La pistola sulla cultura

1 Febbraio 2011

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Antonello Zanda

Di che cosa si occupi il ministero della Cultura non è molto chiaro. E poi “cultura” è termine così vago e generico che si usa dovunque e comunque sia per dare che per togliere valore a qualcosa. Il nostro ministro Bondi dovrebbe occuparsi di cultura, cioè mettere in campo politiche per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale (quello che storicamente abbiamo acquisito) e per far sì che i processi di produzione culturale del nostro paese garantiscano – sia a livello individuale che collettivo – crescita, formazione, confronto. È soprattuto nel campo dell’espressione artistica che questa parola assume contorni straordinari nel nostro paese. In relazione a ciò, che la cultura non interessi a questo governo è cosa chiara ed evidente. Ma c’è qualcosa di più rispetto a un semplice disinteresse. C’è un profondo fastidio per tutto ciò che riverbera con la parola cultura e c’è soprattutto un progetto di trasformazione “culturale” dell’idea di “cultura”. Le TV berlusconiane hanno da molti anni perseguito un processo di costante corrosione del significato formativo di “cultura” a favore di una concezione della cultura in termini di intrattenimento. Non siamo certamente alla riedizione aggiornata della visione di Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich dal 1933 al 1945, sintetizzata nella frase «Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola». Quella era un’idea volgare e tutto sommato idiota, segno anche di una prospettiva che ignorava il significato e il valore politico della cultura. In realtà la vera idea di cultura che aveva il nazismo era sintetizzata meglio in altre due famose espressioni attribuite allo stesso gerarca: «La propaganda è un’arte, non importa se questa racconti la verità» e «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità». La sintesi di queste due è che la verità è ciò che si impone grazie ad una sapiente opera di propaganda. Queste due ci riportano più da vicino alla concezione della cultura che ha il nostro presidente del consiglio Berlusconi e – a dirla tutta – anche molti componenti del suo Governo. Ricordiamo che il ministro Renato Brunetta, in occasione del Festival cinematografico di Venezia 2009 in cui si proiettò un film di Michele Placido sul Sessantotto, “Il grande sogno”, disse «Esiste in Italia un culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Paese ed è quello che si vede in questi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia» e invitò il ministro Bondi a «chiudere quel rubinetto del Fus», il fondo Unico dello Spettacolo. E poi siccome solo il cinema gli sembrava poco continuò sparando contro «i parassiti dei teatri lirici: i finti cantanti, scenografi che non si sono mai confrontati con il mercato, tanto Pantalone pagava. A lavorare…». Il ministro dell’Istruzione Gelmini non si era risparmiata sullo stesso film: «Sono rimasta sorpresa nel sentire dagli attori della Mostra degli elogi sul ’68. Quella cultura dell’ugualitarismo e del sei politico ha danneggiato una generazione. Forse Placido non le ha vissute e non le conosce». Che non fosse sufficiente limitarsi ad attaccare i film realizzati lo ha capito il ministro Bondi, perché si è subito attivato per far premiare l’anno successivo l’attrice-imprenditrice bulgara Michelle Bonev –amica intima di Bondi e di Berlusconi – per l’opera prima “Goodbye Mama”, offrendo per l’occasione ospitalità a carico dei contribuenti (per un costo non inferiore a 400mila euro) al ministro della Cultura bulgaro, Vejdi Rashidov e a una delegazione di 40 connazionali che l’accompagnanva. Lo scenario che i fatti di Pompei (la totale irresponsabilità con cui il governo ha affrontato i crolli e il degrado), i tagli alla cultura e allo spettacolo, la devastazione totale della scuola pubblica, la campagna per la riduzione al silenzio di alcune trasmissioni televisive e di alcuni quotidiani, tutto ciò insieme ad un’altra sfilza di operazioni che smantellano la nostra cultura democratica, illustrano in maniera evidente che l’attuale governo, anzi, per essere sinceri , la “cultura” berlusconiana, opera per indurre, monitorare e controllare bisogni e desideri nella popolazione. La mutazione antropologica che è stata determinata da un palinsesto sempre più orientato all’intrattenimento e non all’approfondimento, alla deglutizione piuttosto che alla degustazione, alla ricezione passiva invece che a quella attiva, all’urlo e all’aggressione ai posti del dialogo e del confronto, eccetera eccetera, questa mutazione ha creato uno spettatore standardizzato, incline a reagire con automatismi psicologici ai nuovi input culturali. Questa azione è contemporaneamente condotta a livello politico con lo smantellamento degli istituti culturali, con il controllo dei media, con i tagli a un ambito su cui invece altri paesi investono. Il mondo del cinema ha reagito in modo convincente alle politiche del duo Berlusconi-Tremonti, impegnato ad esercitare con arroganza il suo proposito devastante. In realtà non c’è da aspettarsi nulla dall’attuale governo: ha ragione l’ANAC, l’associazione degli autori di cinema, a dire che non c’è «nulla da chiedere a questo Governo, sarebbe come chiedere al boia di essere delicato nell’esecuzione», e che invece è legittimo aspettarsi una reazione adeguata del Parlamento. Ma se Goebbels minacciava di mettere mani alla pistola nel sentire la parola cultura, oggi l’immagine più concreta è quella di una pistola puntata su tutto il mondo della cultura – del cinema, del teatro, della musica, dello spettacolo in genere, delle arti figurative e quant’altro. E anche della letteratura: è sufficiente citare la recente iniziativa presa dall’assessore provinciale di Venezia, Raffaele Speranzon, Pdl, che ha invitato 44 comuni a eliminare dalle biblioteche i libri dei firmatari nel 2004 di una petizione per la revisione del processo a carico di Cesare Battisti, di cui Lula ha recentemente negato l’estradizione in Italia. Ma la pistola puntata su scrittori come Massimo Carlotto, Tiziano Scarpa, Lello Voce, Nanni Balestrini, il filosofo Giorgio Agamben e tanti altri messi all’indice è una pistola puntata, per ora accompagnata solo da un “mani in alto”, su tutti gli italiani.

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