Indipendentes

16 Settembre 2011

Bandiera sarda vola sulla spiaggia

Natalino Piras

Il problema è arduo se si parla delle ultime uscite sull’indipendentismo sardo, tra carta stampata e web. Si rischia di essere voce a supporto di posizioni individuali che non condivido e di un coro o controcoro, neologismo eufemistico, che queste voci contestano. Potrei essere solidale con Fois quando ribatte forte contro chi vuole passare alle mani partendo dall’accusa nei suoi confronti di non essere un vero sardo. È che io sto, per costrizione e volontà, in un eremo.
C’è un nodo che vizia tutto: il potere dei media che sproporziona le parti a favore dello scrittore di successo. Non è una regola scritta ma comunque è ferrea: lui può dire “visibilmente” anche con diritto di replica sui media forti. Io no. Assisto da molto tempo ormai a uno scannamento dove se provi a intervenire pacato non si può. Paghi la moderazione. Però che lo voglia o no la gente come me, questo dibattito continua ad accadere.
Cos’è che non va nel dibattito? Proviamo a partire dalle conclusioni che sono proprio quelle che mancano. Non ci sono né progetto né progettualità. Manca un vero “Principe” machiavelliano inteso come idea guida. Dico di me che non sono principe, ho ascendenze popolari e mi considero “campatore”: sono sardo, sardo parlante, sardo scrivente. Sardu so: pure con vanto.
Ma non sono indipendentista alla maniera schematica che gli indipendentisti detentori del verbo vogliono imporre. Non mi piace sa limba sarda comuna che sa di plastica, di artefatto. Parlo bittese con i campidanesi e loro mi comprendono. I campidanesi mi parlano in casteddaio, settimese, maurreddino, oristanese, sarcidanese, ogliastrino e io li comprendo. Idem per gallurese, sassarese, catalano, pure genovese carlofortino, le varietà del logudorese. Forse è da questo scambio di autostima che dovrebbe partire un’idea nuova di indipendentismo. Invece dicono di “autoderminazione”e “federalismo”.
Ricordo qualche decennio fa. Una idea di “nazione sarda” prese a benvolere Bossi che benediva le sorgenti del Po.
Lo stesso Bossi che ancora oggi che più che la chiarezza del parlato utilizza il linguaggio dei segni: uno per tutti il dito medio. Che è un atto di violenza. La Lega sostiene il governo Berlusconi che io da sardo non indipendentista alla stregua che vogliono gli indipendentisti quotidianamente contesto.
Berlusconi è pure l’editore di diversi libri di scrittori sardi di successo che con gli indipendentisti si scontrano.
Dice il poeta Giuseppe Giusti messo da Lussu in una delle due epigrafi di “Marcia su Roma e dintorni”: “Fingi che quattro mi bastonin qui/e lì ci sien dugento a dir: ohibò!/senza spostarsi o muoversi di lì/e poi sappimi dir come starò/con quattro indiavolati a far di sì/con dugento citrulli a dir di no”.
Certo, se mettiamo a centro della questione l’intervento di Franciscu Sedda, “Indipendentisti senza paura”, pubblicato prima da “Sardegna 24” il 4 settembre e il giorno dopo nel blog “Sardegna Democratica”, non avrebbe senso l’animosità.
Sedda ribadisce la tesi di una cerca di indipendentismo non violento pure presente in “Pro s’Indipendentzia” di Bachisio Bandinu pubblicato l’anno sorso. Tesi condivisibile. Ma: come stanno le cose? Tutto un mondo di parole.
La vera presenza, pare di capire, sono appunto l’animosità, la rissa, la ripetizione di un teatro già visto. La vera presenza è una sarda subalternità che non prospetta vie d’uscita. Come, per usare di una reale metafora, i poeti di fuori che vengono qui a parlare dei poeti di dentro in cabudanne, settembre anticipato ad agosto per esigenze turistiche. Naturalmente, terribile avverbio, i poeti di dentro manco vengono chiamati. Tale il dibattito in corso sull’indipendentismo e i suoi oppositori.
A valenza più di fuori che scaturito da esigenze di dentro: se è vero che un’idea di indipendenza radica nel profondo di un’esigenza di autentica libertà. “Non solu pro sa entre”, “non solu per la famiglia-nassone”, “non solu pro sa cara”, per la faccia. Invece l’esposizione è più turistica che reale. Un copione risaputo di insulti e primodonnismo, arroganza a volte mascherata a volte esplicita. Chi urla accusa gli altri di urlare, un lessico che condivide “muretti a secco” e “autodeterminazione” come il pallone in una partita di calcio di categoria inferiore.
Uno si chiede: ma che interessi difendono gli uni e gli altri? Interessi d’accademia? Di partito? Di schieramento politico? Di lingua comune o lingua altra? Cosa serve alla causa dell’indipendentismo o alle sue contestazioni asseverare che la tale o il tale scrittori sardi che scrivono in italiano non fanno letteratura sarda ma italiana? Serve a rafforzare un’idea di insula e insularità dove a trarre maggior profitto è sempre il fuori, mai il dentro.
A proposito di Sardegna e di mare, per dire dell’empasse di certo dibattere, ho in mente un delfino spiaggiato, venuto a morire ferito, chi sa se da arpione o da bomba di pescatori di frodo, nel mare chiuso di San Giovanni di Sinis. Non erano le sue acque. Un’estate, cinquant’anni fa.
La nostra idea di indipendentismo mi torna come quel delfino senza scampo. Anche perché, a proposito di violenza-non violenza, Shakespeare fa dire a MacDuff nel “Macbeth” che “una ferita mortale si cura vendicandola”: in battaglia, non in un proseguimento di faide trasversali. Anche la guerra della non violenza, sostenibilissima, presuppone un indipendentismo che non sia agguato e muretti a secco. Per non dire dei fanatismi ad arte rinfocolati.
Ci sono certi indipendentisti che sui loro profili facebook dicono di parlare sardo, catalano, greco, francese, inglese e via dicendo. Non c’è l’italiano. Eppure questi profili insegnano lettere italiane a scuola. Che lo vogliano oppure no Sa Mundana Cummedia di Salvatore Poddighe non sarebbe potuta esistere così com’è, vera rivendicazione di diritti da parte di un popolo sfruttato, senza la Divina Commedia di Dante Alighieri. Se la letteratura ha una sua funzione nel dibattito ne consegue che un progetto intelligente di indipendenza necessita di comparazioni ed alleanze. Mica di demonizzazioni.
D’altro canto la risposta, diretta e implicita, negli scrittori di successo che si possono permettere arroganza e vittimismo sta nell’invenzione di una tradizione ad uso turistico. Il discrimine non sta nello scrivere in italiano o in sardo dei valori che ci sono nella letteratura (storica, di finzione, antropologica) dei sardi.
C’è una sardità rivendicata negli scrittori di successo che non gli si addice. Dovrebbero evitare di dire che sanno scrivere e parlare in sardo quando non ne sono capaci. Il discrimine sta nell’appropriazione ad uso di diversi io ipertrofici di quanto non hanno costruito loro, la rivendicazione di primogeniture che tali non sono, per il “giorno del giudizio” o per l’accabadora. Si può utilizzare il lavoro degli altri per divulgarlo, pure renderlo scrittura per turisti. Quanto non si può è passare sul corpo degli altri che si intendono nemici se tu non accondiscendi al modello che i media forti nazionali, a cui niente cale dell’indipendentismo, vogliono da te. Questo è un nodo gordiano. Se non lo si scioglie continua l’empasse.
Quando toccò ad Alessandro Magno farlo, il macedone usò la spada.
Dice la prima delle due epigrafi di “Marcia su Roma e dintorni”, questa volta presa da Machiavelli: “Tutti e profeti e armati vinsono e gli disarmati ruinorno”.

2 Commenti a “Indipendentes”

  1. Omar Onnis scrive:

    Sorvolo su alcuni chiari errori del pezzo di Natalino Piras, che attribuisco alla scarsa conoscenza dei soggetti individuali e collettivi chiamati in causa. Magari avremo modo di chiarire certi equivoci in altra sede. Vorrei però segnalare – proprio in relazione alla diatriba sulla questione linguistica e alle ricorrenti scomuniche reciproche delle diverse parrocchie – che in queste settimane come ProgReS – Progetu Repùbica stiamo pubblicando a capitoli un documento di politica linguistica che tenta di dare conto di tutti gli elementi della questione e di mettere insieme non solo una analisi esaustiva dell’esistente ma anche una proposta politica chiara e concreta per l’oggi e per il domani. Il documento ha già attirato molte attenzioni e se ne parla diffusamente, perciò mi sembra opportuno segnalarlo anche qui, non solo a Natalino Piras. I vari capitoli sono in fase di pubblicazione sul sito http://www.progeturepublica.net, dopo di che, a metà novembre, sarà presentato in pubblico nella sua completezza nel corso di un convegno apposito. Ne approfitto anche per invitare, oltre a Natalino Piras medesimo, tutta la redazione del manifestosardo.

  2. Natalino Piras scrive:

    Sono un clericus vagans. Nessuna parrocchia e nessun potere di scomunica da parte mia. Dei soggetti individuali e collettivi vedo e ascolto quanto i media e la conoscenza diretta fanno vedere e ascoltare. Quanto emerge, lo dicono anche tanti percorsi individuali dell’indipendentismo sardo, è una infinita voglia di protagonismo. Nessun male se questo protagonismo tendesse a un beneficio collettivo, a un’arte del buongoverno. Ma è considerevole la somma dei “ma” che fomano la nostra solitudine. Se usassi a tal proposito dell’arte del racconto, la galleria dei ritratti individuali e collettivi molto tenderebbe verso la “commedia umana”. Grazie della segnalazione e dell’invito.

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