Foodsharing: tre mesi dopo

1 Febbraio 2015
Foodsharing: tre mesi dopo
Julia Arena

Secondo il Rapporto 2014 sullo spreco alimentare domestico realizzato da Waste Watchers, ogni anno in Italia si getta tra i rifiuti l’equivalente di 8,7 miliardi di euro di cibo. Dati allarmanti e vergognosi di per sé, ma ancora più gravi se si pensa che viviamo in tempi di forte crisi economica in cui molte famiglie fanno fatica ad arrivare a fine mese. Se è vero che i principali artefici di tali sprechi sono i supermercati e, in misura minore, ristoranti e locali, altrettanto vero è che nel piccolo delle nostre realtà domestiche abbiamo l’obbligo di cercare di fronteggiare il problema, per quanto possibile. È con questo spirito che in tutto il mondo si è diffuso il sistema del foodsharing, attivo soprattutto in Germania – terra nella quale ho avuto modo di conoscerlo -, attraverso pratici e immediati gruppi Facebook. Il sistema è molto semplice: se hai a casa prodotti alimentari prossimi alla scadenza o che non hai intenzione di consumare, puoi offrirli al gruppo, in modo che chi è interessato possa prenotarsi per il ritiro; le due parti coinvolte nello scambio si contatteranno poi privatamente per definirne i dettagli.
A fine ottobre, dopo lunghe riflessioni, ho deciso di proporre l’iniziativa a Cagliari, fondando un gruppo apposito su Facebook. Ero titubante e non troppo ottimista rispetto a come l’iniziativa sarebbe stata accolta in Italia, dove per natura tendiamo a diffidare del prossimo e dove spesso ci si vergogna anche a farsi incartare gli avanzi in ristorante, temendo che il vicino di tavolo possa giudicarci male. Con mia enorme sorpresa, invece, il gruppo si è diffuso rapidamente, suscitando grandissimo entusiasmo. Nel giro di poche settimane già si toccava quota mille iscritti; innumerevoli erano, inoltre, i messaggi di supporto e di sostegno all’iniziativa. Con mio grande stupore, fui contattata da diverse testate locali che pubblicarono articoli e interviste a riguardo, contribuendo a pubblicizzare ulteriormente il gruppo, il quale adesso, dopo solo tre mesi di esistenza, conta quasi 1700 iscritti. Un ottimo risultato, tanto più considerando le mie incertezze iniziali e la convinzione che la mentalità locale non avrebbe accolto a braccia aperte l’idea del foodsharing.
Da subito in tanti si sono mostrati volenterosi di partecipare attivamente, offrendo i prodotti in eccedenza che avevano trovato in dispensa o in frigo. Più difficile è stato invece, come sospettavo, trovare chi accettasse questi prodotti: sono ancora convinta che questa reticenza iniziale non fosse dovuta al fatto i che i prodotti non interessassero, quanto all’imbarazzo di farsi avanti e prenotarsi per averli. Grazie ad alcuni coraggiosi che hanno però rotto il ghiaccio e dato il buon esempio, la situazione si è smossa e gli scambi sono partiti.
Il gruppo, come si è detto, è attivo da circa tre mesi ed è tempo di fare qualche bilancio. Da parte mia c’è indubbiamente tanta soddisfazione per i grandi risultati ottenuti (e le richieste di iscrizione al gruppo continuano a pervenire numerose giornalmente) e un rinvigorito senso di appartenza alla comunità cagliaritana. Tuttavia non nego che ci siano delle i su cui mettere il puntino e, come tutti i progetti appena nati, aspetti che potrebbero essere migliorati. Innanzitutto tante affermazioni da parte dei membri del gruppo mi hanno dato da pensare che i principi e lo scopo siano stati talvolta travisati: come ho poi provveduto a puntualizzare, il gruppo è stato creato come semplice spazio inserzionistico per far fronte agli sprechi domestici, salvando i prodotti in eccedenza dalla spazzatura, e in cui fare sensibilizzazione sul tema degli sprechi alimentari. Spesso il gruppo viene invece visto come una vera e propria associazione con doveri e competenze – agganci con i supermercati, punti di raccolta, sistema di distribuzione – che vanno ben oltre il raggio d’azione del foodsharing.
Già durante la prima settimana di vita del gruppo, diversi membri si sono lanciati nel proporre la costruzione di un sito, per coloro che non utilizzano Facebook ma sarebbero interessati a contribuire, chi addirittura un’app, ormai diventata una costante nel settore dei servizi e delle imprese. Altri mi chiedevano la costituzione di una vera e propria cooperativa sociale, con una rosa di dipendenti e una rete ben organizzata. Queste proposte mi sono immediatamente parse premature. Ho infatti cercato di spiegare più volte che la mia intenzione nel creare il gruppo era di mettere a disposizione uno spazio virtuale in cui regalare, richiedere o scambiare prodotti alimentari, come ne esistono nelle varie città tedesche, dove ogni giorno vengono postate tantissime offerte. Un’idea che ho voluto proporre proprio per la sua semplicità, perché sono i sistemi semplici che attecchiscono per primi e non si possono risolvere equazioni se prima non si impara a sommare e a sottrarre. E prima di imbarcarsi nella costruzione di un sito o di un’associazione, sarebbe stato saggio testare l’effettiva partecipazione della popolazione cagliaritana – non solo tramite supporto morale, ma soprattutto tramite scambi concreti.
Cagliari è una città che, a causa del suo isolamento geografico, arriva spesso in ritardo sulle pratiche che nel resto d’Europa già sono ben collaudate, e questo spiega sia la curiosa attenzione della stampa, sia l’impetuoso entusiasmo di quei membri che hanno da subito proposto di fare le cose in grande. Questa innocenza e purezza, questa curiosità a volte ingenua verso il nuovo, sono forse i tratti della mia regione che più apprezzo. Allo stesso tempo, però, è importante procedere per gradi e con una buona dose di cautela e pragmaticità. Dal mio punto di vista, non ha senso procedere con progetti complessi e impegnativi, se il gruppo non funziona nella formula semplice con cui è stato ideato. Perché il gruppo è sì attivo, ma gli scambi sono ancora poco frequenti.
I post che riguardano l’offerta di qualche prodotto sono effettivamente pochi; tantissimi invece i post di apprezzamento, sostegno, complimenti per l’iniziativa e nuove proposte che danno il là a discussioni e considerazioni teoriche. Del resto, questo mi è sempre sembrato un tipico atteggiamento italiano che raramente ho riscontrato negli altri paesi in cui ho vissuto: la passione per la discussione teorica a discapito dell’azione pratica. Ognuno ci tiene a esprimere la propria opinione e a far valere il proprio punto di vista anche nei momenti in cui la discussione è controproduttiva; così come fanno, ormai quotidianamente, i nostri rappresentanti politici e i loro detrattori nei programmi televisivi, anche noi ci confrontiamo, ci scontriamo, ci lamentiamo, vagheggiamo un mondo perfetto, con la frequente pretesa che le cose diventino subito, quasi per magia, come dovrebbero essere. Forse perché siamo un popolo di umanisti e di idealisti, ci piace ragionare piuttosto che imparare empiricamente, per gradi di difficoltà crescente. E dai tedeschi, oltre all’abitudine di condividere il cibo, a mio parere dovremmo imparare anche a mettere in fila pazientemente un passo dopo l’altro, invece che tentare pericolosi salti in lungo, perché è solo così che si arriva sicuri alla meta. Altrimenti si rischia solo di cimentarsi in maldestri voli pindarici.

*Immagine di Francesca Heimi Mara

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI