La legge-truffa regionale al vaglio del Consiglio di Stato

18 Dicembre 2014
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Redazione

Marco Ligas e Andrea Pubusa hanno depositato l’appello al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar Sardegna, che, sbrigativamente, il mese scorso ha ritenuto di non dover trasmettere gli atti alla Consulta per un giudizio di legittimità costituzionale della legge elettorale regionale. Il giudizio lo ha dato lo stesso Tar Sardegna, sostituendosi alla Corte costituzionale.
Ma quali i punti dell’appello?
La sentenza di primo grado afferma di volersi ispirare alla sentenza della Corte cost., 1/2014, che – com’è noto – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del c.d. Porcellum.
Riassumiamo i punti centrali enucleati dalla sentenza del giudice delle leggi.
Punto primo. La Corte riconosce il suffragio come diritto fondamentale e inviolabile. In un sistema democratico, tutto si costruisce a partire dal voto libero ed eguale. L’architettura politica e istituzionale, dalla rappresentatività delle assemblee elettive alla forma di governo, e l’indirizzo di governo che essa esprime, poggiano sull’architrave di una volontà collettiva alla cui formazione tutti concorrono liberamente e con pari dignità.
Punto secondo. Un diritto fondamentale e inviolabile non è in quanto tale sottratto a qualsivoglia limita­zione. Potrà darsi la possibilità di un necessario bilanciamento con altri beni parimenti protetti in Costituzione, da cui scaturisca un limite al primo.
Punto terzo. Tale bilanciamento, peraltro, deve rispondere a criteri di necessità e proporzionalità. In altre parole, il limite al diritto fondamentale può essere posto se indispensabile alla tutela di altro bene parimenti protetto in Costituzione, nella stretta misura richiesta da quella tutela, e senza sacrificio eccessivo del diritto. Un limite che ecceda questi confini, o che persegue un obiettivo realizzabile attraverso misure meno lesive, è incostituzionale.
Questi sono, in estrema sintesi, i capisaldi della giurisprudenza costituzionale nostra e di molti paesi a noi paragonabili. La Corte, nella sent. 1/2014 e non solo, riconosce la governabilità come bene costituzionalmente protetto. Quindi è rispetto a questo bene che deve incardinarsi un possibile bilanciamento. Il necessario equilibrio non era rispettato dal Porcellum, e da qui la dichiarazione di incostituzionalità, che colpiva in specie la mancata dichiarazione di una soglia per l’applicazione del premio di maggioranza, e la lista bloccata per tutti i parlamentari.
Offre risposta la soglia prevista nella legge sarda? Il Tar non ha dubbi: dice senz’altro di sì. Ma lo fa acriticamente. Infatti, la presenza di una soglia, pur essendo una conditio sine qua non di legittimità, non è di per sé sufficiente ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali in materia di voto. La sentenza n. 1/2014 parla della necessità non di una soglia qualsiasi, ma di una soglia congrua; occorre, cioè, in ogni caso verificare che la sperequazione tra voti e seggi non sia eccessiva. Una clausola del 25% per cento è congrua nell’accezione testé riportata? La risposta è negativa. E si motiva con chiarezza dimostrando che il sacrificio imposto al voto libero ed eguale è comunque eccessivo e inutile. Infatti, col 25% scatta un premio del 55%, più del doppio dei seggi rispetto ai voti presi. Ma si può obiettere che, in realtà, in Sardegna lo scorso anno è scattata la soglia del 40%. Ma non è così. La soglia di accesso al premio è quella al di sotto della quale si applica il sistema proporzionale e questa è appunto fissata nel 25%. Al 40% scatta un premio aggiuntivo del 5% di seggi. Il 40% pertanto non è la soglia minima per il sistema premiale e per di più è irragionevole perché la governabilità, a detta dello stesso legislatore, è assicurata dal 55% dei seggi. La maggioranza assoluta poi è del 51% e non del 60%. Appare, dunque, eccessivo il premio in relazione alla soglia minima (25% dei voti) e, ancor più, rispetto al superpremio del 60%.

Sbarramento

Ma v’è di più e peggio. Ammesso e non concesso che governabilità e diritto di voto siano da bilanciare alla pari, come beni assistiti da eguale protezione costituzionale, troviamo nella legge sarda che la governabilità è assicurata dal premio nel caso di lista che supera il 25% e dal superpremio in caso di superamento del 40%.
Quindi il mantra di avere un vincitore il giorno stesso del voto risulta pienamente soddisfatto, senza margini residui. Comunque, ci sarà un vincitore con una maggioranza consiliare. Ma allora, perché porre anche soglie di sbarramento verso il basso, al 5% per le liste della coalizione e addirittura del 10% alla coalizione nel suo insieme? Per­ché azzerare il diritto al voto di decine di migliaia di cittadini senza alcun beneficio per la governabilità, comunque assicurata dal premio?
Il punto è che con la legge sarda vediamo sovrapporsi alla governabilità il fine di una ristrutturazione del sistema politico, con la dichiarazione di guerra ai piccoli partiti. Ma la riduzione artificiosa delle soggettività politiche non è un obiettivo costituzionalmente protetto, e dunque bilanciabile con il diritto fondamentale di suffragio. Al contrario, una norma come l’art. 49 della Costituzione protegge per tutti la partecipazione con metodo democratico, e dunque garantisce libertà di formazione dei partiti politici.
Allo stesso modo, lo sbarramento con soglie di sbarramento piuttosto elevate (5 e 10%) non risponde a esigenze di governabilità, ma al fine di consentire al leader il controllo e la fidelizzazione delle liste minori e dei loro eletti in ragione dello sproporzionato premio di maggioranza e dell’altrettanto soglia di sbarramento. Anche questo è strumento ridondante ed eccessivo, nel momento in cui la governabilità è pienamente garantita in altro modo. E l’obiettivo perseguito non è un bene costituzionalmente protetto e bilanciabile.
La Costitu­zione non vuole un Paese o Regioni conquistabili con pochi voti, ma istituzioni formate da organi realmente o accettabilmente rappresentativi del corpo elettorale di riferimento. Anche con le correzioni presenti nella legge sarda (ossia la soglia minima del 25% e lo sbarramento al 5 e al 10%) la legge sarda fa sorgere più di un motivato dubbio di legittimità costituzionale. Nella sentenza 1/2014 questa legge regionale proprio non rientra. Del resto, come potrebbe essere diversamente per un testo nato dall’accordo di leader attenti solo alle sorti dei propri partiti e a spartirsi, a seconda dei casi, maggioranza e opposizione con una conventio ad excludendum degli altri, ossia dei partiti che non dichiarino la loro fedeltà ai leader dei partiti maggiori, candidati alla presidenza?
Tra l’altro, una via pericolosa per la democrazia, quando non c’è più la stabilità sociale e politica assistita da organizzazioni di massa e corpi intermedi, che improvvidamente si è voluto eliminare.
Il secondo motivo di ricorso riguarda la parità di genere. E qui le discussioni possono arrestarsi esaminando il crudo dato numerico. Rispetta l’uguaglianza uomo/donna una legge che dà il seguente risultato: 4 consigliere su 60 componenti? E’ un Consiglio questo da paese civile e costituzionale o più propriamente da califfato islamico? Il Tar Sardegna ha detto che 4 donne su 60 componenti non suscita neppure dubbi di conformità della legge regionale alla Costituzione, che, fra l’altro, impone al legislatore regionale di approvare leggi che favoriscano la parità di genere. Vi sembra eccessivo sperare che il Consiglio di Stato prima e la Corte costituzionale poi la pensino diversamente?

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