I muri

16 Novembre 2014
muro in sasso
Marco Ligas

Nelle ultime settimane in tanti hanno ricordato la caduta del muro di Berlino promuovendo diverse iniziative: richiamare alla memoria quella vicenda merita la massima condivisione. Per troppo tempo la separazione delle due Germanie è stata vissuta come un’imposizione innaturale anche se, non dimentichiamolo, conseguente al tentativo del regime nazista di trasformare l’Europa in un luogo di guerra permanente e di sterminio dei diversi.
Peccato che questa ricorrenza venga vissuta con retorica, spesso in modo strumentale: all’esultanza per il crollo del socialismo non si affianca la consapevolezza che il capitalismo naviga in acque molto agitate attraversando la crisi più turbolenta degli ultimi cento anni.
In realtà chi festeggia sottovaluta, o non ha interesse a prenderne atto, che da quando è caduto quello di Berlino, di muri ne sono stati eretti altri, sia materiali e perciò visibili, sia altri meno percettibili ma altrettanto insidiosi.
Ho fatto cenno a questo argomento per parlare di un altro muro, più circoscritto ma al tempo stesso pericoloso.
Riguarda l’isola dove viviamo.
Attorno ad essa, ai suoi 1800 km di costa, esiste un confine stratificato, a falde, che assume uno spessore sempre più consistente: quello più esterno, creato da chi esercita i poteri forti, è certamente più solido e riesce a contenere le spinte che provengono dall’interno. È un potere non solo efficiente a causa delle sue capacità di penetrazione ma anche infido perché cerca alleanze nello strato più interno nel tentativo di minare e indebolire le difese e le opportunità di riscatto delle popolazioni che vivono nell’isola. Dispone di strumenti di accesso che si crea arbitrariamente senza scrupoli, senza titubanze e purtroppo senza le resistenze necessarie.
Che si approvi il fiscal compact o la spending review, i denari pubblici diventano occasione di speculazione di chi controlla l’economia e la finanza; i sardi, quelli che subiscono lo sfruttamento, diventano protagonisti soltanto quando devono pagare il conto di chi ha promosso le attività industriali più nefaste. Non ricevono sostegni adeguati neppure coloro che vorrebbero vivere nell’isola, a loro viene negata persino la possibilità di acquisire una formazione professionale funzionale alla ricerca di nuovi lavori o di attività produttive sorrette dalle nuove tecnologie. Non a caso la disoccupazione cresce a dismisura e la Sardegna si trova perennemente negli ultimi posti di tutte le graduatorie che periodicamente vengono elaborate da chi fa ricerca e segnala il grado di benessere(!) dei cittadini. In compenso, fra chi amministra l’isola, c’è qualcuno disponibile nella giunta di sinistra(?) a sostenere le scuole private.
Lo strato del muro più interno, quello che dovrebbe proteggere dagli assalti dei soliti predatori, è malandato, presenta crepe e buchi, non solo non riesce a far breccia su quello esterno ma rischia di essere demolito dalle forze esterne che premono con insistenza nel tentativo di conservare i privilegi acquisiti.
Per abbattere le barriere (i muri) che impediscono la crescita dell’isola sarebbe necessaria una sollevazione culturale, una presa di coscienza dei sardi, soprattutto di quelli che subiscono perennemente lo sfruttamento e l’emarginazione. Utili la difesa dell’identità e la rivendicazione della tutela della lingua sarda, ma non sufficienti.
Noi diciamo spesso, e lo ripeteremo continuamente sino a quando sarà necessario, che il riscatto di chi subisce l’emarginazione può avvenire soprattutto attraverso la diffusione e la crescita di una cultura multietnica, perciò aperta alle nuove conoscenze che si diffondono nel pianeta. Questo processo è la condizione indispensabile perché si affermi la democrazia partecipata. Al di fuori di questo processo altri muri verranno edificati e saranno sempre funzionali al mantenimento delle disuguaglianze.

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