Il “ritorno” del nucleare in Italia

16 Gennaio 2009

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Stefano Deliperi

Il Governo Berlusconi insiste per il “ritorno” del nucleare in Italia. Sta per riportare l’Italia fra le nazioni che utilizzano l’energia nucleare fra le fonti di produzione energetica.  Senza “se” e senza “ma”.  Il disegno di legge n. 1195 (“Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”), attualmente in discussione al Senato della Repubblica, dà il “via libera” alle procedure per la localizzazione e realizzazione delle nuove centrali nucleari nel nostro Paese.    Non è proprio una sorpresa, se ne parlava da tempo. L’Italia ha già utilizzato l’energia nucleare, fra il 1960 ed il 1980, con risultati positivi scarsi (la percentuale di energia prodotta si aggirava sul 2 % del fabbisogno energetico) e problemi insoluti enormi, come quelli della sicurezza e delle scorie.  E’ un penoso, pericoloso e costoso ritorno al passato. Per il solo disastro nucleare di Chernobyl sono state stimate oltre 500 mila vittime dirette ed indirette (The Guardian, 2006).  Al contrario di quanto sostenuto dal Ministro per le attività produttive Claudio Scaiola, sono diversi i Paesi che hanno rinunciato all’energia nucleare proprio per la mancata soluzione di questi gravi problemi: l’Austria (1978), la Svezia (1980), l’Irlanda, la Danimarca, la Grecia, la Norvegia, il Belgio, la Germania.  Nemmeno appaiono convenienti i pesanti costi di investimento per la realizzazione degli impianti e per le necessarie – ma non risolutive – misure di sicurezza e di gestione e smaltimento delle scorie.  Nel 1987, a forte maggioranza (fra il 71,90 % e l’80,60 % dei votanti), gli elettori italiani con tre referendum decisero per l’uscita dell’Italia dal gruppo delle Nazioni che producevano energia elettrica anche con il nucleare.   Nel 2003 in Sardegna ci fu una vera e propria rivolta popolare contro l’ipotesi governativa di realizzarvi il deposito unico delle scorie nucleari nazionali.   Lo stesso avvenne qualche mese dopo a Scanzano, in Basilicata.  Una soluzione non è stata ancora trovata, ma il Governo Berlusconi vuole imbarcarci tutti in questa nuova avventura nucleare.  Avventura che sarà il più possibile coperta dal segreto di Stato. Naturalmente senza che gli italiani abbiano chiesto nulla né che siano stati consultati per scelte così rilevanti.   Anzi, l’unico pronunciamento degli elettori (1987) è stato fortemente contrario, i recenti sondaggi (Ipsos – Public affairs, 2007) anche, visto che gli italiani chiedono la promozione delle energie rinnovabili.  Ricordiamo qualche elemento di estrema importanza:
– l’energia nucleare non è abbondante: essa serve solo a produrre energia elettrica e l’energia elettrica rappresenta nel mondo meno di un terzo del bilancio energetico.  Alla produzione di energia elettrica, l’energia nucleare fornisce un contributo pari al 15 %, a fronte del 66 % rappresentato dai combustibili fossili come petrolio e carbone. A questo ritmo di consumo, c’è uranio fissile – ci dice il rapporto congiunto del 2008 dell’A.I.E.A. e della N.E.A., Agenzia dell’O.C.S.E. – per 50-70 anni, a seconda che si tratti di risorse “ragionevolmente assicurate” o di “risorse stimate”. Se dunque si volesse almeno dimezzare la massiccia incidenza dei combustibili fossili, bisognerebbe almeno triplicare in tempi rapidi la percentuale nucleare: ci scanneremmo per l’uranio come ci scanniamo per il petrolio che è all’origine di tanti conflitti;
– l’energia nucleare non è pulita: dosi comunque piccole di radiazioni, sommandosi al fondo naturale di radioattività, possono causare eventi sanitari gravi (tumori, leucemie, effetti sulle generazioni future) ai lavoratori e alle popolazioni, nel funzionamento “normale” degli impianti e, ovviamente, nel caso di incidenti. Resta irrisolto il problema dei rifiuti radioattivi, materia tuttora di ricerca, dopo il fallimento della prospettiva di utilizzare strutture saline. E quanto ai cambiamenti climatici, anche un raddoppio – invero improbabile – dei reattori oggi esistenti nel mondo darebbe un contributo insignificante alla riduzione della concentrazione di anidride carbonica;
– l’energia nucleare non è a basso costo: la complessità del ciclo del combustibile, i dispositivi sempre più impegnativi per mitigare l’impatto sanitario degli impianti sono alla base della lievitazione del costo dell’energia prodotta e della situazione di stallo nei paesi più avanzati, che pure avevano perseguito con decisione nel passato questa produzione di energia anche per l’intreccio essenziale con la produzione degli armamenti nucleari. Oggi, mentre il costo del kWh nucleare continua a crescere, i costi delle fonti rinnovabili diminuiscono ogni anno e la loro diffusione cresce in modo esponenziale. I costi di alcune fonti energetiche rinnovabili sono già oggi del tutto paragonabili alle altre, nucleare in testa.

1 Commento a “Il “ritorno” del nucleare in Italia”

  1. Marcello Madau scrive:

    Le ultime notizie degli accordi che sarebbero intercorsi tra Italia e Francia per la costruzione di quattro centrali nucleari nel nostro paese rendono ancora più delicata la situazione di prospettiva ambientale e anche di emergenza democratica (gli italiani dissero no al nucleare con un referendum). C’è persino un nuovo negazionismo, che mette in discussione l’esistenza di veri danni alla salute causati dal drammatico incidente nucleare (non l’unico nel mondo) di Chernobyl. Non conta neppure che un scienziato come Rubbia dica che non esistono centrali nucleari all’uranio sicure e che il problema di smaltimento delle scorie è irrisolto.
    Credo che sia necessaria una mobilitazione, a partire naturalmente dalla Sardegna. Torneremo certamente sul tema.

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