Google sa tutto di te

16 Marzo 2016
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[Ignacio Ramonet]

[Traduzione di Pierluigi Sullo] Nella nostra vita quotidiana lasciamo costantemente tracce che disegnano la nostra identità, lasciano intravedere le nostre relazioni, ricostruiscono i nostri spostamenti, identificano le nostre idee, svelano i nostri gusti, le nostre scelte e passioni, incluse le più segrete. Lungo tutto il pianeta molteplici reti di controllo di massa ci sorvegliano in permanenza.

Ovunque qualcuno ci osserva attraverso i nuovi mezzi digitali. Lo sviluppo della “internet delle cose” (Internet of Things) e la proliferazioni degli apparati connessi moltiplicano la quantità delle spie di ogni tipo che ci accerchiano. Negli Stati uniti, per esempio, l’impresa elettronica Vizio, basata a Irvine (California), principale produttore di televisori intelligenti connessi a internet, ha rivelato di recente che i suoi televisori spiavano gli utenti per mezzo di tecnologie incorporate nell’apparato.

I televisori registrano tutto quel che gli spettatori consumano quanto a contenuti audiovisivi, tanto i programmi delle tv via cavo che i DVD, i pacchetti di accesso a internet o le consolle dei videogiochi… Così, Vizio può sapere tutto sulle selezioni che i suoi clienti preferiscono in materia di svago audiovisivo. E, di conseguenza, può vendere questa informazione a imprese pubblicitarie che, grazie all’analisi dei dati, conosceranno con precisione i gusti degli utenti e saranno in una posizione migliore per tenerli sotto tiro.

Questa non è, in sé, una strategia differente da quella che, per esempio, utilizzano abitualmente Facebook e Google per radiografare gli internauti e sottoporre pubblicità adatta ai loro presunti gusti. Va ricordato che, nel romanzo di Orwell “1984″, i televisori – obbligatori in ogni casa – “vedono” attraverso lo schermo quel che la gente fa (“Ora possiamo vederli!”). E la domanda che propone oggi l’esistenza di apparati tipo quelli della Vizio è sapere se siamo disposti ad accettare che il nostro televisore ci spii.

A giudicare dalla denuncia fatta nell’agosto del 2015 dal deputato californiano Mike Gatto contro l’impresa sudcoreana Samsung, parrebbe che non siamo disposti. L’impresa era accusata di equipaggiare i suoi nuovi televisori anche con un microchip nascosto, capace di registrare le conversazioni dei telespettatori, senza che questi lo sapessero, e trasmetterle a terzi… Mike Gatto, che presiede la Commissione per la protezione del consumatore e della privacy nel Congresso della California, ha anche presentato una proposta di legge per proibire che i televisori possano spiare la gente.

Ma Jim Dempsey, direttore del centro “Diritto e tecnologie” dell’Università di California, a Berkeley, pensa che i televisori-spia sono destinati a proliferare: “La tecnologia permetterà di analizzare i comportamenti della gente. E questo non interesserà solo gli inserzionisti pubblicitari. Potrebbe anche permettere la realizzazione di valutazioni psicologiche o culturali che, per esempio, interessano alle compagnie di assicurazioni”. Soprattutto se si tiene in considerazione che le imprese di risorse umane e di lavoro temporaneo già utilizzano sistemi di analisi della voce per ottenere una diagnosi psicologica immediata di persone che chiamano al telefono alla ricerca di un impiego…

Distribuiti un po’ ovunque, i rilevatori dei nostri atti e gesti abbondano attorno a noi, compreso, come abbiamo visto, dentro il nostro televisore: sensori che registrano la velocità dei nostri spostamenti o dei nostri itinerari; tecnologie di riconoscimento facciale che memorizzano l’impronta del nostro viso e creano, senza che noi lo sappiamo, basi di dati biometrici su ciascuno di noi. Per non parlare del nuovi chip di identificazione via radiofrequenza, RFID, che tracciano automaticamente il nostro profilo di consumatori, come già fanno le “carte fedeltà” che generosamente offre la maggior parte dei grandi supermercati e dei grandi marchi.

Ormai non siamo più soli davanti allo schermo del nostro computer. Chi ignora a questo punto che vengono esaminati e filtrati i messaggi elettronici, le ricerche in rete, gli scambi nelle reti sociali? Ogni clic, ogni chiamata telefonica o uso del telefono, ogni utilizzazione della carta di credito e ogni navigazione in internet procura eccellenti informazioni su ciascuno di noi, informazioni che vanno a arricchire un impero invisibile al servizio di corporation commerciali, imprese pubblicitarie, entità finanziarie, partiti politici e autorità governative.
Il necessario equilibrio tra libertà e sicurezza corre, quindi, il rischio di rompersi.

Nel film di Michael Radford, 1984, basato sul romanzo di Orwell, il presidente supremo, chiamato Big Brother, definisce così la sua dottrina: “La guerra non ha per obiettivo l’essere vinta, il suo obiettivo è continuare”; e: “La guerra la fanno i dirigenti contro i loro stessi cittadini, e ha per oggeto il mantenere intatta la struttura stessa della società”. Due principi che, stranamente, sono oggi all’ordine del giorno delle nostre società. Con il pretesto di cercare di proteggere l’insieme della società, le autorità vedono in ciascun cittadino un potenziale delinquente. La guerra permanente (e necessaria) contro il terrorismo fornisce un alibi morale impeccabile, e favorisce l’accumulazione di un impressionante arsenale di leggi utili a procedere al controllo sociale integrale.

Ma di più: bisogna tenere in conto il fatto che la crisi economica soffia sul fuoco dello scontento sociale, che, qui o là, potrebbe prendere la forma di ribellioni sociali, sollevazioni contadine o rivolte delle periferie. Più sofisticate dei manganelli delle forze dell’ordine, le nuove armi di vigiulanza permettono di identificare meglio i leader e metterli in anticipo fuori gioco.

“Esisterà meno rispetto per la vita privata, ma più sicurezza”. ci dicono le autorità. In nome di questo imperativo si crea così, un po’ alla volta, un regime securitario che potremmo qualificare come “società del controllo”. Oggi il principio del “panopticon” si applica a tutta la società. Nel suo libro “Sorvegliare e punire” il filosofo Michel Foucault spiega che il “panopticon” (l’occhio che tutto vede) è un dispositivo architettonico che crea una “sensazione di onniscienza invisibile”, e che permette ai guardiani di vedere senza essere visti dentro il recinto di una prigione. I detenuti, esposti permanentemente allo sguardo nascosto dei “vigilanti”, vivono con il timore di essere colti in fallo…

Ne possiamo dedurre che il principio organizzatore di una società della disciplina è il seguente: sotto la pressione di una vigilanzia ininterrotta, la gente finisce per modificare il suo comportamento. Come afferma Glenn Greenwald: “Le esperienze storiche dimostrano che la semplice esistenza di un sistema di vigilanza su larga scala, qualunque sia il modo in cui lo si utilizza, è sufficiente di per sé a reprimere i dissidenti. Una società consapevole di essere permanentemente vigilata diventa docile e timorata”.

Oggi, il sistema panottico si è rafforato con una particolarità nuova in confronto alle precedenti società del controllo, che confinavano le persone considerate antisociali, marginali, ribelli o nemiche, in luogi di privazione della libertà: prigioni, riformatori, manicomi, asili, campi di concentramento… Invece le nostre società del controllo lasciano in una libertà apparente i sospetti (ossia tutti i cittadini), ma li tiene sotto vigilanza elettronica permanente. La contenzione digitale ha sostituito quella fisica.

A voltue, questa vigilanza costante si mette all’opera anche con l’aiuto di apparati spia tecnologici che la gente compra liberamente: computer, telefoni mobili, tablet, abbonamenti ai trasporti, carte di credito intelligenti, carte di fedeltà commerciali, localizzatori GPS, ecc. Per esempio, il portale Yahoo!, consultato regolarmente e volontariamente da circa 800 milioni di persone, cattura una media di 2500 azioni orutinarie di ciascuno dei suoi utenti.

Quanto a Google, il cui numero di utenti supera il miliardo, dispone di un impressionante numero di sensori per spiare il comportamento di ciascuno cliente: ll motore Google Search, per esempio, permette di sapere dove si trova l’utente, cosa cerca e in che momento. Il browser di navigazione Google Chrome, una mega-spia, invia direttamente a Alphabet (l’impresa madre di Google) tutto quel che l’utente fa in materia di navigazione. Google Analytics elabora statistiche molto precise delle ricerche degli internauti. Google Plus raccoglie informazioni complementari e le mescola alle altre.

Gmail analizza la corrispondeza scambiata, la qual cosa rivela molto sul mittente e sui suoi contatti. Il servizio DNS (Domain Name Service, o sistema dei nomi dei domini) di Google analizza tutti i siti che ciascuno visita. YouTube, il servizio di video più consultato al mondo, che pure appartiene a Google e, quindi, ad Alphabet, registra tutto quel che facciamo in esso. Google Maps identifica il luogo in cui ci troviamo, dove andiamo e per quale itinerario… AdWords sa che cosa vogliamo vendere o promuovere. E dal momento in cui accendiamo uno smartphone con Android, Google sa immediatamente dove siamo e che stiamo facendo. Nessuno ci obbliga a ricorrere a Google, ma quando lo facciamo Google sa tutto di noi. E, secondo Julian Assange, ne informa immediatamente le autorità statunitensi…

In altre occasioni, quelli che spiano o seguono i nostri movimenti sono sistemi nascosti o camuffati, ad esempio gli autovelox sulle strade, i droni o le telecamere di vigilanza (chiamate anche di “videoprotezione”). Questo tipo di telecamere ha tanto proliferato che per esempio nel Regno Unito, dove ce ne sono più di quattro milioni (una ogni quindici abitanti), un pedone può essere filmato a Londra fino a 300 volte in un giorno. E le videocamere di ultima generazione, come la Gigapan, di altissima definizione – più di un miliardo di pixel – permettono di ottenere, con una sola fotografia e attraverso un vertiginoso zoom dentro la stessa immagine, la scheda biometrica del viso di ciascuna delle migliaia di persone presenti in uno stadio, una manifestazione o un incontro politico.

Nonostante esistano studi seri che hanno dimostrato la scarsa efficacia della videovigilanza in materia di sicurezza, questa tecnica continua ad essere sostenuta dai grandi media. Anche una parte dell’opinione pubblica ha finito con l’accettare la restrizione delle sue stesse libertà individuali: il 63 per cento dei francesi si dichiara disposto a una “limitazione delle libertà individuali in internet in nome della lotta contro il terrorismo”.

Questo dimostra che il margine di crescita in materia di sottomissione è ancora considerevole.

*Ignacio Ramonet è Direttore dell’edizione in lingua spagnola di Le Monde diplomatique e autore di molti libri. Questo testo è un anticipazione dell’ultimo, pubblicato il 25 gennaio scorso, e non ancora tradotto in italiano: “El imperio de la vigilancia”, editorial Clave intelectual, Madrid. L’ultimo suo libro pubblicato in Italia è “L’esplosione del giornalismo” (edito da Intra Moenia nel 2012).

Da Il manifesto di Bologna

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