizioni, peraltro già messe in luce da un intervento dell’on. Paolo Maninchedda su “Sardegna e Libertà”, il quale si chiede: “… perché un’inchiesta fin dal principio era inevitabilmente da volgere a tutti i gruppi consiliari in quanto generata da una falla del sistema regolamentare e dal suo uso distorto, è stata invece gestita secondo un cronoprogramma che ha visto il tal gruppo indagato a quattro – cinque anni dopo il primo sottoposto a indagine. Si può sapere perché? Si può sapere perché taluni sono già al secondo grado di giudizio e altri neanche al primo?”.

In pratica l’inchiesta coinvolge tutti i gruppi consiliari e per tutti il “nastro di partenza” delle indagini dovrebbe essere stato il medesimo, di conseguenza ci si chiede perché alcuni cittadini che commettono lo stesso reato nello stesso luogo e nello stesso periodo, per i “figli” arrivano le prescrizioni mentre per i “figliastri” arrivano le condanne? Altre perplessità che emergono dalle varie sentenze è l’assenza di riflessioni sull’uso personale di quei fondi, cioè non si è tenuto conto della qualità delle spese effettuate impropriamente e, allo stesso tempo, non sono state valutate le storie diverse delle persone e/o dei gruppi sottoposti a giudizio. Tutti gli imputati sono finiti nello stesso calderone, in cui il reato di peculato ha posto sullo stesso piano sia i rei che utilizzarono i fondi per l’acquisto personale di antichi libri pregiati e Montblanc, sia quelli che hanno effettuato spese per le attività politiche dei partiti, quando questi ultimi erano protagonisti e promotori della vita politica, culturale e sociale delle comunità che rappresentavano.

Mi si preciserà che la legge persegue chi commette il reato in se, senza distinzioni fra chi alimenta l’antipolitica con maniere da volgari approfittatori del pubblico denaro, e chi, al contrario, commette il reato con maniere moralmente giustificate e condivise. Sono convinto che se sull’uso specifico dei fondi dovessero giudicare i cittadini sulla condotta dei politici sottoposti oggi a giudizio, esprimerebbero giudizi diversi da quelli ufficiali dei tribunali: condanne e assoluzioni verrebbero ripartite sulla base della genuinità morale dimostrata dai diversi imputati, ovverosia avrebbero distinto coloro che hanno utilizzato i fondi per arricchimento personale da chi li ha utilizzati per il bene comune.

Siccome il senso della giustizia, della politica e della morale non sono a compartimenti stagni, a mio parere le distinzioni di cui sopra la giustizia ne avrebbe dovuto tenere conto, altrimenti anch’essa si presta a essere strumento dell’antipolitica. Per finire, come cittadino elettore e già militante di un partito coinvolto in questa brutta faccenda, in altri tempi avrei parlato di criminalizzazione della politica da parte del potere giudiziario.

Oggi, invece, parlo di antipolitica fattasi politica, grazie a certi pseudo politici che sulla scia dello sdegno morale, degli scandali, della corruzione di cui la gente ne ha fin sopra i capelli, hanno creato le loro fortune politiche.  A maggior ragione, quindi, fare distinzioni sulla qualità dell’uso improprio e inconsapevole del denaro pubblico deve essere un imperativo categorico. Anche e soprattutto per chi è chiamato ad applicare la legge.

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