Garibaldi bifronte e l’Unità d’Italia

16 Gennaio 2021

[Francesco Casula]

I libri scolastici e la gran parte dei media ci consegnano ancora un Garibaldi mitizzato: l’eroe dei due mondi, l’ammiraglio, il generale, il condottiero intemerato e coraggioso.

Generoso e disinteressato. Che viene direttamente dai suoi apologeti, ad iniziare dai memorialisti come Giuseppe Cesare Abba, Ippolito Nievo, Cesare Abba, Alberto Mario. Un personaggio letterario: frutto della retorica patriottarda italica. Pensiamo al libro “Cuore” di De Amicis (oltreché scrittore, ufficiale sabaudo), che così lo descrive: «Affrancò milioni d’italiani dalla tirannia dei Borboni […] Quando gettava un grido di guerra, legioni di valorosi accorrevano da lui da ogni parte […] Era forte biondo bello. Sui campi di battaglia era un fulmine, negli affetti un fanciullo, nei dolori un santo»1. Di contro al Garibaldi frutto della mitopoiesi e dell’oleografia, c’è un altro Garibaldi, quello ancorato alla storia. E non parlo del nizzardo nel supposto ruolo di venditore di schiavi in America latina: ancora oggetto di una vecchia e lunga vexata quaestio; mi riferisco – per esempio – al Garibaldi che opera in Sicilia con l’occupazione brutale e sanguinaria del Meridione. E le stragi, i massacri, le devastazioni compiute nella conquista, manu militari, del Sud da parte sua o comunque in nome e per conto suo. Stragi taciute e nascoste: come quelle di Bronte e Francavilla, per esempio. Che non sono, si badi bene, episodi né atipici né unici né lacerazioni fuggevoli di un processo più avanzato. Ebbene, a Bronte come a Francavilla e in moltissime altre località, vi fu un massacro, fu condotta una dura e spietata repressione nei confronti di contadini e artigiani, rei di aver creduto agli Editti Garibaldini del 17 Maggio e del 2 Giugno 1860 che avevano decretato la restituzione delle terre demaniali usurpate dai baroni, a chi avesse combattuto per l’Unità d’Italia. Così le carceri di Franceschiello, appena svuotate, si riempirono in breve e assai più di prima. La grande speranza meridionale ottocentesca, quella di avere da parte dei contadini una porzione di terra, fu soffocata nel sangue, nella galera e persino nei campi di concentramento (Fenestrelle, San Maurizio Canavese). Così la loro atavica, antica e spaventosa miseria continuò. Anzi: aumentò a dismisura. I mille andarono nel Sud semplicemente per “’traslocare” – ripeto manu militari – il popolo meridionale, dai Borbone ai Piemontesi. Grazie all’aiuto determinante degli inglesi (e ai soldi della massoneria), alla corruzione degli ufficiali dei Borbone, alla connivenza della mafia siciliana prima e della camorra napoletana poi. Altro che liberazione! L’Unità d’Italia si risolverà sostanzialmente nella “piemontesizzazione” della Penisola: contro gli interessi del Meridione e delle Isole e a favore del Nord; contro gli interessi del popolo, segnatamente del popolo-contadino del Sud e a favore degli agrari meridionali e degli industriali settentrionali; contro i paesi e a vantaggio delle città, contro l’agricoltura e a favore dell’industria. Creando di fatto una colonia interna2. Scriverà Giuseppe Dessì: ”Era stato soltanto ingrandito il regno del re sabaudo…la vera faccia dell’Italia non era quella che aveva sognato con tanti altri giovani, ma quella che sentiva urlare nella bettola, divisa come prima e più di prima, giacché l’unificazione non era stato altro che l’unificazione burocratica della cattiva burocrazia dei vari stati italiani. Questi sardi impoveriti e riottosi non avevano nulla a che fare con Firenze, Venezia, Milano, con Torino, che considerava l’Isola come una colonia d’oltremare, o una terra di confino. In realtà fra gli stessi italiani del Continente, non c’era in comunione se non un’astratta e retorica idea nazionalistica, vagheggiata da mediocri poeti e da pensatori mancati[…]3. Un Garibaldi, dunque bifronte. Ambiguo. Ideologicamente intercambiabile. Tanto che durante il ventennio fu santificato ed eletto “naturalmente” come padre putativo di Mussolini e del regime e dunque fu “fascista”. Come fu santificato il Risorgimento, cui il Fascismo si collegava strettamente perché visto “come il periodo di maturazione del senso dello Stato …uno Stato forte, realtà morale, etica e non naturale, che subordina a sé ogni esistenza e interesse individuale” 4. Dopo il fascismo, nel ’48, alle elezioni politiche, la sua icona fu scelta come simbolo elettorale del Fronte popolare e dunque divenne socialcomunista. Negli anni Ottanta fu osannato da Spadolini – e dunque divenne repubblicano – come il generale vittorioso, l‘eroico comandante, l’ammiraglio delle flotte corsare e l’interprete di un movimento di liberazione e di redenzione per i popoli oppressi; fu celebrato da Craxi – e dunque divenne socialista – come il difensore della libertà e dell’emancipazione sociale che univa l’amore per la nazione con l’internazionalismo in difesa di tutti i popoli e di tutte le nazioni offese; infine fu persino rivendicato da Piccoli che lo fece dunque diventare democristiano. Ecco, è proprio questo unanimismo, questa unione sacra – destra, sinistra, centro, tutti d’accordo – intorno al Risorgimento e ai suoi personaggi simbolo, che non convince; è questa intercambiabilità ideologica dei suoi “eroi” che rende sospetti. Questo suo essere indifferentemente utilizzato da fascisti, comunisti e liberali. Non solo in Italia. Infatti nel centenario della sua “impresa” con i Mille, gli Stati Uniti hanno onorato in lui l’uomo cui Abraham Lincoln offrì un alto comando e il grado di generale nell’esercito federale. E l’Unione sovietica rese omaggio, in lui, al sostenitore della Comune di Parigi e della prima Internazionale marxista. “Garibaldi – scrive Jasper Ridley, uno dei suoi più grandi e documentati biografi – è l’unico personaggio che negli anni al culmine della guerra fredda, sia apparso tanto in un francobollo americano quanto in un francobollo sovietico” 5.

Riferimenti bibliografici 1. Edmondo de Amicis, Cuore, Garzanti, 1967, pagina 176. 2. Nicola Zitara,L’Unità d’Italia, nascita di una colonia, Ed. Jaca Book, 1971 3. Giuseppe Dessì, Paese d’Ombre, Ed. Ilisso, 1998, pagina 145. 4. Franco Della Peruta, Storia del Novecento, Le Monnier ed. 1991, pagina.195. 5. Jasper Ridley, Garibaldi, Club degli Editori, 1976, pagina,7.

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