La legge contro le moschee

1 Ottobre 2016
Foto Roberto Pili

Foto Roberto Pili

Gianfranca Fois

In questi giorni anche la Liguria ha approvato (in linea con Lombardia e Veneto) la così detta legge anti-moschee, incuranti dell’articolo 3 della Costituzione ma soprattutto dell’articolo 8: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

Mentre l’articolo 19 recita: tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale e associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Aveva iniziato nel gennaio 2015 la giunta di centro-destra lombarda approvando una legge regionale, fortemente voluta dalla Lega Nord, che prevede regole più severe per poter aprire nuovi luoghi di culto per tutte le confessioni, norme riguardanti però in particolar modo le comunità musulmane che chiedono di regolarizzare l’apertura di moschee e che non hanno firmato un’intesa con lo stato. Per poter aprire nuovi edifici di culto, secondo la legge, bisogna garantire che sorgano a una distanza minima determinata dagli altri, devono avere un superficie di parcheggi almeno doppia rispetto a quella dell’edificio, devono avere congruità architettonica e dimensionale con le “caratteristiche generali e peculiari del paesaggio lombardo” così come individuate nel Piano territoriale regionale. Insomma niente moschee, pagode, templi indù…

Devono dotarsi di un sistema di videocamere all’esterno, con onere a carico dei richiedenti, collegato con gli uffici delle forze dell’ordine. Viene inoltre messa a carico delle comunità richiedenti anche la costruzione delle infrastrutture urbane necessarie. Simili provvedimenti quindi colpiscono soprattutto le comunità religiose di migranti che essendo minoritarie avrebbero invece necessità di maggiori tutele e di costruire edifici di culto. Comunità povere che non possono certo assumersi simili spese a cui viene così tolta la possibilità di riunirsi in luoghi dignitosi. Inoltre i Comuni potranno anche indire referendum consultivi per l’apertura mentre i controlli burocratici, lunghi e complessi, per ottenere l’approvazione lasciano un ampio margine di discrezionalità e arbitrio alla pubblica amministrazione (Regioni e Comuni).

Questa normativa è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta nel marzo di quest’anno. Ciò non ha però impedito che un’analoga normativa venisse approvata ad aprile dalla giunta di centro-destra del Veneto e ora anche dalla regione Liguria sempre ad opera di una giunta di centro-destra nonostante l’articolo 117 della Costituzione attribuisca allo Stato la legislazione sui rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose. E’ fondata quindi la preoccupazione anche di altri gruppi religiosi che si tratti di norme lesive della libertà di culto e quindi della democrazia.

Si introducono norme urbanistiche solo per limitare l’esercizio della libertà di culto, facendolo sfumare in un problema di sicurezza e di ordine pubblico. La regione Veneto ha mantenuto lo stesso impianto della Lombardia ma ha furbescamente esteso a tutte le confessioni (compresa la cattolica) questa normativa e ha relegato la costruzione di edifici di culto alla zona F, cioè alle aree più periferiche, comparandoli a centri commerciali, palestre ecc.

Nel testo c’è inoltre l’indicazione che per le attività “non strettamente connesse alle pratiche rituali del culto” si debba usare la lingua italiana. Come si vede si tratta di un insieme di norme urbanistiche e linguistiche che lungi dal promuovere l’integrazione dei vari gruppi religiosi con la “nostra cultura e i nostri principi”, come dichiarato, marginalizza ancora di più le comunità, spingendole fuori dai luoghi della vita comunitaria, dalla possibilità del confronto e dell’interazione.

Penso sia necessario a questo punto che la politica e i nostri legislatori intervengano in modo chiaro perché i principi costituzionali vengano promossi e praticati e venga garantita a tutti la libertà di culto in tutte le sue articolazioni, vengano superati tutti gli impedimenti e gli ostacoli presenti nei Patti Lateranensi, del 1929 e del 1984, che regolano i rapporti con la Chiesa cattolica e che si arrivi ad una legge che sia valida per tutte le religioni perché è inammissibile che nel nostro paese possano esserci discriminazione fra chi professa credi diversi.

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