L’informazione al potere

16 Ottobre 2009

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Radhouan Ben Amara

Sappiamo bene che l’informazione è un concetto problematico, non una soluzione. L’informazione è una materia prima, che la conoscenza deve padroneggiare e integrare, una conoscenza costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero, il quale a sua volta, è oggi più che mai il capitale più prezioso per l’individuo e la società. Ma se l’informazione è calpestata, privatizzata ed egemonizzata, ciò conduce all’indebolimento del senso della responsabilità, e anche l’indebolimento della solidarietà, della democrazia e del welfare nella sua dimensione umanistica. Il diritto ad un’informazione imparziale, obiettiva e critica è l’asse portante di ogni progredire culturale, politico e sociale. L’imparzialità dell’informazione è un impegno nobilmente civile che consentirebbe il pieno impegno dell’intelligenza per poter rispondere alle sfide del nostro tempo. Bisogna dunque raccogliere soprattutto quell’aspetto paradigmatico dell’informazione per regolare le nostre attitudini e organizzare la conoscenza. Bisogna anche sempre partire da una qualche conoscenza prima di poter estrarre nuova informazione. Quanto più conosciamo la “scienza” come un’attività umana, tanto più l’informazione diventa il suo concetto chiave. George Orwell diceva che “la vera stampa è dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire”. “La libertà? Ghe pensi me!” diceva Mr.B., l’anomalo premier eletto da una gran parte del popolo italiano. Questo governo, o meglio, questo comitato d’affari, carta-igenizza il concetto stesso della libertà di stampa e d’informazione. Questa concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione di massa nelle mani di un’unica persona, trasforma la libertà d’informare in una frode abissale. Il potere mediatico al servizio del progetto egemonista di Mr. B., distorce la realtà, manipola la storia e promuove la rassegnazione di fronte all’attuale stato delle cose, presentandolo come l’unico possibile. Così, l’Italia è sempre più sottoposta alla cura dimagrante del gran manager, che stringe in un abbraccio mortale ogni respiro democratico, ogni evento, ogni momento di libertà. L’Italia è al quarantesimo posto al mondo per quanto riguarda la libertà d’informazione; addirittura, dietro il Mozambico: concentrazione dei media, conflitto d’interesse e un forte controllo politico sulla televisione pubblica. Nella stampa berlusconiana, l’informazione – che ha una dimensione sociale piuttosto che individuale – passa soprattutto attraverso un linguaggio occultato, manipolatore, dissimulato e abilmente ingannevole. E’ la vera pseudo-informazione; pseudo, dal greco, significa inganno e menzogne. Le esperienze della menzogna, dell’inganno, e dell’ingannarsi si iscrivono tutte sotto la categoria dello pseudlogico. La falsità, l’astuzia o l’errore, la frode, sono strumenti che il Premier usa con abilità terrificante. Ed è sulla comunicazione e la filtrazione delle notizie che si gioca tutto: una vera industria culturale. L’intento di Mr. B. è di fare dell’informazione una cultura industriale, che si manifesta come un meccanismo di persuasione psichica, un gesto pavloviano sempre a favore del premier come manager, soggetto e oggetto su cui le strategie di mercato tendono a fare pubblicità. Così Mr. B. diventa la personificazione del grande schermo, il gran Fratello, lo status-symbol da imitare, venerare, imbalsamare, e custodire, aldilà del bene e del male; Berlusca è sempre il vero happy-ending: padrone unico, politico unico, pensiero, maestro unico. E’ sempre convinto che ci si può ingannare, anche dicendo il falso senza cercare di mentire. L’informazione deve produrre il senso e il valore, permettere che essi trovino posto e che questo posto non sia quello di un significato compiuto, realizzato e reificato che abbia la pretesa di essere una figura compiuta dal politico. L’informazione deve insegnarci il senso della politica democratica che deve soprattutto aprire lo spazio per identità molteplici senza dover configurarsi. L’informazione, come la democrazia, non è per essenza figurabile; essa depone l’assunto della figurazione di una verità del comune. Se il popolo è sovrano, deve farsi carico di ciò che Bataillè intende quando scrive che la sovranità non è niente. Essa non si depone in nessuna persona, non si delinea in nessun contorno, non si erige in nessuna stele, essa è semplicemente il supremo.

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