Giustizia giusta e libertà per Beniamino Zuncheddu

3 Dicembre 2023

Beniamino Zuncheddu e Irene Testa, garante regionale dei diritti delle persone detenute in Sardegna

[Claudia Zuncheddu]

A 33 anni dall’ingiusta condanna all’ergastolo di Beniamino Zuncheddu, il pensiero va anche a chi non è sopravvissuto ai tempi di carcerazione di quell’innocente. A quelle persone anziane con le facce sofferte, poggiate sui tavoli del Tribunale, che da Burcei scendevano a Cagliari con la speranza del verdetto d’innocenza e riportarsi a casa quel giovane pastore buono e mite.

La fretta nel chiudere il caso con una condanna all’ergastolo di un ragazzo che si è sempre proclamato innocente e la lentezza del procedimento di revisione per stabilire se c’è errore giudiziario, fa riflettere sui disequilibri della Giustizia. E’ l’incertezza del Diritto che fa paura, disorienta e che spesso sconfina nell’arbitrio.

Il caso di Beniamino Zuncheddu, condannato all’ergastolo per la strage di Sinnai del 1991,  con tre pastori uccisi e un sopravvissuto, si prospetta tra i più gravi errori giudiziari della storia italiana. Dopo 33 anni di detenzione, i giudici di Appello hanno emesso l’ordinanza che ha sospeso l’esecuzione della pena. Finalmente la quasi libertà, il suo allontanarsi dal carcere a piedi e senza mai voltarsi. Gli abbracci, la commozione, i fuochi d’artificio della comunità burcerese, le esultazioni anche d’oltre Tirreno.

Il caso sardo in Italia, è caso nazionale.

Ma c’è un tempo per tutto. Come per tutte le ingiustizie esiste una realtà con cui fare i conti. Quei decenni di privazione della libertà per un ragazzo invecchiato in carcere, a causa di una dichiarazione del sopravvissuto alla strage su suggerimento di un agente.

“Non sono un eroe ma un sopravvissuto”, è una sintesi impeccabile e dolorosa della sua storia. Sopravvivere ad una condanna all’ergastolo da innocente, non richiede atti eroici, ma una prova di resistenza ad una condizione disumana, attimo per attimo per 33 anni.

Entrare nell’inferno dell’ergastolo a 26 anni e rivedere la luce a 59, è un’esperienza che non si risana con il lieto fine della storia e neanche con un risarcimento in denaro. L’inferno lascia le sue tracce. Neppure Dante, nella Divina Commedia, ha contemplato uno spazio che restituisse all’innocente quei decenni di inferno immeritato. E se gli angeli esistono, per Beniamino Zuncheddu sono in carne ed ossa e soprattutto sono ancora viventi.

E’ la Procuratrice Generale di Milano che nel 2019 guidava la Procura Generale di Cagliari. Firmò la richiesta di revisione con la certezza che non potesse essere Beniamino l’autore dell’eccidio. E’ il pastore sopravvissuto alla strage, che vinto dai suoi tormenti dice la verità. E’ il suo avvocato al servizio di una giustizia giusta.  E’ la Garante dei diritti dei detenuti per la Sardegna. E’ Radio Radicale che ha amplificato la voce su un ennesimo caso di ingiustizia che farà storia. E’ il mondo dei Diritti civili. E’ tutta la stampa. E’ la comunità burcerese.

L’errore giudiziario apre lo scenario sulla perdita dei diritti contemplati dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani. Il diritto civile della persona alla vita, alla sicurezza e alla libertà e i diritti civili in rapporto ai gruppi sociali, quello delle relazioni, del matrimonio, della costruzione di una famiglia, del diritto all’ autodeterminazione del proprio futuro.

Gli ordinamenti degli Stati membri contemplano “il risarcimento dei danni prodotti dalle istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni”. Come il sistema giudiziario risponderà di errori, omissioni e depistamenti, è di altrui competenza.

Di certo il caso di Beniamino Zuncheddu sarà un monito per i Tribunali, una lezione per la Giurisprudenza e l’Università.

Noi vorremmo che il caso non si ripetesse mai più.

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