Fuga dalla sinistra

1 Luglio 2007

ALBERTO SORDI

Loris Campetti

Quando incontrai Liliana in Val Camonica mi chiesi se fosse giusto mettere in piazza la sua storia: un’operaia tessile, delegata Cgil e leghista convinta. Forse era una rarità, perché specularci sopra? Diceva: chi si occupa dei problemi del lavoro è la Cgil, mica la sinistra che preferisce difendere i gay e attaccare la Chiesa e tanto meno la destra che sta con i padroni. Perché sto con la Lega? Perché mi difende dall’invasione degli immigrati e pensa le cose che penso io. Lei pensa che gli immigrati onesti che lavorano possono restare, gli altri fuori dalle balle che di delinquenti e oziosi ne abbiamo già abbastanza. Dopo un lungo giro nelle valli bresciane e bergamasche capii che Liliana non era una rarità. Capii anche che la sinistra in Lombardia s’è liquefatta, abbandonando ogni insediamento territoriale e sociale. Se da quelle parti la destra non aveva stravinto le elezioni bisognava ringraziare insegnanti, dipendenti pubblici, un po’ di borghesia illuminata. Il voto operaio era rimasto a casa o era precipitato a destra.
Sarà un fatto lombardo, pensai. Proseguii la mia inchiesta in Piemonte, salvo scoprire che non c’erano molte differenze con la Lombardia. Profondo Nord, disillusione, solitudine operaia, fuga dalla politica, individualismo proprietario. Con l’eccezione di Torino, roccaforte rossa e metalmeccanica. Torino tiene, ma fino a quando? Me lo spiegò Nina, operaia e delegata Fiom a Mirafiori il giorno in cui Epifani, Bonanni e Angeletti furono sommersi dai fischi delle tute blu esasperate, abbandonate a se stesse dalla sinistra: gli operai mi dicono che hanno votato a sinistra sperando così di uscire dalla mattanza sociale di Berlusconi. Speravano che il loro disagio, la fatica, i diritti potessero finalmente entrare nell’agenda politica. Volevano salvare le loro pensioni, cioè la possibilità per chi ha iniziato a 16 anni a lavorare alla catena di montaggio di poter smettere dopo quarant’anni d’inferno. Invece i nostri, mi diceva Nina, parlano la stessa lingua degli altri e così gli operai, perse speranza e riferimenti, non andranno più a votare o se ci andranno magari voteranno a destra, perché tanto vale scegliere l’originale che accontentarsi delle imitazioni. E almeno Berlusconi non ci fa pagare le tasse. Qualche mesi più tardi anche il segretario di Rifondazione Franco Giordano e il ministro Paolo Ferrero (ex operaio Fiat), furono maltrattati ai cancelli di Mirafiori, Nina era stata facile profeta.
Ho capito, pensai, è la Questione Settentrionale. Allora lasciai il Profondo Nord e mi tuffai nel Profondo Sud, in una Taranto alla vigilia del voto assediata dal malessere sociale, il ponte mobile occupato per una settimana dai precari delle pulizie e dei servizi che rischiavano di perdere le quattro ore di lavoro quotidiane con cui sopravvivevano. Al segretario della Fiom chiesi per chi votavano gli operai dell’Ilva, uno dei più grandi impianti siderurgici d’Europa, 13 mila dipendenti diretti più 4 mila nell’indotto: per il candidato ufficiale imposto dal centrosinistra oppure per quello sostenuto da Sinistra democratica, Prc, Pdci, Verdi? Votano per Cito, mi rispose, per quel populismo meridionale che ha molto in comune con il leghismo settentrionale. Al ballottaggio andarono il candidato di sinistra (quella vera) e Cito junior. E adesso chi sceglieranno gli operai dell’Ilva, ancora Cito? No, voteranno Stefàno, mi rispose il compagno della Fiom, e sai perché? Perché è un pediatra che cura gratis i figli dei poveracci.
Cominciavo a capire qualcosa, non mi restava che tastare il polso operaio nel cuore rosso d’Italia. In Toscana qualche residuale insediamento della sinistra si trova ancora, ci sono per fortuna le Case del popolo e persino qualche sede dei partiti di matrice operaia, perché disperarsi? Perché al congresso di scioglimento dei Ds fiorentini, al settore industria che comprende tutte le sezioni e le cellule di fabbrica, dalla Galileo alla Nuova Pignone a una miriade di aziende, hanno partecipato 14 militanti, 10 tra pensionati e funzionari sindacali e 4 (quattro) operai. Intervistai il ministro Fabio Mussi, toscano verace, che mi raccontò la lettera speditagli da un vecchio operaio, delegato alle acciaierie di Piombino, che scriveva sconfortato: sono stato sempre con voi ma adesso sono stufo. Vi occupate solo di negri, finocchi e drogati, non vi seguo più.
Così ho ricomposto l’Italia, da Nord a Sud passando per il Centro. Ho capito che il problema non è geografico ma politico. Il problema sta nel fatto che la sinistra ha cancellato, vuoi ideologicamente vuoi fattualmente, le questioni del lavoro. Gli operai, i lavoratori dipendenti, non ci sono più, si raccontano da decenni. I riferimenti sociali sono altri, vivono al centro dello schieramento sociale e politico e lì bisogna guardare. Con partiti leggeri, meglio ancora se comitati elettorali. A metà strada tra capitale e lavoro, equidistanza o meglio equivicinanza perché il capitalismo è l’unico modo possibile per far girare il mondo. Chi a sinistra non lo pensa è diviso, prigioniero di se stesso e delle alleanze politiche. Lo spauracchio Berlusconi è come un fantasma che ci gira sulla testa, è l’autobiografia del paese. Il centrosinistra ha vinto per il rotto della cuffia, mi dice il ministro Ferrero, ma la nostra gente si sente sconfitta. Vogliamo ripartire da qui? Vogliamo ripartire dal nodo del lavoro, e dalla costruzione di un’alternativa al modello sociale trionfante del capitalismo? Non c’è tempo da perdere: nella solitudine in cui è stato lasciato, l’operaio potrebbe diventare il becchino della sinistra, rovesciando le promesse di Marx. Ossessionato dalle ombre di negri, finocchi e drogati. Combattente della guerra tra i poveri.

1 Commento a “Fuga dalla sinistra”

  1. celeste murgia scrive:

    per me, lettore di Liberazione, Carta, Nigrizia e tuttora militante di Rifondazione non stupisce l’articolo di Loris, tuttavia mentre scorrevo la lettura mi son sentito preso per i cappelli a forza e in volo per l’Italia costretto a strisciare il naso negli anfratti maleodoranti e lacerati dalla sofferenza. E’ da lì che si ricomincia, e da quei luoghi e da quella umanità che si dovrebbe pensare la politica, la democrazia, l’etica e soprattutto la certezza del diritto:per esempio, per De Gennaro e Manganelli, aspettiamo da tutti i ministri e i parlamentari del centrosinistra e ancor di più della sinistra radicale un No netto, plateale ed afficace che renda giustizia a chi è stato vittima dell’imboscata di Genova.

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