I razzisti, i negazionisti e gli struzzi

1 Novembre 2010

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Alfonso Stiglitz

Chi si dirige verso Ortacesus potrà ammirare a bordo strada degli splendidi uccelli, gli struzzi, eleganti, dallo sguardo ammaliatore, anche se un po’ spaesati da un ambiente non loro e, probabilmente, consapevoli della sorte alla quale andranno incontro. A questi animali viene addebitata una abitudine, quella di nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere, che invece è puramente ed esclusivamente nostra, inteso come umani.
Il caso del razzismo, qui da noi, è un esempio classico dell’atteggiamento che viene addebitato agli struzzi, proprio di una politica incerta tra la minimizzazione, ovvero rimozione, e l’intervento drastico, muscolare e, sostanzialmente, inefficace più delle grida manzoniane.
Emblematico è il caso dei cori razzisti allo stadio di Cagliari, durante la partita di domenica 18 ottobre, non nuovi ma che per la prima volta hanno portato alla presa di posizione di un arbitro che ha minacciato la sospensione della gara. Quello su cui voglio riflettere non è la decisione, corretta, dell’arbitro (sospensione, spiegazione pubblica tramite speaker, ripresa del gioco) quanto le reazioni di persone che sicuramente sono aliene dal razzismo; ad esempio Gigi Riva che dichiara, con intenti lodevoli, che “i sardi non sono razzisti”. Affermazione lapalissiana, certamente i sardi non sono razzisti, nessun popolo lo è; il problema è che tra la tifoseria del Cagliari ci sono dei razzisti e almeno la maggior parte, se non la totalità, di questi sono sardi; ma questo non rende i sardi razzisti. In altre parole le basi del pensiero razzista si insinuano non solo nella mente di un gruppo di sciagurati tifosi, ma anche, in modo inconsapevole e paradossale, in chi vuole negare l’esistenza del razzismo: si individuano cioè delle categorie comportamentali che si intendono caratteristiche di un popolo, siano esse negative (scozzesi taccagni, tedeschi ariani, slavi feroci, zingari ladri) o positive (sardi accoglienti …..). E se il carattere è insito in un popolo, i sardi non sono razzisti, allora non può esserci alcun sardo razzista, quindi quei cori non esistono. È un atteggiamento che per molto, troppo, tempo abbiamo portato avanti in tutta l’Europa, trovandoci oggi a fare i conti con la crescita politica preoccupante di quei partiti e movimenti che si richiamano al razzismo, alla xenofobia e all’antisemitismo.
L’atteggiamento opposto è quello della repressione. Intendiamoci l’incitamento all’odio razziale è un reato e come tale deve essere punito, ma il problema diventa più complesso quando ci troviamo davanti ad analisi storiche che senza istigare direttamente creano le condizioni culturali, dando una parvenza di scientificità alle tesi razziste. Mi riferisco al caso degli storici negazionisti portato alla ribalta in questi giorni dalla richiesta di Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità ebraica di Roma, di introdurre il reato di negazionismo, presente in altri paesi europei. Una richiesta che ha trovato il plauso, un po’ peloso, dei politici e la contarietà degli storici, soprattutto di quelli più attenti allo studio di questi fenomeni. Dice giustamente Fabio Levi, dell’Università di Torino, che questa legge sarebbe un modo per mettersi in pace con la coscienza, sollevarci dalle responsabilità e, soprattutto, come completa Giovanni De Luna della stessa Università, favorirebbe l’oblio.
Temo che l’impedimento sic et simpliciter della ricerca storica avrebbe lo stesso effetto pratico dell’affermazione consolatoria “i sardi non sono razzisti”, finendo quantomeno per deificare quegli storici razzisti. La risposta mancante, per la quale non vedo grandi movimenti di opinione, sta nell’assenza disarmante di una costante educazione nelle scuole, nella quale si forniscano le analisi e gli strumenti storici sul fenomeno del razzismo. Se non fosse per le benemerite celebrazioni della “giornata della memoria”, criticate da tanti benaltristi, oggi delle leggi razziali e delle loro radici in Italia e in Sardegna non sapremo niente. Più che repressione direi informazione.
Da qui nasce il terzo esempio, quello dello struzzo e di come, anche in Sardegna, l’occultamento volontario dei dati e la colpevole disattenzione abbia come risultato l’ignoranza. Mi riferisco al caso dell’Enciclopedia della Sardegna, a cura di Francesco Floris, oggi leggibile agevolmente nel web grazie al sito della Digital Library della Regione, opera in più volumi distribuita dalla Nuova Sardegna, un quotidiano certamente democratico, rara avis nel panorama regionale. Proseguendo la mia ricerca sui “Sardi ariani” mi sono imbattuto nella voce “Lino Businco” (vol. 2, p. 150), che recita testualmente e incredibilmente: “nel secondo dopoguerra fu ingiustamente accusato di razzismo” e, come a dimostrazione di ciò, viene riportata anche una breve bibliografia del personaggio, accuratamente epurata dei titoli che possano avvicinarlo al pensiero razzista. La scheda è anonima, ma penso sia scandaloso che possa aver trovato posto nella “Edizione speciale e aggiornata per La Nuova Sardegna”, datata 2007.
Ricordiamo brevemente i meriti razzisti del personaggio. Lino Businco è stato uno degli estensori del Manifesto della Razza, dal 1938 fu vice direttore dell’Ufficio studi sulla razza del Ministero della Cultura popolare e in tale veste nello stesso anno visitò il campo di concentramento di Sachsenhausen al fine di conoscerne l’organizzazione. Tra i suoi testi possiamo ricordarne uno fra tutti, la Sardegna ariana, pubblicato nel 1938 nella rivista “La Difesa della Razza”, del cui comitato di redazione faceva parte. Nel secondo dopoguerra Lino Businco non fu né giustamente né ingiustamente accusato di razzismo, ma addirittura venne insignito dell’onorificenza di “commendatore dell’ordine al merito della Repubblica”.
Ho riportato questo esempio per mostrare come la rimozione sia profondamente attiva ancora oggi e come l’assenza di informazione finisca per generare l’ignoranza, origine di ogni razzismo. È troppo chiedere alla Nuova Sardegna un atto di informazione aggiuntiva a quella Enciclopedia? I tanti che subirono le persecuzioni a seguito della famigerata attività razzista di gente come Businco ne avrebbero diritto.
In fin dei conti, tornando sulla strada di Ortacesus, potremo renderci conto che gli struzzi, intesi come uccelli, non tengono la testa nascosta sottoterra, ma ben in alto e con lo sguardo intelligente spaziano su un orizzonte molto ampio, più del nostro. Che ci stiano suggerendo qualcosa?

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