La difesa dei privilegi e le barriere inutili

1 Luglio 2008

Ma. Li.

Manifestano sdegno nei confronti delle leggi razziali approvate alla fine degli anni trenta; in realtà non si sarebbero comportati diversamente molti governanti dell’Unione Europea che hanno appena approvato le direttive sui rimpatri degli immigrati. Non usano i termini appropriati per definire le decisioni sciagurate che hanno assunto forse perché si vergognano, perciò parlano di regolazione dei flussi migratori come se si riferissero ad attività di import/export di merci. Con una larga maggioranza che la dice lunga su come oggi l’Europa interpreti i diritti civili, questi governanti hanno deciso la detenzione amministrativa dei clandestini nei Cpt e la loro espulsione verso i paesi d’origine, portando a 18 mesi la durata massima della reclusione. In questo modo alcuni paesi, l’Italia fra questi, potranno invocare questa norma per adeguare al livello europeo i propri limiti di detenzione, qualora siano inferiori. Non solo, nel caso di accordi bilaterali sarà possibile espellere i clandestini anche verso i paesi di transito e, cosa gravissima, sarà consentito detenere i minori ed espellerli anche nel caso che non siano accompagnati e se, nel paese di rimpatrio, non vi siano né la famiglia né i tutori legali ma solo istituti disposti ad accoglierli. La direttiva si conclude con un’altra perla: il divieto di ritorno per cinque anni, per gli immigrati illegali, nei paesi dell’Ue da cui sono stati espulsi. Questa decisione potrebbe pregiudicare la concessione dell’asilo alle persone che successivamente potrebbero invocarlo. Non c’è alcun dubbio che queste direttive rappresentino una recrudescenza delle misure di polizia nei confronti di chi spesso è costretto a fuggire dal proprio paese d’origine, a causa di una guerra, di un regime oppressivo, della fame o di catastrofi naturali. Molto opportunamente diversi osservatori hanno messo in evidenza come il diritto, solitamente, tenda a migliorare le condizioni delle persone; gli emigranti europei del secolo scorso, è stato sottolineato, dovevano fare i conti con l’ordinaria discriminazione nella vita quotidiana, ma non con misure legislative restrittive e penalizzanti. Evidentemente la globalizzazione produce questi nuovi effetti nelle relazioni fra gli uomini! Sono comunque diverse le persone e le associazioni che prendono posizione contro queste decisioni. L’ex-presidente della Commissione europea Jaques Delors ha sottolineato come il testo approvato dall’Unione Europea non rispetti la dignità dei ‘san-papiers’. Ha criticato inoltre sia il prolungamento dei tempi di detenzione, ritenuti sproporzionati rispetto a quelli realmente necessari per un’espulsione, sia il divieto di rientrare in Europa per cinque anni dopo essere stati espulsi. Alcune associazioni africane denunciano come l’Europa tenda a trasformarsi in un grande penitenziario, favorendo col rimpatrio forzato l’aumento dei dispersi nelle carceri nordafricane o nel deserto o nel Mediterraneo. Hicham Rachidi, esponente della società civile marocchina e del ‘Gruppo antirazzista di difesa degli stranieri e dei migranti in Marocco’ (Gaddem), sostiene che ‘reprimere, bloccare, punire non farà cambiare idea a chi ha deciso di partire e tentare una nuova vita altrove. Il flusso non è mai diminuito; si sono invece aperte nuove rotte, più pericolose, più lunghe e difficili, ma chi vuole andarsene è pronto a tutto’. Spesso, la scelta di partire per l’Europa è ben preparata e concordata con la famiglia: : ‘Per noi – afferma Rachidi – i migranti non sono clandestini, ma eroi, grazie ai quali un fratellino o una sorellina in patria può andare a scuola, una madre può fare la spesa, una famiglia può sopravvivere. Sul nostro pianeta, non esistono clandestini!’. Anche Raymond Yoro Bi Ta, presidente dell’Associazione interafricana per la promozione e la difesa dei diritti dei rifugiati e richiedenti d’asilo (Aipdrda) con sede in Benin, ritiene che la chiusura della ‘fortezza Europa’ non sia un deterrente per i candidati all’emigrazione. ‘I colonizzatori europei sono venuti fino alle zone più remote del mio paese natale, la Costa d’Avorio; perché, si chiede Yoro Bi Ta, noi africani non dovremmo poter andare in Europa e avere la possibilità di trovare un lavoro e una vita migliore?’ Come valutare questa involuzione? Ci troviamo nuovamente di fronte ad un razzismo classico, velato da ideologismi o ad una difesa di interessi materiali, non per questo meno grave e preoccupante? Sebbene l’aspetto ideologico dell’intolleranza razziale non vada mai preso sottogamba, rispetto al passato sembra cambiata la sua natura. L’esperienza diretta e diffusa della convivenza con gli immigrati ha messo in luce una forte preoccupazione che deriva dalla messa in discussione di una sfera di privilegi consolidati nei confronti dei quali i cittadini dei paesi ospitanti non sono disposti a fare rinunce. Dunque, non è tanto l’esaltazione dell’appartenenza ad una razza superiore ma la difesa di un’area di privilegio e di benessere che spinge i governi dell’UE verso l’intolleranza e la chiusura. Per queste ragioni non può sfuggire la gravità e l’inadeguatezza delle recenti soluzioni. Ancora una volta ci si dimentica di ribadire il principio della libera circolazione delle persone: così come gli europei sono andati nelle zone più remote del pianeta gli africani hanno gli stessi diritti di venire in Europa e cercare un lavoro. In secondo luogo appare sempre più indispensabile favorire nuove politiche nei paesi del sottosviluppo, ponendo fine alla rapina finora perpetrata dai paesi del Nord e sostituendo le politiche coloniali con quelle di collaborazione reciproca, non senza aver provveduto a risarcire i paesi poveri. Ma questi percorsi, in epoca di globalizzazione, sembrano impraticabili.

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