La campagna per il sì e la logica del nemico interno

1 Giugno 2016
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Angelo d’Orsi

L’ultima bordata del renzismo referendario è l’intervista a la Repubblica (29 maggio) a Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali (chissà perché), ex Margherita, già candidato trombato alla segreteria PD, già bersaniano, rapidamente convertito al nuovo leader. Con sicurezza che assomiglia all’arroganza del capo, ormai cifra comunicativa della nuova classe dirigente del PD, il ministro ha detto la sua, ossia si è attenuto agli ordini di scuderia, non senza un tocco particolare.

Non ha ripetuto la cronologia farlocca proposta per ben due volte dall’ “autorevole” collega Boschi (secondo la quale la “riforma” costituzionale è attesa dal Paese da 70 anni…, ossia da prima che la Carta Costituzionale fosse discussa e approvata!), ma non ha rinunciato a dare i numeri: ha esordito con “una riforma attesa da 30 anni”; e ha concluso, però, con un bizzarro “per la riforma costituzionale si vota ogni 40 anni”.

Il punto centrale del discorso di Franceschini è l’attacco alla minoranza interna al suo partito, che, pur nel suo incerto balbettio, sta provando a resistere all’assedio, esprimendo contrarietà alla riforma, o tentando di porre condizioni, e discutibili baratti (magari voteremo sì alla “riforma”, se ci concedi le preferenze sull’Italicum: una penosa concezione della politica).

Ma il capo ordina e i suoi sottoposti si schierano come altrettanti mastini, pronti ad azzannare chiunque osi allontanarsi dalla linea decisa dall’uomo che sembra tenerli tutti in pugno, l’individuo che fa e disfa, il leader che se ne frega di parti sociali, se si tratta dei sindacati, che finge di far la voce grossa con l’UE, ma che a sua volta è prigioniero di decisioni prese altrove, e di cui finge di essere il solo arbitro, mentre è a sua volta un mero esecutore. E altrove da tempo si era deciso che questa nostra Carta Costituzionale andava emendata, che era troppo democratica, addirittura “sovietica” (Berlusconi dixit).

E la macchina schiacciasassi Matteo Renzi procede. La propaganda recita, invariabilmente, che da tanto tempo si attendeva questa riforma (proprio questa?!): e chi si oppone, o chi, semplicemente, chiede quanto meno un coinvolgimento più largo di esperti, tenendo CONTO che la quasi totalità dei costituzionalisti ha mosso critiche severissime al testo governativo, viene bollato con parole infamanti, come non esita a fare il ministro Franceschini; in sintesi, il No al referendum confermativo d’autunno, viene da lui presentato come “un vero atto contro il Paese”.

Niente meno: dunque, c’è un uomo saggio e lungimirante, che ha a cuore le sorti d’Italia, coadiuvato da alcuni sottoposti, e nella nuova Costituzione intende coronare non solo il proprio progetto politico, ma dare esito a un lavorio di antica data, nel quale “professori”, “commentatori”, e “i mondi intellettuali della sinistra” (!?), avrebbero disegnato la riforma che oggi finalmente, per l’abilità del presidente-segretario (davanti a cui risalta l’incapacità di tutti coloro che lo hanno preceduto…), è giunta a compimento. Dunque, non soltanto siamo davanti a un risultato utile all’Italia, ma un risultato frutto di un “sogno” tipicamente di sinistra. Addirittura, Franceschini si spinge a dichiarare che questa riforma, nel combinato disposto con la nuova legge elettorale (l’Italicum, appunto), corrisponde alla “nostra lista dei desideri. Un sogno”.

A me, invece, pare un incubo, e prima ancora che esso si materializzi (se dovessero andare all’esito finale queste due nefandezze), l’incubo emerge già nella propaganda: l’inclita signora Boschi, incurante del ridicolo con i 70 anni di cui sopra, e certa della impunità che ogni suo fraseggio le garantisce, se n’è uscita con la spudorata dichiarazione sui “veri partigiani”, che sosterrebbero la “sua” riforma; quindi i contrari, sarebbero i partigiani “falsi”; del premier meglio tacere, parla già tanto lui, ogni giorno a reti unificate, tra radio e tv, tra emittenti pubbliche e private, con una occupazione incredibile degli spazi, amplificati, zelantemente, dalla quasi totalità degli organi di “informazione”; poi ci sono gli screditati per definizione, come la grottesca pattuglia chiusa nel ridotto della fu Unità, trasformata in un miserevole “foglio d’ordini” di staraciana memoria (da Achille Starace, il feroce quanto ridicolo ultradecennale segretario del PNF); e via seguitando.

Tutti pronti, appena il capo alza il sopracciglio, ad azzannare i dissenzienti: basti ricordare le oscene parole vergate dall’osceno Fabrizio Rondolino proprio sull’Unità, contro un uomo integerrimo, una figura di specchiata moralità politica e umana, quale Carlo Smuraglia, presidente Anpi.

Siamo ben oltre la stucchevole polemica sui “gufi”: riaffiora la vecchia, inquietante campagna contro il “nemico interno”. Tante volte nella storia d’Italia (ma non soltanto, a dire il vero), l’abbiamo sentita, questa campagna: dalla Prima guerra mondiale in avanti. Essa si affaccia nelle situazioni di acuta crisi politica, specie nei conflitti militari: e quella scatenata da Matteo Renzi è una guerra. O con me; o contro di me; il clima si surriscalda, e il capo, anche nel tentativo di oscurare le imminenti elezioni comunali ove teme di ottenere un risultato scadente, ha cominciato da tempo la sua campagna elettorale referendaria, in cui si mette in gioco (e psittacisticamente la sua fedelissima Maria Elena Boschi ha fatto lo stesso), minacciando sfracelli in caso di sconfitta.

Se ne andrà, e ci lascerà in brache di tela, insomma. Ma affiancando bastone a carota, annuncia nientedimeno che diecimila comitati (stile comitati civici degli anni Cinquanta), e non so quanti testimoni che vadano casa per casa, portone per portone, uscio per uscio, a persuaderci di quanto sia bella e utile la riforma, e quanto denaro risparmieremo noi tutti, e come finalmente i governi potranno governare, senza “lacci e lacciuoli” (quelli lamentati da Craxi e da Berlusconi), e quanta velocità si immetterà nella “macchina statale”, e quale efficienza moderna il Paese raggiungerà “allineandosi alle moderne democrazie” (quelle senza democrazia, appunto), e come tutto ciò sarà foriero di progresso sociale, economico, ecc.

E all’uopo sono state stampate, non saprei con quali fondi, migliaia e migliaia di copie di un vademecum per gli zelatori della “nuova” Costituzione: Le ragioni di una riforma costituzionale. Una guida, di cui sarebbe autore tale Carlo Fusaro, sconosciuto docente di Diritto pubblico (e dove, se non a Firenze?), che gli ingaggiati dovranno si suppone imparare e memoria, a guisa di venditori di enciclopedie, portando la parola del capo nelle famiglie italiane (vedi Il Fatto Quotidiano, 28 maggio).

Scemenze, banalità, inesattezze, e soprattutto menzogne. Ecco la merce avariata, infiocchettata per bene, che cercheranno di spacciare come la nuova panacea. E questo va di pari passo con l’aggressione (non solo a parole, come si può constatare dal nuovo “attivismo” di piazza delle forze di polizia) a chi si oppone, a chi invita a ragionare su dati di fatto, a chi senza alzare la voce, va, come si dice, a “guardare le carte”.

E scopre e afferma, con convinzione, che questa “riforma”, se approvata, unitamente alla legge elettorale, ove non sconfessata dalla Suprema Corte, recheranno un colpo finale non semplicemente a un documento, pure “sacro” come la Costituzione Repubblicana, ma alla stessa democrazia: che, al di là degli aspetti istituzionali e giuridici, è un idem sentire il cui significato più importante si coglie precisamente quando essa viene meno. È questo che si vuole? Lor signori, sicuramente mirano a questo, a toglierci spazi ampi di democrazia; esserne coscienti è il primo passo per organizzare la controffensiva. Che deve esser lanciata ora, senza frapporre altri indugi.

Articolo pubblicato da Micromega e ripreso da Il manifesto di Bologna

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