La lingua sarda e la lezione gramsciana

1 Aprile 2015
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Francesco Casula

Antonio Gramsci in una lettera dal carcere alla sorella Teresina, del 26 Marzo del 1927, esprime sul ruolo e l’importanza della lingua materna, una serie di formidabili intuizioni. Che però saranno largamente dimenticate o rimosse dai suoi “nipotini”: di ieri come di oggi. Così nel 1977 il segretario provinciale nuorese del PCI di allora, invitava, con una circolare spedita a tutte le sezioni, di non aderire, anzi di boicottare la raccolta di firme per la Proposta di legge di iniziativa popolare sul Bilinguismo, elaborata da alcuni intellettuali sardi (Lilliu, Masala, Spiga, Sciola) perché separatista e attentatrice all’Unità della Nazione! E oggi, il Presidente del Consiglio regionale sardo Pigliaru e la sua Giunta (di sinistra) hanno stanziato per la lingua sarda, nel bilancio regionale per il 2015, lo 0,025% ! Meno di quanto la Regione assegni a una sagra paesana sulle lumache o a un campionato di calciobalilla!
Ma ecco la Lettera di Gramsci alla sorella: “[…]Devi scrivermi a lungo intorno ai tuoi bambini, se hai tempo, o almeno farmi scrivere da Carlo o da Grazietta. Franco mi pare molto vispo e intelligente: penso che parli già correttamente. In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispiaceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse liberamente il sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambini. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene che i bambini imparino più lingue, se è possibile. Poi, l’italiano, che voi gli insegnerete, sarà una lingua povera, monca, fatta solo di quelle poche frasi e parole delle vostre conversazioni con lui, puramente infantile; egli non avrà contatto con l’ambiente generale e finirà con l’apprendere due gerghi e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi e un gergo sardo, appreso a pezzi e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con la gente che incontra per la strada o in piazza. Ti raccomando, proprio di cuore, di non commettere un tale errore e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro […]”
In questa lettera Gramsci rivela una serie di intuizioni lucidissime sull’importanza, sull’utilità, sul ruolo e la funzione della lingua sarda, specie per quanto attiene alla formazione e allo sviluppo del bambino e allo stesso apprendimento dell’italiano.
Per intanto ammette che “è stato un errore non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse liberamente in sardo”. Si tratta di un errore oltremodo diffuso nella cultura e nell’intera scuola italiana, ancora oggi ma soprattutto nel passato, specie nel periodo fascista.
Ebbene Gramsci, proprio in questo periodo storico e in questa temperie culturale ed ideologica ha il coraggio di andare controcorrente, anche su questo versante. “non imparare il sardo da parte di Edmea – sostiene – ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia”.
Il grande intellettuale sardo esprime in questa lettera una serie di posizioni sulla lingua materna, che i linguisti e i glottologi nonché gli studiosi delle scienze sociali avrebbero in seguito rigorosamente dimostrato come valide. Ovvero che il bilinguismo non è da considerarsi un fatto dannoso da correggere e da controllare ma una condizione e una competenza che agisce positivamente nelle psicodinamiche dello sviluppo cognitivo e relazionale tanto che l’educazione bilingue ha delle funzioni che vanno al di là dell’insegnamento della lingua. Ovvero che la lingua materna, ha un ruolo fondamentale e decisivo nello sviluppo degli individui, soprattutto dei giovani.
Non solo: lo studio e la conoscenza della lingua sarda, può essere uno strumento formidabile per l’apprendimento e l’arricchimento della stessa lingua italiana e di altre lingue. Lungi infatti dall’essere “un impaccio“, “una sottrazione”, sarà invece un elemento di “addizione”, che favorisce e non disturba l’apprendimento dell’intero universo culturale e lo sviluppo intellettuale e umano. Ciò grazie anche alla fertilizzazione e contaminazione reciproca che deriva dal confronto sistemico fra codici comunicativi delle lingue e delle culture diverse, perché il vero bilinguismo è insieme biculturalità, e cioè immersione e partecipazione attiva ai contesti culturali di cui sono portatrici, le due lingue e culture di appartenenza, sarda e italiana per intanto, per poi allargarsi, sempre più inevitabilmente, in una società globalizzata come la nostra, ad altre lingue e culture, al plurilinguismo e alla multiculturalità.
Dal punto di vista formale in questa Lettera –ma anche nelle altre – Gramsci rivela una scrittura semplice e insieme intensa, talvolta persino scherzosa e ironica, mai “letteraria”, di una naturale altezza e forza morale. La sua capacità di interessarsi profondamente e amabilmente delle vicende dei suoi familiari, dell’educazione dei bambini, cui racconterà favole e storielle, rivelano un uomo dall’alta statura umana ed etica, affettuosamente e profondamente legato alla sua terra, alla sua lingua, alle sue tradizioni. Pur infatti nel carcere e nelle privazioni riesce sempre a mantenere un eccezionale equilibrio tra raziocinio e fantasia e un dominio tranquillo sulla realtà, tanto che raramente il carcere nelle Lettere “si sente”. Eppure, come scriverà in Passato e Presente: ”la prigione è una lima così sottile, che distrugge completamente il pensiero, oppure fa come quel mastro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco di legno d’olivo stagionato per fare una statua di San Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, finì col ricavarne un manico di lesina” .

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