Il dramma della generazione dei “senza lavoro”

16 Luglio 2019
[Amedeo Spagnuolo]

Ho attraversato anch’io i territori gelidi e cupi della disoccupazione, nel mio caso aggravata da una vera e propria “declassazione” poiché subito dopo l’università ebbi la fortuna di cominciare a lavorare a Milano nel mondo della scuola per tre anni per poi abbandonarla temporaneamente dopo aver superato una severa selezione che mi avrebbe fatto approdare in una delle più importanti aziende italiane come uno dei responsabili della gestione delle risorse umane. Non ci misi molto a capire che quel lavoro non era adatto a me, troppo legato a logiche aziendaliste che poco avevano a che fare con la valorizzazione delle cosiddette “risorse umane”, soprattutto per uno come me che a 25 anni aveva già sperimentato quanto fosse bello e gratificante insegnare in maniera libera e autonoma. Declassazione dicevo, sì poiché resomi conto dell’errore compiuto nel momento in cui abbandonai il lavoro nella scuola pubblica per un lavoro sicuramente meglio remunerato ma povero di gratificazioni umane e per molti aspetti frustrante e oppressivo, in preda a un profondo disagio esistenziale, decisi di licenziarmi e quindi retrocedere dalla posizione di manager d’azienda, infelice ma lautamente retribuito, a disoccupato. Da quel momento in poi per me cominciarono mesi molto duri dal punto di vista della mia condizione esistenziale, dal mio confortevole appartamentino di Corso Buenos Aires a Milano tornai a vivere nella stanzetta adolescenziale che i miei genitori, così come fanno quasi tutti i genitori, avevano lasciata intatta così come l’avevo lasciata io anni prima quando, felice e pieno di speranze per il mio futuro, l’avevo abbandonata per recarmi a lavorare a Milano. Bisogna averla vissuta quella condizione per riuscire a capirla veramente, mi ritrovavo a trent’anni di nuovo a vivere con i miei che ovviamente facevano di tutto per non farmi pesare ciò, al contrario di quello che facevo io che, a causa della mia frustrazione, stupidamente facevo di tutto per far pesare a loro la mia presenza in quella casa. Le cose più stupide di cui ancora oggi, dopo tanti anni e una vita che, fino a questo punto, in fin dei conti posso considerare soddisfacente, mi vergogno profondamente sono le innumerevoli accuse e offese che rivolgevo soprattutto a mio padre che aveva “preteso” che io studiassi invece di cercarmi, a 16 anni, subito un lavoro. Ricordo perfettamente il volto addolorato dei miei genitori che ascoltavano le mie ingiurie e le subivano in silenzio senza proferire parola. Nella loro saggezza, aspettavano che le mie sfuriate passassero consapevoli che qualsiasi parola detta in quel momento non avrebbe fatto che peggiorare la situazione.
La condizione esistenziale del disoccupato è terribile sempre, ma quella del giovane disoccupato forse lo è ancora di più perché per lui non esiste alcun paracadute sociale che in qualche modo possa alleviare la sua situazione. Il giovane che ha imparato faticosamente un mestiere nelle scuole professionali, che ha studiato con sacrificio negli istituti d’istruzione superiore, quello che si è laureato a pieni voti ed è andato a Madrid a fare un dottorato di ricerca, molto spesso, nel nostro paese, si ritrova di fronte al nulla esistenziale e la sua anima viene lentamente, giorno dopo giorno, avvolta da una morsa di ghiaccio per cui ci si alza la mattina e si cerca di dormire la notte con la stessa medesima sensazione, un viscido groppo in gola che toglie qualsiasi entusiasmo per la vita.
Io sono stato fortunato due volte, la prima volta perché alla fine del 1995, “migrando” in Sardegna, sono riuscito a riacciuffare il lavoro che avevo tradito e che ho sempre amato e che ancora oggi mi dà tante soddisfazioni e la seconda volta perché negli anni ’90 le devastazioni neoliberiste e il tradimento della classe lavoratrice da parte di quello che poi diventerà l’ineffabile Partito Democratico, non avevano ancora creato i disastri di oggi.
Meno fortunato di me è stato Michele, un trentenne friulano suicidatosi perché stanco di una vita di stenti contraddistinta dall’infame condizione del precariato che si alterna a lunghi periodi di disoccupazione e che molti dei nostri illuminati politici attuali, ma non solo, ritengono essere l’unica formula possibile di lavoro poiché bisogna ormai dimenticare il lavoro a tempo indeterminato. Cito il caso di Michele che si è verificato oltre due anni fa perché creò nell’opinione pubblica molta impressione ed emozione la lettera con il quale spiegava il suo gesto e che si può tranquillamente considerare una sorta di testamento politico di condanna delle classi dirigenti italiane degli ultimi decenni che non hanno saputo e voluto affrontare questo dramma che colpisce i nostri giovani. Da allora, purtroppo, tanti altri giovani, in preda alla disperazione, hanno fatto la stessa scelta autodistruttiva. Per problemi di spazio non posso riportare tutto il testo scritto da Michele e me ne scuso, cercherò di sottolineare i passaggi più significativi: “Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte. Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità. Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia”.
Aggiungere altre parole sarebbe inutile e presuntuoso, qualcosa ancora però voglio dirla, soprattutto a coloro che continuano a gonfiare a dismisura il bottino di voti del partito più reazionario che abbiamo avuto in Italia a partire dal secondo dopoguerra. Non continuate a farvi irretire dalla narrazione demagogica di Salvini, vi ha convinti che il principale problema in Italia sono i migranti e lo ha fatto alimentando odio e paura. Seguendo le sue farneticazioni stiamo dimenticando i veri problemi del paese come quello della disoccupazione giovanile che produce in quella fascia d’età rabbia e disperazione che possono incanalarsi, come abbiamo visto, in terribili eventi autodistruttivi ma che possono anche tradursi in azioni disperate volte a distruggere un mondo in cui non ci si riconosce. State attenti dunque a non alimentare troppo l’odio e la paura, ad un certo punto potrebbe ritorcersi contro tutto e tutti, anche contro chi vorrebbe abbandonare in mare i disperati che fuggono dagli orrori della fame e della tirannia.

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