Il popolo come mito e come realtà sociale

3 Agosto 2021

[Lea Melandri]

La crisi delle istituzioni, la loro sempre più debole capacità di “rappresentare” gli interessi e le spinte al cambiamento di una maggioranza di cittadini, pur nella diversità delle loro condizioni sociali e ideali politici, sembra essere l’elemento inquietante di convergenza tra populismi di destra e di sinistra.

C’è chi agita il mito del popolo sovrano per scardinare la democrazia e chi, al contrario, spera di allargarne le maglie, facendo crescere le opportunità di partecipazione. La presa di distanza dalle istituzioni non è da oggi.

Che cominciassero a venire meno le ragioni storiche che le avevano fatte sembrare necessarie, e che stesse rapidamente cambiando la realtà sociale con il modificarsi dei confini tra privato e pubblico, la comparsa di forme autonome dell’agire politico, create dai movimenti fuori dalle organizzazioni partitiche e sindacali, si era già visto alla fine degli anni Sessanta.

A proposito del depotenziamento della polarità sinistra-destra, scriveva Elvio Fachinelli: “Propongo di esaminare la necessità tragica, in cui si è trovata finora gran parte della specie, di ricorrere a una serie di polarità in forte tensione, di dicotomie simboliche che, variando di sostanza e di figura, hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella storia. Basterà pensare alla dicotomia fedele/infedele, credente/non credente, razza eletta/razza reietta..”(E. Fachinelli, Il bambino dalle uova d’oro, Feltrinelli 1974).

Sono passati da allora alcuni decenni, ma le coppie oppositive, su cui si sono rette le civiltà finora conosciute non accennano a darsi per vinte, a partire da quella originaria che ha considerato il sesso femminile il complemento organico dell’unico umano perfetto: l’uomo.

Il legame tra società e Stato ha fatto da tempo il suo ingresso nella sfera pubblica e se ancora si vede solo il deserto su cui crescono fatalmente nuovi totalitarismi e inconsistenti governi democratici, è perché nessuno, tra i politici, gli intellettuali, gli opinionisti, sembra vederlo e volerne parlare.

Riferendosi a Nuit Debout e ai movimenti che si sono via via succeduti nel tempo, Lorène Lavocat su Reporterre-net il 6 aprile 2017 scriveva: “Il movimento non è fallito, ho visto fiorire collettivi e inziative, alcune commissioni nate in quella piazza (come quella di Educazione popolare) continuano a incontrarsi.”Si tratta di un movimento che si pone come “convergenza” di pratiche diverse “senza che si verifichi una fusione o unità”. 

David Graeber in un articolo comparso su “Effimera” 20 aprile 2017 scriveva a sua volta: “…spazi prefigurativi, zone di sperimentazione democratica (…) parte di una civilizzazione insorgente, planetaria per portata e ambizione, nata da una lunga convergenza di esperimenti simili realizzati in ogni parte del pianeta (…) con contributi essenziali del femminismo, dell’anarchismo, disobbedienza civile non violenta.”

I movimenti che raccolgono le esigenze radicali di ogni passaggio storico e tentano di darvi una risposta con azioni creative dal basso, sono la testimonianza viva, appassionata che “un altro mondo è possibile”. Ma sono anche la realtà sociale e politica che le istituzioni, dalla scuola ai partiti, sindacati, parlamenti, volutamente ignorano o reprimono con la violenza.

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