La divina dimora. Betili e insensata animalia

16 Marzo 2008

BETILE
Marcello Madau

Quando Giovanni Lilliu nel 1946 portò in Sardegna, e fu una bella ventata di maestrale, la rivalutazione dei segni artistici del territorio dalla preistoria al Novecento e la critica a Winckelmann (percorsi in parte paralleli a quelli svolti da Bianchi Bandinelli per l’arte etrusca e italica) con il suo ‘Sardegna isola anticlassica’, il dopoguerra culturale sardo era in pieno fermento. Dopo decenni di oscurantismo fascista nel campo dell’arte, delle antichità, della cultura popolare (ne fecero le spese poeti improvvisatori, quadri ‘scandalosi’ come il ‘nudo’ di Stanis Dessy, o grandi archeologi per evidenti questioni di appartenenza, come Doro Levi), il giovane studioso, di lì a poco decisivo per la lettura della cultura nuragica, produsse la sua particolarissima Secessione, coniando quel termine di ‘isola anticlassica’ che tanta fortuna ebbe nei decenni successivi.
Il discorso, stimolante, e suggestivo, ‘regolava’ alcuni conti con una classicità mai veramente attecchita nell’isola, e comunque considerata superiore. In qualche modo non a torto, perché certamente era l’arte dei vincitori, la summa estetica ideale, spesso permeata di falsa coscienza, delle classi dominanti.
Nel suo saggio l’archeologo di Barumini sottolineava l’esistenza in Sardegna di una linea ‘barbarica’ di particolare rilevanza, pregio e caratterizzazione, di una traccia estesa che parte dagli idoli in pietra (le cosiddette “dee madri”) del Neolitico e giunge, strutturandosi con grande ricchezza, all’imagerie della bronzistica nuragica. Ma andando anche oltre: le stele puniche di Nora e Sulcis, le terrecotte di Bithia e Santa Gilla, il ‘barbarico’ popolaresco di età bizantina e le figure medievali, arrivando, tra pietra, legno, ferro e tessitura, sino ai giorni nostri. E proprio dall’auspicio finale di Giovanni Lilliu, “occorrerà che gli artisti contengano la riflessione e la cultura nella ingenuità e nell’ardore “barbarico” delle origini” vorrei partire per condurre un ragionamento sul contenuto e la denominazione di Museo del Betile, o Museo dell’arte nuragica e contemporanea, destinato ad illustrare i nessi fra radici antiche e contemporaneità.
La prospettiva di collegare antichità e contemporaneità, se coniugata senza retorica, può dare per la natura del materiale esiti di forte interesse e suggestione: ma dopo l’individuazione degli aspetti museografici (l’architettura, gli spazi), si dovrà giungere ad un corretto svolgimento di quelli più direttamente museologici. Rapporto non sempre facile, perché a volte ne è penalizzato, se resta sopraffatto dal pregio direttamente artistico dell’architettura, il racconto. Certo, il ‘Betile’ non è il caso del Guggenheim di Bilbao, perché il contenuto è ben determinato. Forse anche troppo: tanto che sorge il dubbio che coniugare l’arte nuragica con quella contemporanea sia più adatto come operazione per una fondamentale ricerca, o un grande Convegno e mostra, che per una struttura museale così polare. Perché solo il passato nuragico per noi contemporanei? Se vogliamo rendere percepibile, e godibile, la traccia ‘anticlassica’ delle radici sarde interfacciandola con il fare arte oggi, non si dovrebbe rinunciare agli altri elementi ‘barbarici’, a quella linea che ancora Lilliu, in lavori successivi (penso ad esempio a “Dal betilo aniconico alla statuaria nuragica”) ha suggestivamente stabilito fra i menhir, gli idoletti femminili e le statue di Monti Prama. Il messaggio progettuale del ‘Betile’ sembra esclusivista, perchè seleziona solo l’arte nuragica ed esclude il resto della memoria (a parte la curiosa eccezione di Nora, come viene scritto con visione decisamente riduttiva nell’elaborato del ‘Sistema Regionale dei Musei’). Eppure artisti come Nivola (l’Istituzione dovrebbe saperlo, già da Via Roma) partirono proprio dalla dea madre pre-nuragica. L’idea avanzata dalla Regione (il gruppo progettuale, logicamente, ha dovuto seguire le prescrizioni del bando) sembra davvero impostarsi su cesure gravi, che potrebbero rendere paradossalmente necessari volta per volta, ad esempio, un museo sui rapporti dell’arte neolitica, o dell’arte ‘sardo-punica’, o di quella medievale con l’arte contemporanea. Bisognerebbe tentare – e l’operazione non è museologicamente facile, anche per lo spazio non immenso, ma bello,  dedicato all’esposizione – di rappresentare la traccia lunga (parafrasando Lilliu, la ‘costante anticlassica’)’, di puntare su linee espositive forti e quantitativamente contenute. Mirare con coraggio al ‘museo della meraviglia’ più che a quello ‘razionale’. E le ‘dee madri’, le opere litiche puniche, o le straordinarie terrecotte popolaresche dei ceti indigeni subalterni possono ben adattarsi a seguire e precedere, proprio nei fascinosi e magici spazi interni progettati dalla grande Zara Hadid, non molte ‘statue colossali’.
Mi auguro che si sia ancora in tempo per riflettere, che gli aspetti del discorso, scelti quelli del contenitore, si possano ridefinire per non produrre un così elevato sforzo d’immagine e finanziario su di una traccia memoriale monca; persino per giustificare meglio un nome come il ‘Betile’, monumento importante ma che non ha, nei documenti della sola vicenda nuragica, prevalente rappresentatività materiale e simbolica. La acquisterebbe meglio in una linea più estesa, dai betili prenuragici alle lapides adorate, con grande onta di Papa Gregorio Magno, dai Barbaricini.

4 Commenti a “La divina dimora. Betili e insensata animalia”

  1. Luca Orru' scrive:

    Sai che non sono sicuro di aver capito il nocciolo del discorso…

  2. Marcello Madau scrive:

    Nella sostanza di non esporre, accanto a quella contemporanea, solo arte nuragica. Il nostro passato, in rapporto alla contemporaneità, è più articolato e ricco.

  3. Luca Orru' scrive:

    Ma includendo tutto… non si rischierebbe invece così di creare un’altro museo archeologico, come quello nazionale o come il G.A. Sanna di Sassari?
    Comunque se la struttura museale è quella dell’elaborazione 3D grafica, è davvero bella e sarebbe grandemente caratterizzante per la città.

  4. Marcello Madau scrive:

    Niente affatto. Si tratterebbe comunque di una selezione di episodi ‘artistici’. I musei nazionali non si basano esclusivamente su tale selezione. D’accordo sulla grande bellezza della struttura.

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