Gli dei del bambino

16 Maggio 2012

Bastiana Madau

Forse troppo poco ci soffermiamo a pensare a un fatto che sino a pochi anni fa era totalmente inedito nella storia dell’umanità: per la prima volta i bambini hanno la capacità di fare in maggior numero e meglio dei più adulti qualcosa di tecnologicamente complesso. La scuola ne ha preso atto già da qualche tempo, ponendo in essere un’“avventura” che ha avuto e ha ancora il sapore di una scoperta – mai come in questo caso compartecipata ed entusiasmante – sia per i bambini sia per gli insegnanti. Stiamo parlando dell’utilizzo del computer e della navigazione in rete. Una simile situazione pedagogica compartecipata – lontana un secolo, filosoficamente simile ma ancora più forte – è quella descritta da Raffaela Dore in Gli dei del bambino (Ilisso 2011), straordinario saggio sull’educazione del bambino nell’antico villaggio sardo, allorquando i più piccoli erano chiamati a collaborare quanto più possibile alla vita comune. L’oggetto dello studio è il villaggio in rapporto ai bambini che vi crescono e che ben presto vengono assorbiti nella comunità. (Custu pizzinnu no nos morzat mai. / Menzus nos morzat una vitelledda, / ca sa vitella no la manicamus / e su pizzinnu no lu cumandamus / e lu mandamus in goi e in gai. / Custu pizzinnu no nos morzat mai.). Degli adulti – chi siano, come pensino, come lavorino – sappiamo poco ma non è necessario: essi sono gli dèi onnipresenti e potenti, coloro che conservano per sé responsabilità e fatica concedendo al bambino un breve periodo di libertà, al termine del quale condivideranno lavoro e dolore. L’intero villaggio svolge in tal senso una funzione educativa corale. Così l’autrice apre al lettore un mondo in cui l’infanzia è figlia della propria cultura come un frutto è figlio dell’albero: lontana dalla banale esaltazione del piccolo selvaggio, gli offre un approfondimento, condotto sulle basi dell’antropologia sociale e vivificato dal linguaggio della poesia, di una condizione di vita che ha luci e ombre, ricostruendo con uno stile partecipato un’infanzia non certo facile e tuttavia fervida di bellezza, di forza e di significato. L’autrice è nata a Orune nel 1905. Nel 1917 la famiglia si trasferisce a Roma dove studia pedagogia, in particolare dell’età infantile. All’inizio degli anni Sessanta pubblica diversi saggi nella rivista I problemi della pedagogia diretta da Luigi Volpicelli e, nel 1962, per le edizioni Ichnusa, Gli dei del bambino, articolato intorno a quattro saggi principali: “L’educazione naturale nella pratica educativa del villaggio sardo”, “Uomini ed animali, bambini e uccelli nella pedagogia dei primitivi e delle popolazioni arretrate”, “Il bambino e il lavoro”, “Gli dei del bambino”. Nel 1972, il volume viene ripubblicato dalla casa editrice Morcelliana con l’aggiunta di nuovi saggi: “Il bambino in lotta” e “La fiaba tra strutturalismo e formalismo” e da allora scompare. Oggi viene integralmente riproposto con la rilettura di una delle più grandi esperte italiane di letteratura per ragazzi: Teresa Buongiorno.

2 Commenti a “Gli dei del bambino”

  1. Fiorenza Serra scrive:

    Dal titolo del libro e degli altri saggi citati sembrerebbe che la ricerca della studiosa Raffaela Dore abbia per oggetto soltanto l’educazione dei bambini, escludendo dal campo d’indagine le bambine. Bisognerà andare in libreria per verificare se è proprio così: buona occasione per acquistare un’opera che sembra davvero interessante.
    E le osservazioni di Bastiana Madau sul rapporto tra bambini e computer riguardano anche le bambine? Mi piacerebbe saperlo.
    AH! Come sarebbe bello se si affermasse l’uso del femminile e cessasse quello del maschile come neutro!

  2. Bastiana Madau scrive:

    Suscitare curiosità con una sintetica recensione è sempre un piacere, ancor di più quando in chi ne fruisce si apre una delle tante prospettive di lettura. Raffaella Dore diede alle stampe una prima stesura dell’opera agli inzi degli anni Sessanta, quando le teorie di riferimento nella storia del pensiero femminile erano sostanzialmente emancipazioniste e non visibilmente connotate dal pensiero della differenza, non solo di genere. Il “bambino” del titolo principale e dei diversi saggi inclusi nell’opera è da intendersi in senso linguistico convenzionale come un neutro: lo studio contempla l’infanzia nell’antico villaggio sardo al plurale di genere, bambini e bambine, a partire, ad esempio, dall’analisi di una filastrocca come questa: «Pesa a ballare, muschittedda mia / ca t’appo a dare corittu e gunnedda / e muccadores de cada zenia». (Raffaella Dore, “Gli dei del bambino. Saggi sull’educazione naturale nelle società arretrate”, Ilisso, Nuoro 2011, p. 25). Ma come vedrà chi legge, al centro emerge un’altra “differenza”, allorquando la Dore concentra la sua osservazione (sin qui inedita negli studi sardi) sui “reverde”, i ragazzi-uccelli, “i due volte verdi, o due volte bambini”. Buona lettura.

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